Non
avevo il fegato per battagliare con il decano, non più di quanto ce
l’avessi per battagliare con mio padre o con i miei compagni di
stanza. Eppure, nonostante tutto, battagliavo.
Autore:
Philip Roth
Editore:
Einaudi
Numero
di pagine: 136
Prezzo:
€ 10,50
Sinossi:
È
il 1951 in America, il secondo anno della guerra di Corea. Marcus
Messner, un giovane serio, studioso e ligio alle leggi, di Newark,
New Jersey, sta cominciando il secondo anno di università in un
campus rurale e conservatore dell'Ohio: il Winesburg College. Perché
ha deciso di frequentare il Winesburg invece del college della sua
città, a cui si era inizialmente iscritto? Perché il padre, il
risoluto e laborioso macellaio del quartiere, pare impazzito:
impazzito per la paura e l'apprensione di fronte ai pericoli della
vita adulta, ai pericoli del mondo, ai pericoli che vede incombere a
ogni angolo sul suo amato figliolo. Come spiega al figlio la
longanime madre messa a dura prova dal marito, è una paura che nasce
dall'amore e dall'orgoglio che il padre prova per lui. Ciò non
toglie che Marcus covi una rabbia troppo grande per poter ancora
sopportare di vivere con i genitori. Li abbandona e, lontano da
Newark, nel college del Midwest, si deve districare fra le
consuetudini e le repressioni di un altro mondo americano.
La recensione
“Cerca
di essere più grande dei tuoi sentimenti. Non sono io che te lo
chiedo, ma la vita. Altrimenti finirai spazzato via. Spazzato via
senza poter più tornare indietro. I sentimenti possono essere il più
grande dei problemi. I sentimenti possono giocare gli scherzi più
crudeli.”
Facendo finta che il Natale non fosse mai arrivato, negli scorsi giorni ho preferito tenermi leggero a tavola. Mentre sui gruppi Whatsapp arrivavano auguri come catene di Sant'Antonio, fotografie di pranzi da pascià e maglioni tesi su pance piene, io mi sono seduto in balcone, al sole, con il Kindle sulle ginocchia. La mia sola concessione alla pesantezza, la scelta volontaria del più grande autore della letteratura americana. Philip Roth, sconsigliato nei giorni di festa che domandano assoluta spensieratezza e poco indicato dopo pasti abbondanti, l'ho scoperto con i brindisi e i botti in lontananza: a celebrare, quasi, un primo incontro rimandato a lungo per il solito timore reverenziale e una lettura meravigliosa, in cui non pensavo di imbattermi con la sabbia della clessidra in progressivo esaurimento e i bilanci già fissati su carta. Ho iniziato in anticipo coi bei propositi di serietà, recuperando prima la saga familiare in pillole di quella Strout che non mi ha convinto e, infine, uno dei romanzi brevi a opera dello scrittore puntualmente depredato del Nobel. L'anno appena passato – un anno lungo e brutto, con troppi cambiamenti, pochi dei quali felici – mi ha sorpreso, però, serbando alla fine una delle letture più memorabili. Quanto ho amato Indignazione, su quel balcone su cui si è stati caldi fino a Santo Stefano. Quanto mi sono rivisto nei pugni chiusi, le unghie piantate a fondo nei palmi delle mani, di un protagonista che non dimenticherò. Indignazione è la storia della sua silenziosa e tragica rivolta. Siamo nel 1951. Marcus, diciottenne, è il figlio unico di un oppressivo macellaio kosher e della sua fedele moglie. Di altre generazioni, ma più limpido e schietto dei protagonisti di qualsiasi young adult, ha cugini che sono stati sepolti dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale e una sorte che non gli va a genio. Colto e intraprendente, primo della sua famiglia a immatricolarsi, non vuole portare avanti l'impresa dei parenti: a lavorare al bancone accanto al padre, d'estate, si è vergognato come un ladro, fra polli da eviscerare e pattumiere incrostate.
