lunedì 9 luglio 2018

Mr. Ciak - Flaiano Film Festival: Figlia mia, La terra dell'abbastaza, Sono tornato, Youtopia

Dal 29 giugno al 6 luglio, con una cerimonia finale sullo sfondo di Piazza della Rinascita, si è tenuto a Pescara il quarantacinquesimo Flaiano Film Festival. Il primo per cui ho timbrato il biglietto. Diciotto film divisi in quattro categorie, Riccardo Milani come direttore artistico e un red carpet aperto ad alcuni fra i migliori volti di casa nostra: il tre volte Premio Oscar Vittorio Storaro, Ferzan Ozpetek, Elena Sofia Ricci, Monica Guerritore, Greta Scarano, Filippo Timi, Massimo Popolizio, Francesco Montanari, Ennio Fantastichini, Rolando Rovello, il trio Ward-Conticini-Muniz, lo sceneggiatore Nicola Guaglianone, Alessandro Cattelan.

La Sardegna è quella brulla e ancestrale di Michela Murgia. Lì si raccontano leggende e bugie. Ci si scambia i figli. Si vive di quel che porta a riva la benevolenza del mare. Valeria Golino, con una tinta scura che le fa più bella e i vestiti dei giorni di festa, ha affidato le sue preghiere prima alla Madonna, poi ai lombi della Rohrwacher: tanto bene integrata la prima, quanto sciagurata la seconda, non avrebbero in comune niente, se non un segreto con i capelli rossi; un patto da violare nel momento in cui la derelitta Angelica, tutta abitini inguinali e lingua impastata, non avanza una pretesa prima di lasciare l'isola per sempre. Conoscere un po' per capriccio, un po' per desiderio, la bambina che ha partorito e subito ceduto a una genitrice migliore di lei. La piccola Vittoria non conosce la verità sulla propria nascita, ma è troppo selvatica, troppo curiosa in fatto di baci e imprese impossibili, per appartenere a una famiglia dalle discrete possibilità economiche che le impone gli abiti da signorina, il costume intero in spiaggia, gli orecchini meno appariscenti e animali domestici che non somiglino a scrofe, galline o cavalli. Il sangue chiama. La bussola interiore porta sempre e comunque alla fattoria fuori mano dell'irresponsabile madre biologica; mentre colei che l'ha cresciuta, in paese, si strugge per diritti che non le spettano, la torta di compleanno intonsa, un letto vuoto. Dopo Vergine giurata, Laura Bispuri torna al cinema con un melodramma al femminile con i colori accesi, la telecamera a mano impegnata a seguire le protagoniste in piani sequenza impressionanti, una storia di maternità salveggia. Figlia mia è una carnale romanzo di formazione fra due fuochi, sotto il sole a picco, con affascinanti sprazzi kitsch e interpreti al loro meglio. Disarmante per immediatezza e generosità, è il rito iniziatico di una bambina contesa, voluta allo stesso tempo da tutti e da nessuno. Come succede alle anguille, stando ai racconti dei padri pescatori, viene partorita al largo per poi raggiungere il punto di partenza. Perché le bestie dalla natura acquatica e le figlie della Bispuri, tagliato il cordone, trovano sempre la strada di casa: a guidare le due litiganti, colei che dall'alto del suo sfacciato metro e trenta se ne frega della buona educazione e delle leggi degli uomini. In terre, in film, in cui raddoppiano l'emozione, le mamme, l'amore. (7,5)

