lunedì 15 luglio 2019

Recensione: Storia di chi fugge e di chi resta, di Elena Ferrante

| Storia di chi fugge e di chi resta, di Elena Ferrante. E/O, p. 384, € 19,50 |

Dopo la promessa di rivederci presto, mi sono rimangiato le mie stesse parole: all'appuntamento con Lila e Lenù ho tardato. Mi sono presentato con sei mesi di ritardo, io che lo scorso gennaio mi dicevo eppure pronto, prontissimo, a proseguire nell'immediato. In passato avevo già fatto lo sbaglio di lasciare gli intrighi del rione per un lasso di tempo troppo lungo. Questa volta si sono intromessi a gamba tesa il tempo che scarseggiava sempre più, gli impegni per la stesura della tesi e qualche parere contro – in definitiva, tutt'altro che immotivato – che descriveva il terzo capitolo come l'ostico della serie. Avrei faticato, mi assicuravano tutti, a tollerare gli ennesimi sgarbi fra le due amiche; accanto all'asprezza della rapporto, inoltre, mi toccava mettere in conto anche le difficoltà del contesto storico – non più il dopoguerra, bensì gli anni della contestazione giovanile e del femminismo battagliero, della tentata rivoluzione proletaria. Ho fatto bene a frenare l'impazienza. Ad aspettare la rilassatezza di questi giorni d'estate rinfrescati dai temporali. Sarà perché debitamente avvisato, a sorpresa non ho fatto fatica. Anzi, quando ci sono entrato la cosa più complicata è stato uscirne incolume: tanto grandi sono l'immedesimazione e il trasporto, questa volta, che ho apostrofato le protagoniste con le peggiori parole – soprattutto Lenù, maestra di scelte incondivisibili – e per riprendermi dalla mia arrabbiatura, dai loro passi falsi, mi ci è voluto un po'. Capisco, adesso, la fatica della narratrice a mantenere l'aplomb necessario, le pose innaturali di signora perbene, ritornando in una città che ti tira fuori l'accento meridionale e la voglia di mandare affanculo gli automobilisti incerti. Il rione, il luogo delle radici, ti diseduca all'istante. Tornando a casa per un'occasione o per un'altra, si ha paura di rimanere incastrati per sempre lì. Un quartiere che è lo specchio di Napoli, o forse del mondo. Che la secondogenita dei Cerullo, non uscendo dal seminato, sia stata davvero lungimirante?

Abbiamo troppa roba dentro e questo ci gonfia, ci rompe. […] Puoi copiarmi, farmi il ritratto preciso come fanno gli artisti, ma la mia merda resterà sempre la mia, e la tua la tua. Ah, Lenù, che ci succede a tutti quanti, siamo come i tubi quando l'acqua gela, che brutta cosa è la testa scontenta. Ti ricordi quello che facemmo con la mia foto di sposa? Voglio continuare per quella strada. Viene il giorno che mi riduco tutta a diagrammi, divento un nastro bucherellato e non mi ritrovi più.

Lila, madre del piccolo Rino e coinquilina senza vincoli del dolcissimo Enzo, lavora nella ditta Soccavo. Abusata e malpagata, schiva le mani viscide del proprietario e si trova coinvolta in una lotta furibonda fra il sindacato e il datore di lavoro. La tensione è la stessa che respirava da bambina, quando il tirannico don Achille dettava legge: l'incubo, nel fermento degli anni Sessanta, è rappresentato dagli scontri sanguinosi fra fascisti e comunisti; dall'ossessione di Michele Solara, innamorato non corrisposto, che potrebbe riscattare la giovane donna introducendo le tecnologie nel calzaturificio – operaia di giorno, infatti, di notte Lila si trasforma in un'autodidatta interessata al funzionamento dei calcolatori. Per una buona causa, è giusto scendere a compromessi? L'amica, trasferitasi a Firenze, la immagina intanto come una fuorilegge da film western. 
Lenù, comprimaria assorta al ruolo di protagonista suo malgrado, prende posto ai margini: mentre gli altri si schierano in prima linea, lei ha i suoi quotidiani da spulciare; i suoi quaderni d'appunti. Reduce dal tour promozionale di un esordio inaspettatamente controverso – come se non bastassero, poi, le nozze con l'integerrimo professor Pietro: scandalose giacché celebrate con il rito civile –, collabora con L'unità e cade vittima della sindrome post parto. Invidiosa, guarda Lila dall'alto al basso. Tutt'intorno va infatti affermandosi un modello femminile che, tanto inconsciamente quanto brillantemente, la spregiudicata migliore amica incarna da anni. Che Lenù possa avere la sua rivalsa, per quanto impigrita dalla maternità e dal blocco dello scrittore, con la comparsa dell'indimenticato Nino?

Diventare. Era un verbo che mi aveva sempre ossessionata, ma me ne accorsi per la prima volta solo in quella circostanza. Io volevo diventare, anche se non avevo mai saputo cosa. Ed ero diventata, questo era certo, ma senza un oggetto, senza una vera passione, senza un'ambizione determinata. Ero voluta diventare qualcosa – ecco il punto – solo perché temevo che Lila diventasse chissà chi e io restassi indietro. Il mio diventare era diventare dentro la sua scia. Dovevo ricominciare a diventare, ma per me, da adulta, fuori di lei.

