Brutta
bestia, l’adolescenza. Un’età sospesa nell’incertezza, che terrorizza
tanto i genitori quanto i ragazzini alle prese con le avvisaglie della pubertà. A volte si ha la
fortuna di attraversarla senza accorgersene. Altre, invece, si ha il dramma di vedersela brutta: di berla d’un fiato, con il rischio che vada di traverso. Auguro a ogni
famiglia la felicità di una crescita senza scossoni. Ma nei miei
sogni segreti, dalla visione di Euphoria
in poi, sono vittima del fascino di questi ragazzi allo sbando: belli e dannatissimi, i
protagonisti sono di quelli che forse non sopravvivranno al peggio
dei migliori anni. Sesso, pornografia, alcol, droghe, ricatti. Stessa
storia, stesso degrado: cosa rende, allora, la serie prodotta
da HBO e A24 – insomma, un tripudio di indie – la
folgorazione di questo 2019? Se le giovinezze rose e fiori ispirano la TV mainstream,
quelle infernali gareggiano con il cinema di Boyle e Korine; con gli eccessi della serie cult Skins, la cui formula sembrava non
funzionare fuori dai confini inglesi. Il cantore di quest'ondata di adolescenti problematici è Sam Levinson, già stilosissimo nell’horror Assassination Nation. Sul piccolo schermo, per fortuna, sa mettere meglio a fuoco la sua
regia da videoclip, la bravura di un cast ben assortito,
toni angosciosi senza mai strafare. Immancabile per gli
spettatori più smaliziati, fondamentale per chiunque
voglia assistere a uno spettacolo spettacolare struggente e
scandaloso, Euphoria
non può contare su una trama innovativa. Fra ragazze che si
svendono, campioni dalla sessualità in dubbio e famiglie disfunzionali, potremmo pensare di
conoscere già la noia esistenziale di questi Millennial. Eppure, a livello narrativo, le trovate memorabili non mancano. Ogni
episodio si apre con un prologo dedicato a un comprimario diverso e narratrice onnisciente è una sorprendente Zendaya: bella e fragile,
torna a scuola dopo il coma seguito a un’overdose. Bisognosa e bipolare, vorrebbe una casa tranquilla –
ma la sorella minore frequenta un brutto giro –, il vero amore –
ma l’attrazione verso Jules, l’amica transgender, sembra
impossibile –, scappare dalla provincia. La distraggono ora le
perversioni di padri di famiglia con una passione segreta per i
minorenni; ora gelosie e voltafaccia; ora la paura di ricascarci, quanto troppo triste o troppo felice. Come non
innamorarsi del suo broncio, del suo fisico allampanato,
della sua intensità? La gioia provata per la sua conoscenza è una
percezione sbagliata: la scambiamo con l’euforia del titolo. Una
vivacità irrefrenabile, isterica, che contiene già le ombre di un
malessere nascosto. Ne subiremo le amare
conseguenze soltanto poi. Nel mentre eccoci qui: incuranti e
felici, davanti ai nostri diciassette anni ribelli e a una cotta sul
ciglio del burrone. (8)
Tre
anni fa, al suo debutto, era la serie delle serie. Una distopia
urgente, spietata, che descriveva un futuro non troppo lontano e nel
frattempo parlava di noi. Di un presente costellato di avvisaglie
preoccupanti e sconvolgimenti politici, dove razzismo, omofobia e
sessismo sono di moda; dettano legge. Tre anni dopo, davanti
all’ennesima stagione senza nerbo, The Handmaid’s Tale ha
subito un’involuzione impensata. È diventata, infatti, una di
quelle serie da seguire facendo altro. Da guardare magari doppiate,
in italiano, perché non si ha più l’ansia di stare al passo con
la programmazione americana né di badare all’intensità ormai
assodata degli interpreti originali. Delle evidenti battute
d’arresto, nonostante tutto, sembriamo accorgerci in pochi. I più,
invece, si lasciano confondere dall’importanza delle tematiche e
dalla performance della protagonista. Confidano in un’altra
stagione, nel nuovo romanzo di Margaret Atwood ormai in dirittura
d’arrivo. Io, controcorrente, ho invece paura per quel seguito letterario
fuori tempo massimo. Ho paura che la serie continuerà a trascinarsi
per molto tempo, dal momento che tocca battere il ferro finché è
caldo: e questi argomenti, cosa nota, scottano giacché attualissimi.
Cos’è successo a Gilead in questi episodi? Qualcuno la fa
franca. Qualcuno punta al Canada, pretendendo
diritti su una bambina rapita. Qualcuno, deliberatamente rimasto al
proprio posto, pianifica colpi di stato con la complicità delle vendicative donne in rosso. Yvonne Strahovsky, messa da parte, è una
Serena Joy confusa e incoerente: una banderuola che non sa
bene dove schierarsi, e più per l’indecisione degli
sceneggiatori che per la fragilità del suo stesso carattere.