Mirko e Manolo frequentano la scuola alberghiera, ma non vogliono essere camerieri. Proprio non se ne parla, di servire. Si desiderano padroni. All'inizio pensavano a un'attività in proprio, ma il destino ha piani alternativi. Hanno avuto la fortuna di investire l'uomo giusto: ricercato da un clan del posto, il latitante è stato freddato per caso da due ventenni su di giri, che fanno di quell'omicidio preterintenzionale una merce di scambio; un modo per svoltare. Il clan vuole sdebitarsi, li vuole a bordo. Perché se uccidere viene loro sorprendentemente facile, il malaffare è la via. Siamo nell'immancabile provincia romana di Garrone, Sollima, Caligari: volgare, stagnante, miserabile. Le femmine sognano i talent show alla TV; i maschi di continuare a giocare alla guerra. Qualche mamma nel frattempo fa i salti mortali per sbarcare il lunario e qualche padre – un inedito Tortora – liquida la morte come fosse un hobby. Applaudito all'unanimità al Festival di Berlino e vincitore della Migliore opera prima ai Nastri d'argento, l'esordio dei fratelli D'Innocenzo è una tragedia urbana pesantissima e potente. A sangue freddo. Non lascia scampo con i suoi schiaccianti primi piani e una scrittura in caduta libera, che da candida si fa efferata. Nuovo capitolo da inserire con successo nel filone dei drammi criminali, quelli che più ci riescono ma che più annoiano, La terra dell'abbastanza racconta sempre la stessa storia, sì; mostra sempre il solito sesso squallido e i soldi sporchi; tutto già detto, tutto già visto. Eppure, guardandolo, ho avuto la sensazione di assistere alla nascita di qualcosa di significativo: sentiremo parlare presto dei D'Innocenzo, che hanno un taglio indie come marcia in più, e degli scapestrati Andrea Carpenzano e Matteo Olivetti, che ricordano Marinelli e Borghi (amici-nemici al limite nello speculare Non essere cattivo) non solo per la fisicità o gli accenti. Anche se tra te e te credevi in fondo di averne avuto abbastanza, di spari a tradimento e ragazzi interrotti. (7)

Dici Miniero, e pensi subito ai remake su misura d'italiano. Dici Sono tornato, e ti vengono in mente il best-seller tedesco che non sei riuscito ad avere o la trasposizione che non ti ha mai interessato troppo. Vedi Popolizio, con una voce e una presenza sceniche straordinarie, e pensi che sia perfetto per il ruolo di colui che ingannava e incantava il gregge. Vedi Matano, ancora, e ti domandi cosa ci faccia in un film semiserio, e pensi che peccato: ti è sempre stato simpatico, sì, ma non che come attore convinca granché. Comunque poco male. Perché combattuto tra pro e contro, tra il desiderio di recuperare l'originale e la consapevolezza che questo aggiornamento potesse cogliere più nel (nostro) segno, sono andato a vedere la commedia satirica in cui a tornare non è il famigerato baffone, bensì il socio. Letteralmente piovuto dal cielo, si fa seguire da un aspirante documentarista – e a Matano, con il ruolo giusto, male non si può volere – in giro per uno Stivale da riconquistare. Gli extracomunitari, le unioni civili, la destra e la sinistra che non esistono più: a detta sua, il nostro disonore. Gli italiani lo trovano spassoso e affascinante, lo scambiano per un comico: gli danno un programma che fa ascolti, e tutte le ragioni. Miniero prende senz'altro il meglio dal film originale, sferza e smuove, ma il politicamente corretto resta – a sorpresa, direi, se parte di un Paese di spettatori permalosi, di gente più colpita dall'uccisione di un cagnolino in CGI che dalle persecuzioni razziali. Si ride dunque moltissimo, ma a denti serrati. Si ha paura, sotto sotto. Lo share, la popolarità, dicono come i più trovino il Duce non soltanto simpatico, ma una soluzione necessaria. Voce della ragione, una nonna smemorata che mette la pelle d'oca con i suoi ricordi shock. Al suo arrivo in sala, eppure, Sono tornato non ha fatto gran rumore. Troppo intelligenti gli italiani, o troppo punti sul vivo per proferire verbo?  Si ride nerissimo, ci si guarda indietro e avanti. Dove eravamo. Dove andremo. In una Italia su ruote, sui canali della TV trash, che spererebbe di riprendere tutto ciò che è suo. Un nulla di fatto, sublimato dalla peggiore forma di nostalgia. (6,5)

