Su
carta era un progetto nato sotto una stella avversa.
Posticipato a data da destinarsi e infine affidato a un esordiente d'eccezione, il terzo rifacimento della storia d'amore tra la
cantante in ascesa e il pigmalione in caduta libera non sembrava da farsi. Servivano i nomi giusti. Serviva una vetrina
sfavillante – la laguna di Venezia – per
invitare gli spettatori a non sottovalutarlo. A star is born,
protagonista così di una nuova alba, a sorpresa sfavillava e
commuoveva ancora. Piaceva, e spesso agli insospettabili: più alla
critica che al pubblico, più agli americani che agli italiani, più
agli uomini che alle donne. La trama è presto detta: lei, cameriera
non abbastanza attraente per sfondare, si rivela essere una fulgida
supernova quando una vecchia gloria la trascina sotto i
riflettori; lui, cantante fallito dedito all'alcol e
all'autocommiserazione, è al contrario un buco nero. Benché della
stessa natura, sono inconciliabili in quell'esistenza
fortunata sul palcoscenico ma sfortunata in amore. La luce dell'una
significherebbe l'oblio dell'altro, o viceversa. Le note sono sette,
ci ricorda nel finale il fratello di un ottimo Sam Elliot. Le
canzoni, a lungo andare, raccontano così tutta la stessa storia di
cuori infranti: a cambiare è l'intensità di una voce, che aggiunge
personalità e vissuto a un ritornello altrimenti sin troppo
scontato. Lo stesso, a proposito di remake, si potrebbe dire del
cinema odierno: poche idee e qualche stimolo da ricercare in un cast
perfetto, dai protagonisti ai comprimari, o nel felice assemblaggio
del comparto tecnico. Non fa eccezione questo A star is born,
appesantito da un risaputo canovaccio che non prova nemmeno a rinnovare e che, trattandosi per l'appunto di un film
musicale, ci distrae dal già visto a suon di canzoni coinvolgenti e
rigorosamente suonate live; grazie alle bellissime intuizioni della
prima parte – dal colpo di fulmine in un fumoso gay bar al
ritornello messo a punto nel parcheggio di un supermercato, dalle
famiglie popolose delle commedie di O'Russell ai goffi contrattempi
dei boy meets girl –, che lo rendono l'incastro mancante tra
i drammi indie e i film-concerto. Se un Cooper impegnato per la prima
volta in una doppia veste non era mai stato così affascinante
e ispirato, tutti gli occhi sono per una Lady Gaga all'altezza della
scommessa: canticchia la Garland sovrappensiero, ha il naso
importante della Streisand e gli implacabili primi piani,
spogliandola della solita maschera di trucchi e lustrini, ne mettono in
evidenza perfino un po' di pancia quando è seduta al piano. È
nella lista delle sue imperfezioni, apprezzabili perché capaci di
mostrarcela meno aliena, di renderla un'interprete più sincera, che
si trovano i pregi di un film trainato interamente dalla sua
sconosciuta vulnerabilità: la stessa che fa innamorare un Cooper
roco e scapigliato; la stessa che presto attira un gruppo di
discografici pronti a stravolgerne l'immagine, trasformando la
Germanotta – ragazza di provincia acqua e sapone, e viva i suoi
denti a zappa, ode al suo naso aquilino – nella Gaga che fa incetta
di Grammy, di hit vuote ma orecchiabili. La storia, purtroppo, è
vecchia come il mondo, e il suo essere stata proposta e riproposta
nelle generazioni si avverte dall'inizio alla fine. Il melodramma,
sottogenere che avrebbe bisogno di emozioni costanti, minaccia di
diluirsi soprattutto a metà – momento fatidico della crisi
coniugale, già dolente in quel
La La Land senza diretti precedenti. A salvarlo dallo
stucchevole e da una morale per me poco condivisibile sono il suo spirito da
rozzo cowboy, che mi ha ricordato il Clint infatuato dei Ponti di Madison County, e la
magica alchimia di una coppia bene assortita. Bradley Cooper e Lady
Gaga – di stelle, a questo giro, ne sono infatti nate due – sono talmente complici, talmente in sintonia, da riuscire per fortuna ad
allontanarsi dalla superficie (o meglio, dal superficiale), come canta il loro migliore duetto. (7)
Le
fotografie del suo corpo hanno fatto il giro dei telegiornali.