Ambisce a una preparazione accademica e ai benefici che
ottocento chilometri messi tra sé e una famiglia conservatrice
possono regalare. Dal provinciale New Jersey si trasferisce in uno
studentato in Ohio, arrangiandosi come cameriere: teme di morire
vergine, schiva le confraternite e persegue la solitudine, conosce
per la prima volta ragazzi estranei alla comunità ebraica (e
omosessuali, afroamericani, figli di coppie divorziate). Ma il
Winesburg College, aconfessionale solo in teoria, è un tempio eretto alla tradizione, in cui i dormitori femminili
sono severamente preclusi e gli studenti, bene educati ma immaturi,
sono soggetti a capricci infantili. Il protagonista, presuntuoso ma
coerente, litiga con Yahweh, i compagni di stanza e gli insegnanti,
quei genitori iperprotettivi che in sua assenza contemplano l'idea
della separazione. E c'è uno schianto di ragazza, Olivia, che
nasconde profonde cicatrici sui polsi e armeggia sapientemente con la
patta dei suoi pantaloni, china sui seggiolini della LaSalle chiesta
in prestito.
A chi ha riservato lo stesso trattamento, si domanda tra lo sconvolto e il lusingato un Marcus incapace di abbandonarsi senza drammi all'orgasmo? A tormentarlo, l'immagine premonitrice del sangue: le bestie al macello, il tentato suicidio della volubile Olivia, la minaccia non troppo remota della leva obbligatoria. Nella sua divisa inamidata, lo studente sguaina la penna a sfera e combatte i mulini a vento del conformismo e dei rovesci di fortuna: si arruola – con i suoi coetanei in partenza per la Corea – per un'altra guerra persa in partenza. Anche a rischio, come l'Ortis di Ugo Foscolo, di perdere per ben due volte reputazione, vita, amore. Gli salgono, così, a fiotti incontenibili, vomito, ispirazione e turpiloquio. Se sconfitto, si prenderà la soddisfazione di un sonoro vaffanculo pronunciato al momento propizio. E giù il sipario, con il fruscio delle bombe cadenti. Marcus, giovane per sempre, cerca disperatamente di uniformarsi agli altri. Si veste come i ragazzi delle brochure, acquistando di nascosto scarpe di camoscio, completo e cravattino. Si morde la lingua, tentando di darle un freno. Canta a fior di labbra un inno alla rivolta seduto di malavoglia nel suo banco a messa: la parola chiave è quella, sì, indignazione. Philip Roth, disincantato e mordace, tutt'altro che riguardoso, affida alla pagina – e sono pagine rade ed esaltanti, le sue, zeppe di scontri velati e struggenti soliloqui – la formazione di un adolescente genuino e a tratti esasperante, che vede sempre il bicchiere mezzo vuoto e non sa godersi la quiete dei giorni pari: uguale a me, che al contrario non amo battibeccare, né sentirmi dare inutili ragioni. Ma nel mio silenzio il non detto accende la miccia delle rimostranze e delle incomprensioni; e l'indignazione sobbolle.
Facendo finta che il Natale non fosse mai arrivato, negli scorsi giorni ho preferito tenermi leggero a tavola. Mentre sui gruppi Whatsapp arrivavano auguri come catene di Sant'Antonio, fotografie di pranzi da pascià e maglioni tesi su pance piene, io mi sono seduto in balcone, al sole, con il Kindle sulle ginocchia. La mia sola concessione alla pesantezza, la scelta volontaria del più grande autore della letteratura americana. Philip Roth, sconsigliato nei giorni di festa che domandano assoluta spensieratezza e poco indicato dopo pasti abbondanti, l'ho scoperto con i brindisi e i botti in lontananza: a celebrare, quasi, un primo incontro rimandato a lungo per il solito timore reverenziale e una lettura meravigliosa, in cui non pensavo di imbattermi con la sabbia della clessidra in progressivo esaurimento e i bilanci già fissati su carta. Ho iniziato in anticipo coi bei propositi di serietà, recuperando prima la saga familiare in pillole di quella Strout che non mi ha convinto e, infine, uno dei romanzi brevi a opera dello scrittore puntualmente depredato del Nobel. L'anno appena passato – un anno lungo e brutto, con troppi cambiamenti, pochi dei quali felici – mi ha sorpreso, però, serbando alla fine una delle letture più memorabili. Quanto ho amato Indignazione, su quel balcone su cui si è stati caldi fino a Santo Stefano. Quanto mi sono rivisto nei pugni chiusi, le unghie piantate a fondo nei palmi delle mani, di un protagonista che non dimenticherò. Indignazione è la storia della sua silenziosa e tragica rivolta. Siamo nel 1951. Marcus, diciottenne, è il figlio unico di un oppressivo macellaio kosher e della sua fedele moglie. Di altre generazioni, ma più limpido e schietto dei protagonisti di qualsiasi young adult, ha cugini che sono stati sepolti dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale e una sorte che non gli va a genio. Colto e intraprendente, primo della sua famiglia a immatricolarsi, non vuole portare avanti l'impresa dei parenti: a lavorare al bancone accanto al padre, d'estate, si è vergognato come un ladro, fra polli da eviscerare e pattumiere incrostate.
