Al
piccolo Mateusz piacciono le stelle, i sorrisi, i seni pesanti che riesce a spiare dalla
scollatura delle clienti di mamma. Mateusz, piccolo anche a
venticinque anni, piegato in due da una grave disabilità fisica,
vede, capisce e sente. Fantastica sulle vite dei vicini e – come può
– combatte le piccole ingiustizie e i primi dolori. Fino al trasferimento in un istituto per
infermi, dove – tra le attenzioni di una volontaria, la scoperta
che c'è chi capisce, i soprusi – tenterà di imporsi come essere umano. Io sono Mateusz stupisce
per un delicatezza che ricorda un certo cinema francese che, anche
davanti alla pena, non si piange addosso e perché i paragoni con
La teoria del tutto non
andrebbero a suo sfavore. Se c'è una cosa straordinaria nel guardare
lungometraggi dalla provenienza quasi sconosciuta, lavoro di attori e
registi di cui non sapresti neanche pronunciare il nome, è che –
nella tua ignoranza – scambi la finzione per verità. E,
giuro, per tutto il tempo sono stato fermamente convinto che
l'interprete di Mateusz, magnifico, fosse davvero su una sedia a
rotelle, chiuso in un mutismo a cui la settima arte dà voce. Invece,
mentre i titoli di coda passavano, il vero Mateusz posa accanto al
giovane talento che è scomparso nella
performance. Cercate Dawid Ogrodnik, a fine visione, e stupitevi: è
un bellissimo ragazzo, in Ida era
il musicista che tentava la timida suora dai capelli rossi, questo
era il suo primo film. Straordinario, in una prova
degna di quella di Redmayne. Distribuito con due anni di ritardo dopo
la vittoria agli Oscar dello stesso Ida,
è un'altra testimonianza che il cinema polacco esistenze e non teme
l'espatrio. Dramma capace di alternare leggerezza e
profondità, sebbene il candore con cui si mostra la malattia generi
tanta umana commozione, vive di un protagonista sprovvisto di parola
e di una voce narrante, briosa e mai invadente, che in prima persona
– un po' come in Amélie
– parla di un favoloso universo di matti ed eroi, di cui Mateusz,
che rimanda saggiamente il lieto fine al giorno successivo, è il
grande capomastro. (7,5)
Ci
sono cose che, quando sei un liceale, non comprendi dell'universo
femminile. E ci sono cose che grossomodo non comprendi neanche dopo,
anche se una variante sembra ripetersi: nei gruppi di amiche, c'è
sempre un elemento che rende le belle più belle ancora e le
inarrivabili a portata di mano. Negli Stati Uniti, c'è un acronimo –
e un film – per indicarlo: The Duff. Commedia adolescenziale
dal discreto successo in patria e destinata al cinema
quando è estate, protagonista, tra l'altro, di una crisi
d'indentità senza precedenti: c'è il romanzo che si chiama,
infatti, Quanto ti ho odiato ma
in sala arriverà con un altro titolo ancora, L'A.S.S.O
nella manica. Com'è scoprire di
avere quel ruolo ingrato, in un trio affiatato? Ci ride e ci scherza,
anche se segretamente schiatta di delusione, la nerd Bianca, spalla
per sempre di due regine di popolarità. Chiedere una mano, perciò,
all'unico amico che le resta – popolare anche lui, ma
inconciliabile, con i modi da vincente e l'umorismo poco brillante,
alle passioni vintage e agli hobby del brutto anatroccolo di turno.
Come si piace agli altri, ma soprattutto, come si piace a sé stessi?
Le risposte sono a portata di mano, ma fino alla fine
The Duff, spigliato e
fresco com'è, estivissimo, si rivela una gradevole compagnia.
Misteri di un genere che, nella sua semplicità, in passato, ha
saputo spesso coinvolgermi, soprattutto quando era pensato con simile
ironia, e di una protagonista che resta fedelmente ancorata a salopette, rispostacce mirate e
principi azzurri stronzi. Insieme
all'alternativamente glamour Mae Whitman, campionessa di imbarazzi e
sorrisi, tante star del piccolo schermo che indossano con simpatia le
loro vecchie etichette – il fisicato The Tomorrow People,
l'odiosa di Scream, la
dolce bionda di AHS –
e insieme le spiccicano via e le incollano secondo nuove
combinazioni, in una puntata allungata di Awkward o,
meglio, in un ritorno alle commedie dei compianti anni '90.