L’autista Max Minguella e la fuggitiva Alexis Bledel, invece, sono ufficialmente
scomparsi. Resta allora una Elisabeth Moss in divenire: diabolica ed
eversiva, questa volta pensa meno alla propria famiglia e più al
cambiamento sociale, trasformandosi in una Che
Guevara al femminile misteriosamente capace di cadere sempre in
piedi. Possibile che la scampi ogni volta? Possibile che nessuno a
parte me si sia stancato degli incarogniti sguardi in camera che
oggi la rendono la parodia di sé stessa? Definitivamente un
simbolo, l’attrice esagera e calca la mano, quando il messaggio –
ormai semplificato – si fa ridondante. Non basta la vaga ripresa degli
ultimi episodi. Non basta il ricordo della passata verosimiglianza,
qui tradita per svolte surreali e forzate. Sia
benedetto il frutto. Che il Signore possa schiudere. E se, dopo
la bella stagione, il suddetto frutto si
rivelasse più che maturo: stracotto dal sole? (6)
Viene
dalla Germania e ha un titolo che è tutto un programma. Giovanile e
inattesa, tra me e me, ero già pronto a eleggerla all'istante serie dell'estate.
Come vendere droga online (in fretta) aveva
tutto: un adolescente piantato in asso, un migliore amico dai giorni
contati e un piano – spacciare pasticche, rubando clienti alla
nuova fiamma della storica ex – per conquistare di pari passo
popolarità e denaro. L'attività, più redditizia del previsto,
approda presto su internet. Sognandosi novelli Steve Jobs, i protagonisti
daranno vita alla classica collaborazione criminosa: con il classico
papà poliziotto e inconsapevole, la classica adolescente che finisce
in overdose per insegnarci che gli stupefacenti talora possono uccidere, il classico
boss mafioso che fa davvero male a non prendere sul serio la strana
coppia di narcotrafficanti. Un grammo di Breaking Bad,
un po' di Smetto quando voglio
e, ancora una volta, pronta all'uso, ecco una lezione pensata a tavolino sui
lati oscuri dei social e le fragilità dei giovanissimi. Citazionista e
scoppiettante per quanto riguarda il lato tecnico, con chat a vista,
foglietti illustrativi letti a voce alta e coloratissime sequenze
psichedeliche, la serie europea ha un approccio fresco ma una trama –
che sia una storia vera o inventata, non mi importa granché – alquanto stantia. Vittima del già visto, conserva orgogliosamente la lingua tedesca ma si
rifà al chiasso delle commedie americane: ahimè, smarrisce così la sua scarsa
personalità strada facendo. Non diventando mai un autentico oggetto di
dipendenza. (5,5)
Ho guardato anch'io The handmaid's tale e ho avuto le tue medesime impressioni,dalle prime puntate di questa terza stagione, che pure avevo atteso trepidante.
RispondiEliminaProcede in modo lento, la storia pare si trascini senza sorprese né aspettative..
E hanno stancato pure gli sguardi incattiviti di june >_<
Vedremo il libro o.O
Fammi sapere sul finale.
EliminaUn po' si riprende, un po' no.
Euphoria ce l'ho nella lista dei recuperi, mentre con The handmaid's tale sono ferma alla prima stagione, per paura che si concretizzi proprio quello che tu sottolinei in questa breve recensione. Non so, forse in futuro la riprenderò, ma per ora non voglio intaccare il ricordo della prima, splendida stagione.
RispondiEliminaPosso? Fermato lì. Peggiora soltanto.
EliminaEuphoria aspetto di guardarlo quando arriverà in Italia, che di storie con e su adolescenti è meglio prenderne a piccole dosi.
RispondiEliminaSu The Handmaid’s Tale che posso dirti che già non sai? Per me è una stagione valida. È come la prima? No. Recupera terreno rispetto alla seconda? Secondo me sì. Era inevitabile che ne facessero altre stagioni?Idem con patate. Comunque son curioso del libro.
Speriamo che arrivi, in Italia.
EliminaSiamo famosi per lasciarci sfuggire la roba bella bellissima.
Su THT sono d'accordissimo, pensavo anch'io di parlarne perché ho idea che se davvero l'autrice ha messo mano nella sceneggiatura della seconda e terza stagione, si corre il rischio che il romanzo prossimo venturo sia una possibile boiata.
RispondiEliminaLa Atwood è una persona intelligentissima, ma il cash piace pure a lei... La storia va spremuta fino allo stremo, praticamente.
EliminaEcco, l'episodio dell'ospedale, nella sua piattezza, per me è il migliore del ciclo.
RispondiEliminaStessa cosa che mi sono chiesta anche io su Jude, possibile che facciano fuori tutti per molto meno, e lei riesca ogni volta a sopravvivere (nonostante ne combini di molto peggio)? Voglio dire, la cosa inizia a diventare "un po' troppo".
RispondiEliminaEuphoria invece lo devo ancora vedere, ma è già in lista!