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Vox, di Christina Dalcher. Nord, € 19, pp. 416 |
Alle
parole non diamo un numero. Spesso, alle parole non diamo peso. Le
usiamo per indicare assenso o dissenso, per affermare o negare, per
leggere, scrivere e fare l'amore. Perfino da soli, quando cantiamo
insieme alla radio o ragioniamo mormorando in una stanza vuota, la
voce fa il suo giro. L'aria entra e attraverso i meccanismi magici
della catena fonatoria fuoriesce, infine, facendosi verbo. Parlano i
gesti dei bambini e quelli degli autostoppisti al volante, parlano
coloro che hanno riportato gravi lesioni al cervello non dando però
un senso al loro farfugliare confuso, nel caso di noi italiani –
che gesticoliamo al telefono, che ci sbracciamo in strada – parlano
anche le mani, incapaci di stare ferme ai lati del corpo. Nei miei
due esami di Linguistica, i più difficili ma interessanti sostenuti
negli anni dell'università, del suono ha imparato la natura fisica e
armonica, i tecnicismi difficili da padroneggiare e gli infiniti
misteri. Con la mia infarinatura accademica, leggevo l'esordio di
Christina Dalcher – professionista del campo dalla grande pregnanza
lessicale e, a sorpresa, dall'altrettanto grande abilità narrativa
– e annuivo, un po' orgoglioso nel sapere cosa mi stesse dicendo a
proposito dell'area di Wernicke e dell'area di Broka, della
lallazione e dell'età critica nelle fasi dello sviluppo, di dettagli
che in realtà fantascienza sembrano ma non sono. È con il mio
essere eppure laconico per natura che leggevo, per l'appunto, e mi mettevo
nei panni della protagonista: siamo in un futuro distopico tutt'altro
che implausibile, infatti, e gli Stati Uniti, guidati da un
presidente fanfarone e dal Movimento della Purezza, sono tornati a un
secondo Medioevo riducendo il genere femminile al silenzio.
Puoi
portare via molte cose a una persona: soldi, lavoro, stimoli
intellettuali. Puoi anche portarle via la voce senza intaccare la sua
essenza più profonda. Ma, se le impedisci di sentirsi parte di un
gruppo, se le togli lo spirito di squadra, le cose cambiano.
C'è
voluto pochissimo affinché misoginia e tirannide prendessero il
sopravvento sulla civiltà americana. Dai salotti televisivi dei
predicatori locali alla Casa Bianca il passo è stato breve. Le
scuole, le case, sono cambiate da un anno appena. Con i libri, le
penne e i post-it sotto chiave. Con le macchine da cucire, i kit di
giardinaggio e gelati in premio alle
studentesse silenziose a sostituire i banchi di formica o i progetti
di gruppo. La liberale e instancabile Jean ha quattro figli, origini
italiane, un'esperienza saffica negli anni della giovinezza, un
amante scienziato di nome Lorenzo e un'unica sfortuna: essere nata
donna. Alle omosessuali spettano campi di rieducazione forzata, alle
adultere i capelli rasati a pelle e il convento, alle nubili
matrimoni combinati o la via alternativa della prostituzione. Lei ha
invece dovuto rinunciare a malincuore al suo impiego – con
l'autrice condivide proprio il mestiere di linguista –, per
provvedere a una casa a cui non vuole stare appresso, recalcitrante
all'idea di essere l'angelo del focolare; per covare un rancore
naturale ma ingiustificato verso il marito e i figli maschi, che al
contrario della protagonista e della piccola Sonia possono alzare la
voce a piacimento.
Mi manca parlare. Ma, più di tutto, mi manca
sperare.
Con
debiti evidenti verso Il racconto dell'ancella,
tornato in questi anni sotto le luci della ribalta grazie alla
pluripremiata serie Hulu e a causa di una politica che
ci fa gelare il sangue nelle vene, Vox ha
soprattutto all'inizio il suo bel da dire. Un mondo che inquieta per
quanto appare plausibile, riflessioni interessantissime sulle
relazioni uomo-donna e i ruoli di potere, una narratrice che volendo
può fare la differenza. Non vi dico troppo: a un certo punto, Jean
si ritrova con una pesante spada di Damocle sulla testa e senza il
suo contatore argentato al polso. Richiamata in un laboratorio di
Washington in quanto luminare imbattuta, studia l'afasia all'interno
di una task force finalmente riunita. Chi sono, tuttavia, le vere
cavie? La Dalcher abbandona presto i drammi del quotidiano per una
scienza che parla a lingua sciolta di sé, di cure, di armi
batteriologiche; preferisce i laboratori asettici in cui tutto è Top
Secret alle famiglie sgomente. La svolta, a mio dire discutibile,
trasforma il romanzo in un medical thriller al cardiopalma con
atmosfere da film complottistico in cui, nonostante i ritmi
vertiginosi, o forse proprio per quelli, si perdono in fretta lo
spunto di partenza e il rabbioso senso di ingiustizia che lo
pervadeva. Le ultime cento pagine in particolare riescono
nell'impresa impossibile di rovinare le trecento precedenti:
frettolose, furbastre, liquidano in quattro e quattr'otto distopia,
triangolo amoroso e dilemmi morali, all'insegna del lieto fine e
delle sue conseguenti forzature.