(6,5)
Timida
insegnante in sovrappeso passata alla CIA,
innamorata pazza dell'agente segreto di cui è guida e consigliera,
viene coinvolta – dopo anni di dietro le quinte – in una missione
internazionale. Lei, che non ha certamente il fisique du
role, riuscirà a rivelarsi la
più impensata delle risorse? Niente di nuovo sotto il sole. Niente
di nuovo in questo Spy, che
eppure è stato un successone, e non si stenta a capire il
perché. Scritto e diretto da Paul Feig – che dopo il buon Le
amiche della sposa e il
dimenticabile Corpi da reato
sembra avere trovato la sua musa comica – Spy è
cucito addosso alla strabordante Melissa McCarthy, che torna a
divertire grazie alla sua fisicità
esagerata e alla battuta pronta. Per par condicio, sembra giusto che
– come l'eroe di Fleming – abbia anche lei diritto a due
valletti. I suoi Bond Boys: l'inglesissimo Jude Law – perfettino,
elegante – e Jason Statham – più sboccato, più ironico. Due, per bilanciare,
le ore complessive e pure i supercattivi: lo stereotipato Bobby
Cannavale e una Rose Byrne mai così splendida, che sfoggia qui
cadenze straniere e un'indomabile capigliatura. Parodia dell'amato e
odiato genere spionistico – sarebbe meglio dire ennessima parodia,
anche se lo spettacolare Kingsman,
quest'anno, ha già detto tutto – ha personaggi poco originali ma
impersonati da grandi mattatori e una
protagonista abbastanza ingombrante e simpatica da meritarsi, tra
qualche anno, un sequel che – prevedibilmente – non avrà tutta
questa freschezza; tutta questa energia. (6,5)
Cose
che deve avere la commedia romantica che dico io. Un
lui che incontra una lei in un'occasione strana. Una copertina con
due attori faccia a faccia, che mi fa pensare a lunghi dialoghi,
personaggi che si contano sulle dita, uno script intelligente. Il
resoconto minuzioso del ciclo vitale di una storia d'amore.
Comet ha più di qualche elemento che mi è caro. Il
sentimento tra Dell e Kimberly, logorroici e genialoidi, viaggia su
realtà parallele. Ma qual è l'ordine
corretto? Cos'è successo, cosa succederà, costa sta succedendo?
Sopra le righe, ma con stoffa da vendere l'esordio alla regia di Sam
Esmail – visionario il giusto, ben pensato e con al comando un
giovanissimo che, in rete, sta facendo parlare per la serie di cui è
autore: Mr. Robot. Più
nelle mie corde di quella meritevole storia di hacker, Comet
può vantare nel suo cast la
presenza di due attori assai in gamba – Justin Long e Emmy Rossum – e uno stile espressivo vivido e originale. Alle
spalle dei due, protagonisti di un amore che è una meteora che
impiega sei anni a passare oltre, un cielo con due soli, una pioggia
di stelle e un treno che passa davanti allo schermo verde. Strizzare l'occhio a tipi come Jonze e Gondry, mentre
Dell e Kimberly volano su piani temporali diversi e si trovano alla
fine, in cima a a un palazzo. Alle porte del sogno. Questa commedia
sui generis - stramba ma bellina – racconta la storia di una tipica
rottura con un atipico spettro di colore: l'amore pasticciato,
l'amore pasticcione. Il tema di due cuori tra passato e presente va
forte nel mélo – e i personaggi sono troppo teatrali e ciarlieri,
sì – ma le scene a casaccio della loro unione, come in 500
giorni insieme, ricordano il
buon cinema indipendente e l'ultima parte, imprevedibile,
insieme agli strati multicolore della stessa torta da sogno, ha un
che – pensate – di Inception. Quando
la finiranno di ronzarsi attorno? E poi la trottola smetterà mai
di girare? (7)
Un
bambino paralizzato a letto, con un'unica finestra che dà su un
mondo irraggiungibile. Finché da quella finestra non fa capolinea
una coetanea sfacciata e curiosa: si è trasferita da poco in città
e, in quel quartiere senza gioventù, sceglie il fragile protagonista
come migliore amico. Anche se non può giocare all'aria aperta; anche
se la sua famiglia è disposta a tutto per tenerli separati. Cosa c'è
nel passato di quella bambina vispa? Cosa nasconde, in realtà, una
famiglia stremata dal male peggiore? The Harvest –
produzione del 2013, passata sfortunatamente inosservata – parte
alla maniera dei drammi per famiglie che tanto tiravano qualche anno
fa – l'amicizia, e il quasi amore, tra un lui fragile e un'orfana
precoce – e si rivela, strada facendo, di tutta altra pasta. Se le
suggestioni degli horror – il campo di grano, lo spaventapasseri,
qualche spruzzo di sangue – e i risvolti del thriller psicologico –
la prigionia, il pericolo, il gioco del gatto col topo - potrebbero
potenzialmente essere fiaccate dalla regia di un John McNaughton
arrugginito, The Harvest – nonostante la
bidimensionalità della confezione – rimonta in sella grazie alla
presenza di due attori di cui vantarsi a gran voce. I mancati premi
Oscar Michael Shannon e Samantha Morton; sottovalutatissimi: lui
obbediente e schivo; lei, straordinariamente crudele come la Bates,
infermiera assassina in Misery. Lieve nella prima parte,
nevrotico nella seconda, sa piazzare al momento giusto un twist ad
effetto per mettere alla prova la solidità delle sue stesse
fondamenta, rivelandosi – a sorpresa – un valido film di genere.