Si parla di piacere sessuale e pari opportunità. Di matrimoni di cui ci si stanca in fretta. Di personaggi meno numerosi che in passato, che qui si muovono però anche su altri sfondi – tutto il mondo, in fondo, è paese. Sono gli anni del terrorismo d'estrema sinistra e della confusione, delle droghe da sperimentare, delle rimostranze in pubblico e in privato. I telefoni fissi non tacciono un attimo, e la bolletta della luce sarà salatissima. Sono le interurbane delle amiche per curiosare nella reciproche vite, gli squilli di un flirt.
Elena Ferrante, spietatissima, le mette in vivavoce. A Lila e Lenù fa le pulci. Ce le rende due serpi antipatiche e opportuniste: sgradevoli ma perfino più che umane, sovrumane. Io, che da grande amerei fare questo mestiere, sarei in grado di raccontare il peggio dei personaggi principali – di una saga, per di più – senza aver paura di allontanare il lettore, che a torto giudica il libro in base alla simpatia del protagonista? Saprei volere male, non soltanto bene, alle mie creature; ai figli miei?

Volevo che si acquietasse ma lei non ci riusciva, mi rovesciava addosso frasi in disordine: non farmi leggere più niente, non sono adatta, mi aspetto da te il massimo, sono troppo sicura che sai fare di meglio, voglio che tu faccia meglio, è la cosa che desidero di più, perché chi sono io se tu non sei brava, chi sono?

Ho terminato Storia di chi fugge e di chi resta affascinato, turbato, ammiratissimo. Per le vie poco concilianti che imbocca, pur apparendo sempre coinvolgente. E per quei lati oscuri che mi metterebbe in soggezione scandagliare. Oggettivamente meno accattivante degli altri, è un plumbeo ingresso nell'età della ragione: mancano le magiche suggestioni di un'infanzia da monelle, o la spensieratezza dell'estate dei diciotto anni in quel di Ischia. Il terzo romanzo, un giro di boa, sa destabilizzare: manca il carisma di Lila, c'è troppa Lenù per i miei gusti, e la stizza indicibile verso l'epilogo ti farebbe dire alla storia grazie tante, a mai più rivederci. Ci si aspettava, infatti, un consolidamento; un capitolo filler. Ma l'autrice, piuttosto, ne fa una prova del nove per testare la fedeltà dei lettori, per vedere se – come da titolo – fuggiranno o resteranno. Signora Ferrante, io resto.
Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Luigi Tenco – Ciao amore, ciao

14 commenti:

  1. Ho letto solo il primo della serie e come te mi sono ripromessa di non far passare troppo tempo per leggere il seguito ma come spesso capita la vita reale è ricca di imprevisti. Sicuramente li leggerò tutti e complimenti per la recensione mi hai incuriosito ancora di più nel proseguire.

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    1. Grazie mille, e vai tranquilla. Il secondo si legge in un lampo.

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  2. Per carità, sono rimasta anche io (nonostante la pesantezza delle riflessioni di Lenù, santa creatura ma che due palle), tanto che sto leggendo il quarto capitolo anche perché obiettivamente il terzo termina con un cliffhanger non da poco.
    Ma l'odio che provo per Lenù (e Nino, porco giuda, Nino) è pari a quello provato per altri odiosissimi personaggi di un altrettanto intollerabile "capolavoro" della letteratura moderna italiana: La solitudine dei numeri primi.

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    1. La differenza grande, secondo me, è che la Ferrante li rende odiosi volontariamente, giostrandosi da Dio nei loro turbamenti; quelli di Giordano, invece, mi erano parsi soltanto mal riusciti.

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  3. Ecco, tu hai ceduto, io lo osservo ancora da lontano. Forse mi ci dedico in autunno, un po' spaventata dal giro di boa che mi condurrà verso l'età adulta delle protagoniste, ben lontana da infanzia e spensieratezza. Tu impeccabile, come sempre :)

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    1. Grazie, Anna.
      L'autunno gli si addice, ma è d'estate, complice il tempo libero, che cedo più volentieri ai (falsi) mattoncini. :)

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  4. Sono andata a rileggermi per capire cosa ne pensavo davvero, nonostante il tempo passato. E sì, continuo a preferirgli il numero due della saga ma qui nonostante l'odio dei protagonisti, mi sono trovata avvinta.
    Mi si era poi insinuato il dubbio visto lo stile diverso delle pagine dedicate a Lila che va a ricongiungersi a quell'inizio del tutto: che sia davvero lei a scriverle? Io resto convinta di sì.

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    1. Vado a rileggerti anche io, che ai tempi non potevo fare altro che commentare e promettere: prima o poi ti raggiungerò. :)

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  5. E ma non vale, cosi mi fai fremere dalla voglia di riprendere la serie!! Sono ancora ferma al primo >_<

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  6. Anche io non ho potuto fare a meno di restare in compagnia dei personaggi della Ferrante, solo che non ho potuto resistere a lungo perché la curiosità era troppa ☺️☺️
    Sono contenta ti è piaciuto anche questo volume 😊😊

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    1. Non avevo dubbi ma, ragionevolmente, lo tenevo un po'.

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  7. Sempre più convinta che devo iniziare questa serie... :-O

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