Mostri
non si nasce, si diventa. Pezzo dopo pezzo, arto dopo arto, creazioni
artificiali di uomini folli che, come l'incauto Frankenstein, credono
sempre di saperla più lunga degli altri.
Vox
e la sua sentita crociata
generalizzano, e non realizzano che il silenzio non sempre è un
male. A volte, è d'oro. Come idee vincenti
simili a questa, che, per ironia della sorte, avrebbero avuto bisogno
di qualche parola in meno per centrare il bersaglio.
Il
mio voto: ★★★
Il
mio consiglio musicale: Disturbed – The Sound of Silence
Questo è uno di quelli per cui potrei fare un'eccezione al mio voto *-*
RispondiEliminaDato il peso della delusione, fidati, potresti venire meno ai tuoi buoni propositi per qualcosa di meglio (tipo tutto quello che ho recensito in precedenza). 😁
EliminaConcordo con il tuo parere, l'inizio è molto promettente con spunti di riflessione interessanti e poi diventa così banale, odio i lieto fine a tutti i costi.
RispondiEliminaOh, finalmente qualcuno che ha letto il mio stesso romanzo. In rete, leggevo solo elogi sperticati!
EliminaInteressante, anche se il tema distopico comincia ad essere abbastanza inflazionato. L'ultimo letto che mi è piaciuto e che rovescia la prospettiva uomo<>donna, è stato "Ragazze Elettriche" di Naomi Alderman.
RispondiEliminaParagonato, non a caso, anche a questo. Purtroppo mi manca, anche se io compreso inizio a dirmi stanco del filone. Mettici belle idee e svolgimenti deludenti, poi...
EliminaChe peccato! E dire che lo sto leggendo proprio ora e niente...lo abbandono o meglio vado a sbirciare il finale. Grazie della dritta.
RispondiEliminaCiao da Lea
Ma no, Lea, piace a tutti. Sono io la pecora nera, questa volta. Anche se, palesemente, scommetto vedresti i difetti anche tu.
EliminaChe delusione scoprire questo drastico cambio di direzione nella storia!
RispondiEliminaAvevo messo in lista questo libro proprio per le sue premesse distopiche, ma adesso ho qualche dubbio.
Spunto, premesse e stile dell'autrice sono meritevolissimi davvero. Sono io, purtroppo, ad avere gradito poco la semplicistica deriva finale. Altri colleghi, però, si sono detti soddisfatti così. Errore mio, forse: tengo a mente più i finali del resto.
EliminaNon leggo distopie da parecchio tempo perché mi sembrano un po' tutte uguali ultimamente, ma questo sicuramente è interessante, nonostante i difetti.
RispondiEliminaInteressantissima, sì.
EliminaSta a te, poi, decidere il peso dei difetti.😊
Ho letto un paio di altre recensioni che parlavano di un finale deludente, perciò direi che posso tranquillamente soprassedere, visto che anche per me il finale pesa per una buona metà sul giudizio complessivo
RispondiEliminaIo ho preferito constatarlo da me, ma effettivamente... Gran peccato, soprattutto trattandosi per il resto di un gran bel romanzo da divorare.
EliminaNon credo faccia per me. La tua recensione, come sempre, l'ho letta volentieri però! ;)
RispondiEliminaTi ringrazio, Tessa!
EliminaDiciamo che, dopo aver letto la tua recensione, mi sento un po' sollevata: mi sarebbe spiaciuto molto perdermi un capolavoro, ma la verità è che non ce la faccio proprio a leggerlo... Non adesso, non in questo particolare momento storico/sociale! :(
RispondiEliminaL'indignazione resta, Sophie, ma non il ricordo di una lettura memorabile...
EliminaIo lo sto leggendo adesso e devo dire che i primi capitoli mi hanno abbastanza colpito, dopodiché il libro sembra cambiare registro in qualcosa di meno originale. Il mio problema al momento è che ho già trovato due congiuntivi sbagliati e un altro paio di errori lessicali che da una casa editrice come la Nord non vorrei proprio vedere.
RispondiEliminaOnestamente, Beth, confesso di non averci proprio fatto caso.
EliminaSarebbe il colmo sì, trattandosi della prova narrativa di una linguista. ;)
Mi sembra un po' troppo simile a The Handmaid's Tale per avere una propria "vox". :)
RispondiEliminaMa magari mi sbaglio...
Non ti sbagli troppo.
EliminaFatto sta che, nonostante i difetti, neanche la seconda stagione della Atwood si è concessa scivoloni simili nel finale...