A chi ha riservato lo stesso trattamento, si domanda tra lo sconvolto e il lusingato un Marcus incapace di abbandonarsi senza drammi all'orgasmo? A tormentarlo, l'immagine premonitrice del sangue: le bestie al macello, il tentato suicidio della volubile Olivia, la minaccia non troppo remota della leva obbligatoria. Nella sua divisa inamidata, lo studente sguaina la penna a sfera e combatte i mulini a vento del conformismo e dei rovesci di fortuna: si arruola – con i suoi coetanei in partenza per la Corea – per un'altra guerra persa in partenza. Anche a rischio, come l'Ortis di Ugo Foscolo, di perdere per ben due volte reputazione, vita, amore. Gli salgono, così, a fiotti incontenibili, vomito, ispirazione e turpiloquio. Se sconfitto, si prenderà la soddisfazione di un sonoro vaffanculo pronunciato al momento propizio. E giù il sipario, con il fruscio delle bombe cadenti. Marcus, giovane per sempre, cerca disperatamente di uniformarsi agli altri. Si veste come i ragazzi delle brochure, acquistando di nascosto scarpe di camoscio, completo e cravattino. Si morde la lingua, tentando di darle un freno. Canta a fior di labbra un inno alla rivolta seduto di malavoglia nel suo banco a messa: la parola chiave è quella, sì, indignazione. Philip Roth, disincantato e mordace, tutt'altro che riguardoso, affida alla pagina – e sono pagine rade ed esaltanti, le sue, zeppe di scontri velati e struggenti soliloqui – la formazione di un adolescente genuino e a tratti esasperante, che vede sempre il bicchiere mezzo vuoto e non sa godersi la quiete dei giorni pari: uguale a me, che al contrario non amo battibeccare, né sentirmi dare inutili ragioni. Ma nel mio silenzio il non detto accende la miccia delle rimostranze e delle incomprensioni; e l'indignazione sobbolle.
Il
mio voto: ★★★★★
Il
mio consiglio musicale: David Bowie - Nature Boy
Mi rivedo molto in questa tua recensione, soprattutto per l'approccio a Roth. Anche io ci ho messo molto ad avvicinarmi, e anche io ne sono rimasta come folgorata. Il libro era Quando lei era buona, unico romanzo di Roth con protagonista una ragazza, e neanche a dirlo te lo consiglio tantissimo. A distanza di anni ancora non ho letto altro, le sue pagine mi sono arrivate talmente forti e potenti che ho continuato a rimandare in attesa del momento giusto. Ma non c'è un momento giusto, e sarà meglio che in questo 2017 io mi decida e basta.
RispondiEliminaSai, Julia, che non è un titolo che conoscevo, o almeno credo? Ne ha scritti così tanti. Segno, e grazie. ;)
EliminaVedo che sei riuscito ad avere la meglio su blogger! L'appuntamento con Roth è da troppo tempo rimandato a causa di una diffidenza che non so spiegare. Io credo che proverò con il libro letto da Julia: il fatto che la protagonista sia una donna potrebbe aiutarmi nell'impresa.
RispondiEliminaun saluto da Lea
Per una volta che Blogger non ha colpe, io lo infamo. Povero!