Facendo sì che della nostra Italia sempre più esecrabile si
parlasse in tutto il mondo, ma per i motivi sbagliati: il braccio
violento della legge, gli ingranaggi di una burocrazia che
temporeggia, una sanità che aggrava anziché guarire. Quel cadavere
senza giustizia, diventato presto l'esempio del peggio di cui siamo
capaci, aveva un nome e una dignità. Una storia di cui i restanti
misteri, pare, sono stati sciolti appena qualche giorno fa: a nove
anni dall'omicidio. Stefano Cucchi, geometra romano di buona
famiglia, era un giovane uomo con i suoi sbagli a carico: una
dipendenza difficile da arginare e un'ingente partita di droga, trovata in casa sua soltanto dopo l'aggravarsi della sua salute,
forse destinata allo spaccio. Lontano dall'agiografia, l'esordio di
Alessio Cremonini – presentato in anteprima a Venezia e poi
arrivato su Netflix non senza controversie, non senza prima passare da
qualche sala – racconta i suoi ultimi giorni. L'arresto, il
processo e la successiva detenzione: brevissima, perché consumata
più negli ospedali che dietro le sbarre. Sulla mia pelle
non cerca giustizia e non grida vendetta, rinunciando al piglio
bellicoso del film d'inchiesta, così come Cucchi non domandava
clemenza ma semplicemente i farmaci per l'epilessia o l'incontro con
genitori che, purtroppo, lo rivedranno ormai cadavere. Come spiegare
l'impossibilità di fare perfino pipì, i danni insanabili riportati
alle vertebre, il sopraggiungere della morte: il tutto, in una cella
di sicurezza in cui non sentirsi affatto al sicuro? Tutta colpa delle
scale ripide, mormora Stefano abbracciando Tortora, di recente padre
affranto anche nella Terra dell'abbastanza.
Tutta colpa delle forze dell'ordine, dirà invece la sorella Trinca:
a ragione furente, leggevo, ma dai più additata come opportunista –
i rapporti tra i due, infatti, dovevano essere meno rosei di quanto
qui ci venga suggerito. Tutta colpa della sceneggiatura scarna,
inoltre, i difetti di una ricostruzione rigorosa ma fallace,
schematica all'inverosimile? Quelle che sono le incertezze del film
di Cremonini, in realtà, ci aiutano meglio a riflettere
sull'assurdità di un'odissea zeppa di incongruenze, di
buchi, di mezze verità. Non ne trova senz'altro giovamento il cinema, in
una produzione che ha i suoi limiti oggettivi – troppo aperto il
caso per affrontarlo con un punto di vista che effettivamente manca
all'appello –, nonostante la prova di un incredibile Borghi, per cui, all'estero, avrebbero scomodato le nomination agli Oscar, l'Actors
Studio, le trasformazioni di Bale o Fassbender. Ma è grazie a simili
storie di criminalità, eppure, che si smuovono le coscienze
collettive, livide per l'indignazione e non per le mazzate, e che
l'evitabile destino di Cucchi potrà magari uscire dalle sabbie mobili.
Nascosto sotto la pelle di un interprete camaleonte, aggrappato con
le unghie e con i denti alla nostra. (6,5)
“A Star is born” l’avevo snobbato finché, grazie alla riproduzione casuale di YouTube, non mi sono imbattuta nella sua colonna sonora; adesso voglio vederlo ma le aspettative sono moderate.