Si è riso più che con Favola. Si è storto il naso più che per la mancanza di carattere di Dopo la guerra. La soglia della credibilità, abbassata più che nella fiaba Tito e gli alieni. Ma non parliamo di una commedia grottesca, di un dramma politico che non sa bene che pesci prendere, di fantascienza per bambini; piuttosto della disperazione per la crisi economica, di sesso e potere, del lato sporco di internet. Di una ragazza che a diciott'anni mette all'asta la propria verginità per salvare la casa dal pignoramento. Lei è una De Angelis tutta tette a vista e bronci, che nella sua cameretta chatta con il romantico avatar doppiato dall'attore di Mommy e si concede un paio di topless davanti alla webcam. Donatella Finocchiaro, qui mesta e avvinazzata, è sua madre: ci prova anche lei a spogliarsi, a un certo punto, ma alla fine cuce alla figlia un vestito da Cenerentola per la temutissima notte con Haber: farmacista pescarese vizioso e repellente, con un improbabile sottoposto che conosce il Deep Web e una schiera di prostitute a cui proporre i peggiori giochi di ruolo. Vuole la carne fresca, adesso, di un'adolescente che non contempla altra via, che un lavoro non sembra mai cercarlo davvero, che ha fatto del proprio status la versione sozza di Ready Player One. Vorrebbe essere un dramma di denuncia ma ha gli scivoloni delle commedie sexy, questo Youtopia. Indifendibile su ogni fronte, brutto e immorale, ridicolo per sbaglio – vedasi i ben poco ammiccanti pruriti anali di una escort impegnata a flirtare col farmacista sbagliato o un annuncio che, nonostante le lacrime esagerate della Finocchiaro, genera l'ilarità in sala. Di cattivo gusto, senza uno sguardo o un briciolo di sex appeal, Youtopia è risate incerte a scena aperta e una bella De Angelis che, purtroppo, si perde nelle maglie della rete, e della bruttezza. (4)

Ho rivisto: Favola (7,5); Tito e gli alieni (7,5).

5 commenti:

  1. Figlia mia mi sono ripromessa di vederlo, perché mi piacciono le due attrici principali e per la tematica. Ho buone aspettative.
    Anche La terra dell'abbastanza e Sono tornato (quello su Hitler era carino, su questo ripongo speranze meno elevate :-D).
    L'ultimo ... passo :-P

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    1. Figlia mia, per me, è stato a mani basse il film più bello ed emozionante della rassegna.
      Mi segno, allora, di recuperare Lui è tornato. Anche se la mia riserva è una: cosa ne so io della politica tedesca da fustigare, oggi? Il messaggio, in una Italia purtroppo a me familiare, è arrivato invece forte, chiaro e insospettabilmente divertente.

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  2. Come sai il primo ha le carte in regola per faticare ad entrare in lista, mentre il secondo complice l'entusiasmo generale e qualche "capolavoro" spuntato qua e là potrebbe già esserci, anche se temo la noia, l'eccesso, il già visto che sembrano comunque esserci.
    Salto il remake anche se quanto mai attuale, e salto pure youtopia, la De Angelis ci prende gusto a mostrarci le grazie, ma farebbe meglio a scegliere con più cura i progetti.

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    1. Non insisto su Figlia mia... ma un po' insisto, sì. Alba impressionante, e tutti quei piani sequenza poi. Complimenti anche alla bambina protagonista, evidentemente nata imparata, per come li regge. La terra dell'abbastanza capolavoro proprio non è, già visto e già mostrato, eppure vedrai anche tu il potenziale da mettere a fuoco in futuro (tutti bravissimi, davvero).
      Sulle grazie di Matilda: fanno sempre piacere, nonostante lei mi stia poi parecchio antipatica, ma un copione valido non guasta mai.

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  3. Mi smonti così un film con una De Angelis tutta tette a vista e bronci?
    Io voglio vederlo comunque e poter gridare al capolavoro! :)

    Matano non lo sopporto e Sono tornato mi sa di fotocopia fascio-italica di quel film tedesco che, nonostante lo spunto iniziale interessante, già non è che fosse fenomenale...

    Da Matano alla Rohrbacher, chi reggo di meno? :)
    Nonostante l'onnipresente Alba, Figlia mia potrebbe anche piacermi... ma non ne sarei sicuro...

    La terra dell'abbastanza pare invece uno di quei film italiani, pardon romani, che ce piacciono. Devo costringermi a guardarlo, daje!

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