EliminaJulia ha incuriosito molto anche me. So che Roth è famoso, tra le altre cose, per i suoi personaggi poco amabili, ma a Marcus - che eppure ha una testa durissima - ho voluto davvero bene.
Mai letto nulla di Roth, ma da qualche parte bisogna pur cominciare... Stavo pensando a "Pastorale americana", ma anche questo sembra promettente! :)
RispondiEliminaAvevo pensato anch'io a quello, Sophie, ma sfiora le cinquecento pagine. Meglio abituarsi con qualcosa di più breve. Oltretutto, anche di questo c'è la trasposizione con Logan Lerman e Sarah Gadon (ce l'ho ancora da vedere, ma mi piacciono molto entrambi gli attori: buon segno). :)
EliminaNemmeno io ho mai letto nulla di Roth e non sapendo assolutamente da dove iniziare, mi affido al tuo parere e mi appunto questo titolo nelle letture del 2017 :)
RispondiEliminaGrazie per la fiducia, Sara! :)
EliminaUn Roth che ricordo per il finale malinconico e per qualche scena, che con gli anni e le letture, i suoi protagonisti che si portano appresso la stessa famiglia ingombrante e gli stessi sensi di colpa per il sesso, un po' li confondo.
RispondiEliminaDevo tornare a leggerlo, però, che mi manca.
E' proprio vero che gli scrittori, sotto sotto, scrivono sempre la stessa storia, eh? :)
EliminaPastorale Americana ha messo a dura prova le mie sinapsi, però con Roth non voglio mollare, prima o poi ci riprovo di nuovo e mi pare che questo romanzo sembri molto più nelle mie corde di quel (bel) mattone che era Pastorale Americana. :-)
RispondiEliminaNon mi dire così, Pirkaf, che già tentenno.
EliminaIo e questa "saghe familiari" non andiamo neanche molto d'accordo. Mi conosco: lo comprerei e lo lascerei lì a prendere polvere. Con queste storie più brevi, però, non c'è rischio. ;)
Perdonami, salto la recensione, la leggerò dopo il libro, ma ho notato il tuo parere positivo su Instagram.
RispondiEliminaPer me Roth è stato amore, la rivelazione del 2016.
La sua ferocia si insinua nelle trame della mente, la veridicità e la durezza di ciò che scrive, la capacità di usare parole che toccano corde profonde, tutto ciò, mi ha letteralmente stregata. Roth non è per tutti, sono felice che tu l'abbia capito e apprezzato, del resto dipende dall'anima che ci abita dentro, se manca della giusta sensibilità, questo autore non può fare breccia. Ti abbraccio e buon anno Michele.
Sono d'accordissimo, Cuore.
EliminaRicordo le parole splendide spese per Nemesi, se non sbaglio. Ho comprato un volume unico, in cui c'è anche quel romanzo lì. Spero di leggerlo a breve. Buon anno a te, a presto!
Si Nemesi...Che bello quel libro...Bucky Cantor abita ancora i miei pensieri...Ho letto Patrimonio a Natale e in questo momento in cui mio padre ha qualche problema di salute è stato uno schiaffo in faccia, la verità nuda e cruda condita da tanta dedizione e affetto. Un padre e un figlio che si ritrovano. Meraviglioso. Te lo consiglio ovviamente.
EliminaUn'amica che stimo molto e che mi ha iniziata a Roth, mi ha detto: "Mi raccomando Francesca, a piccole dosi, Roth è pretenzioso e ti consuma. Pastorale Americana va letto dopo molti altri suoi per essere apprezzato." Condivido con piacere con te questo consiglio.
EliminaDovrei fare il contrario, ma mi sa che mi guarderò prima il film e poi, eventualmente, recupererò il romanzo.
RispondiEliminaFaccio male, lo so già. :)
@Francesca, ruberò anch'io il consiglio della tua amica, allora. Segno anche Patrimonio, ti ringrazio!
Elimina@Marco, di passare al film non ho ancora voglia, ma i commenti in rete erano positivi: strano, con Roth. Anche se sì, secondo me va letto e ti piacerebbe. :)