RispondiEliminaPiace moltissimo, in realtà, e sono stati in molti a gioire del ritorno in sale delle storie vecchio stile, dei sentimenti forti. Nonostante la notevole intensità del tutto (che attori, che colonna sonora), la trama aveva effettivamente bisogno di una rinfrescata nel 2018. Ma, dato il genere di per sé poco ambizioso, comunque poco male. Funziona.
EliminaUna sorta di Colonello Homer e Lurleen formato 2000 :)
RispondiEliminaTroppo ignorante in fatto di Simpson per cogliere la citazione, ti chiedo scusa! 😅
EliminaA Star is born non è il mio genere e mi interessa poco. Sarei interessata a un recupero sul piccolo schermo, ma ho sentito che l'impianto audio del cinema può fare la differenza, così come in altri casi può farla il grande schermo per le scene d'azione.
RispondiEliminaSulla mia pelle aspetto di essere nello stato d'animo giusto, che il pugno allo stomaco dato dalla storia arriverà probabilmente a prescindere dalla qualità del film.
Purtroppo, in questo caso, avrebbe fatto la differenza anche la visione in lingua...
EliminaSpero che A Star Is Born non ricordi davvero I ponti di Madison County, che a me era sembrato troppo stucchevole e classico persino per gli standard del più stucchevole e classico tra i registi.
RispondiEliminaDiciamo che preferisco puntare tutto su Lady Gaga, ma chissà che Bradley per una volta non mi sorprenda. Anzi, per la seconda volta dopo Il lato positivo. In cui comunque era oscurato da Jennifer Lawrence e temo che qui possa fare la stessa fine. :)
Sulla mia pelle più importante che bello. La sceneggiatura rimane troppo limitata alla ricostruzione quasi da documentario, ma forse era inevitabile così...
Il miele anche qui non manca, poco da fare, ma la chiusa disperata aiuta non poco a smorzare i toni. Cooper, secondo me, è bravissimo in questo: a farsi da parte per far brillare le sue partner, così come era stato con la Lawrence. E Gaga, nonostante i difetti della sceneggiatura, fa un figurone memorabile.
EliminaSu Cremoni: forse era inevitabile, o forse sarebbe stato meglio aspettare un altro po'. Sperando di vederci chiaro più avanti. In modo da avere la prospettiva che qui, tra la discrezione generale e il taglio documentaristico, manca.
Ho visto Sulla mia pelle, e mi ha toccato molto... Forse non sarà perfetto come prodotto cinematografico (anche se io non ritengo di aver gli strumenti per cogliere sfumature in quanto ambito) ma è efficace nel narrare i fatti, senza santificare cucchi o massacrare i carabinieri,a mio avviso.
RispondiEliminaBorghi eccezionale.
Davanti a questi film, purtroppo, mi domando: cosa aggiungono a quello che un trafiletto di cronaca nera, un servizio di Quarto grado, direbbero da sé? Certo, Borghi fa la differenza.
RispondiEliminaFilm così diversi ma che ritrovo ad accomunare per lo stesso difetto: una mal gestione della storia.
RispondiEliminaCooper abbonda nei temi che potrebbe sviluppare, preferendo invece rimanere in superficie affidando alle bellissime canzoni il compito di emozionare. E funziona, ma a ben pensarci, poco mi è rimasto del film oltre a una playlist su spotify.
Sulla mia pelle ha il limite di attenersi ai fatti giudiziari, non osa, ma vista la verità, visto l'immenso Borghi, va bene così.
Da una parte troppo, forse, e dall'altra troppo poco...
EliminaAhimé, sulla mia pelle è un film talmente devastante che i difetti non li ho sentiti, tanto ero presa dall'ingiustizia della cosa. Ben vengano film così, per scuoterci e farci riflettere, il resto è aria.
RispondiEliminaConcordo, ma il cinema, per me, è un'altra cosa. Giusto riflettere sul tema, ma era troppo presto. Manca la verità, o semplicemente unl sguardo, nonostante la diplomazia apprezzabile del tutto.
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