Titolo:
Assassinio sull'Orient-Express
Autrice:
Agatha Christie
Editore:
Mondadori
Numero
di pagine: 210
Prezzo:
€ 13,50
Il
mio voto: ★★★
Qual
è il colmo per un blogger che vive di romanzi?
Non aver mai letto
prima d'ora Agatha Christie.
Qual
è il colmo per un romanzo interamente ambientato a bordo di un
treno? Leggerlo su un Frecciabianca guardando gli altri passeggeri
con occhi un po' sospettosi e sperando che nessuno di loro scambi
l'ironia per minaccia. Ho scelto proprio Assassinio
sull'Orient-Express per
apprezzare a colpo sicuro la madre del giallo inglese e per una
compagnia a tema durante un viaggio lungo sette ore. In sala,
intanto, l'incentivo dell'ultima trasposizione firmata Kenneth
Branagh. L'intreccio lo si sa a campanello: c'è un convoglio di
lusso che viaggia sotto la neve, d'inverno, da Instabul a Calais.
Ospita passeggeri disparati, per sesso, provenienza ed estrazione
sociale. Microcosmo itinerante di vite sconosciute che in realtà
hanno tutte qualcosa da nascondere; mille e un segreto a unirle.
All'improvviso, un urlo nella notte. La vittima, pugnalata più volte
nella propria cabina, è Samuel Edward Ratchett: gangaster sotto
falso nome, sfuggito alla giustizia dopo l'omicidio di una bambina
rimasto impunito. Chi (non) lo voleva morto? Indaga l'immancabile
Poirot: la testa tonda, i baffetti impomatati, la propensione tutta
sua nel trovarsi al posto giusto nel momento sbagliato. I sospetti:
dodici. Su un mezzo che sembra un teatro di posa, Poirot smuove le
acque e scandaglia con ordine esemplare. Ispeziona le storie
personali dei passeggeri, i loro bagagli pesanti, la solidità degli
alibi. Per questione di gusto, però, ammetto di averla
trovata pesante, a tratti, quella struttura troppo reiterata, troppo
schematica: da manuale, verissimo, ma lontana da me. Che alla
precisione delle risposte premetto la confusione delle
domande. Che al metodo della giustizia preferisco
invece il caos dei peccatori. Classico, teatrale, rigoroso, Assassinio
sull'Orient-Express mi ha
rivelato che il treno del talento di Agatha Christie non è passato,
no. Sa divertire. Soprattutto sa sorprendere, se ignari come me dei
risvolti di un finale tanto noto – un po' macchinoso, un po'
improbabile, ma sorprendente, sì. Molti giallisti hanno percorso
questa stessa tratta: sono passati da qui, da lei. Ma altrettanti, la
bellezza di ottantadue anni dopo, per fortuna sono andati anche oltre.
Autrice:
Marie-Aude Murail
Editore:
CameloZampa
Numero
di pagine: 208
Prezzo:
€ 15,90
Il
mio voto: ★★★+
Il
dottor Baudoin ha uno studio medico in centro, un collega
che è il suo esatto opposto, uno squadrone di figli che crescono. Tutte e tre le cose gli danno da pensare. Se
l'ambulatorio è diventato “una sfilata di stitici e rompipalle”,
se lavorare fianco a fianco a quel Vianney Chasseloup troppo ligio e
propositivo gli ricorda quanto sia diventato scostante con l'arrivo
dei cinquanta, a insospettirlo è piuttosto il comportamento di
Violaine – la figlia maggiore, quella che scopre il sesso e le
responsabilità, mentre i restanti fratelli pensano ora agli abiti
firmati, ora ai videogiochi. La figlia del dottor Baudoin è andata a
letto con un coetaneo, più per sfida che per amore. Violaine non è
noiosa come le dicono i compagni di scuola: visto? Violaine, matura ma a volte troppo avventata, non è pronta a diventare
madre. C'è la vita che cresce in lei e a poco serve fingere una
comune influenza; a poco basta rimandare a domani una gravidanza indesiderata. Il secondo romanzo che
leggo dell'instancabile e apprezzata Marie-Aude Murail parla di tutti
loro – inserito nella collana Le Spore
come young adult, ma intergenerazionale e senza peli sulla lingua
come solo certe commedie francesi sanno. Baudoin: un umorismo
caustico che si spreca e prescrizioni facili per togliersi presto di
torno il disturbo dei pazienti. Chasseloup: gli occhi dolci
nonostante un'infanzia difficile, un gatto randagio detto Cassonetto
e una fiducia cieca non nei farmaci, bensì nell'ascolto dell'altro.
La vulnerabile Violaine che, nel dubbio, proprio al giovane
Chasseloup si rivolge per non sbugiardarsi davanti a papà. A unirli
e dividerli, nell'arco dell'intero romanzo, un ascensore che sale e
che scende. Una visione antitetica ma magicamente complementare
dell'etica professionale, dei rapporti interpersonali, della vita.
Una scrittura frizzante, autoironica, che parla dell'aborto senza
sconfinare mai nel buonismo – anzi, sulle interruzioni volontarie
di gravidanza apre con violenza gli occhi – ma che potrebbe
prendere in contropiede chi, come me, non aveva messo nei patti
questa struttura corale. Si parla di ripensamenti. Di segreti. Di
confronti che fanno crescere a qualsiasi età. La decisione finale,
insomma, spetta all'adolescente o agli altri? Nella Murail non ci
sono né risposte giuste né risposte sbagliate. E, forse a
malincuore, un personaggio a cui spetti davvero l'ultima parola, in
un cicaleggio di punti di vista distanti, con al centro un tema caldo
e un po' di confusione intorno. La figlia del dottor
Baudoin mi è piaciuto ma,
semplicemente, non è il romanzo che avrei sperato di leggere.