Un mènage familiare senza respiro, infatti, fa da base a un thriller
claustrofobico e riflessivo, su prigioni che hanno la carta da parati
colorata al muro e, alle finestre, le tende ricamate. Case di bambole
di cui non siamo padroni e nelle cui stanze segrete vivono colpi di
scena che hanno del tragico. (7)
Una
ragazza in fuga, un chitarrista timido, una rampolla che prende
lezioni di piano sperando che il talento, che viaggia forse porta a
porta, raggiunga anche lei. A unirli, la musica – suonata,
inseguita, sognata - e una lunga estate insieme. God Help the
Girl, premiato al Sundance e
scritto dall'anima dei Belle and Sebastien, è un musical di quelli
mai visti. Dimenticate gli acuti, lasciate a casa le luci dei
riflettori, abbandonate l'idea di coreografie complicate e canzoni
che fanno tanto Broadway. Qui si cammina dove i turisti non passano e
si accennano piccoli passi di danza; ci si veste con studiatissima
trasandatezza; i pezzi – saltati fuori da un diario di disturbi
alimentari e fragilità adolescenziali – suonano come improvvisati
lì per lì, semplici e riempiti, all'occorrenza, con tanti “la la
la”. Ma dietro a una colonna sonora di canzoni indie-pop leggere
come piume c'è un grande compositore e, in meno di due ore, infinita
voglia di stare bene, nonostante i personaggi non se la spassino
proprio un mondo. Una anoressica, un'altra un tantino incapace e il
terzo, l'unico maschio del gruppo, innamorato matto di una ragazza
che scappa, dice bugie, fa l'amore coi cantanti che strillano il rock
'n roll. Protagonisti bene a fuoco, la stonata Hannah Murray che, per
tutti, è la Cassie di Skins;
il dinoccolato Olly Alexander, voce del gruppo Years & Years –
che con la loro King mettono
addosso la voglia di ballare – dal look che invidio; la fata di
porcellana Emily Browning, che canta, incanta e mi ricorda a ogni
battito di ciglia sui suoi occhi di cerbiatta perché, quando ero
bambino, mi innamorati di lei in Lemony Snickets.
Quanto sei hipster? Per l'inverno, in mancanza della chitarra in
spalla, sto lasciando crescere una barba finto incolta. Quanto è
bella questa Eve? Sono un suo affezionato stalker da quando entrambi
non avevamo l'età e nell'adorabile God Help the Girl è
ribelle come una diva del Beat. Quanto è alternato il musical che se
ne infischia? Tanto da essere adatto a pochi, da gustarsi coi
sottotitoli, da finire sugli mp3 con le sue canzonette messe su senza
sforzo e sfarzo. Quanto lo stile? (7+)
Un
cliché di pop star si innamora della sua guardia del corpo, dopo che
lui la salva da un
tentato suicidio. Un cliché di storia d'amore, per una cantante che
ricorda un po' Rihanna, ma vorrebbe fare il
verso alla buonanima di Whitney Huston e a Kevin Costner, con il suo
moroso, in The Bodyguard. Beyond the lights –
dramma musicale all black, in cui i pochi personaggi bianchi sono
spregevoli: la mamma menager, il paparazzo invadente, l'ex tutto rap
e tatuaggi che pare Fedez, i discografici – è prevedibilissimo, ma
diversamente da Empire sono
riuscito a vederlo per intero. Nonostante il razzismo al contrario e la mancanza di pezzi degni. Se quelli intonati dalla brava
protagonista, infatti, oscillano dal brano pop-tutto-poppe al lamento
melodico, a fare da sfondo al colpo di fulmine ci pensano Nina
Simone, Jamiroquai, Beyoncé, Birdy, Rita Ora – quest'ultima,
candidata agli Oscar per la bella Grateful che,
aguzzate le orecchie, si sente prima dei titoli di coda. Ma,
nonostante sapessi prevedere dialoghi e situazioni con ore
d'anticipo, Beyond the lights è
come la sua protagonista, questa brava Gugu Mbatha-Raw che,
abbandonati gli abiti succinti e le parrucche a fantasia, si scopre
non una personcina a modo e non la regina delle cafone. La pellicola
si rivela delicata soprattutto nella seconda parte, con una mezza
fuga d'amore e lo scoprirsi innamorati ugualmente anche al di là
delle luci del titolo. In un processo inverso che vede il brutto
anatroccolo delle prime immagini, diventato cigno multicolore,
ricercare la bambina solitaria degli inizi. (5)
The Duff è la solita storia adolescenziale trita e ritrita? Me l'ero segnato, giusto per curiosità. Il libro lo lascio perdere a priori, la Newton Compton, a parte i MiniMammut, siamo raramente compatibili.
RispondiEliminaComet invece non lo conosco ma mi ispira.
P.S. Ho terminato One Day. Un po' me l'aspettavo che finisse così, anche senza aver avuto spoiler. Spero di recuperare il film a breve. :)
E' la solita commedia trita e ritrita sì, ma strizza l'occhio alle teen comedy cult di quindici, vent'anni fa - da Kiss Me a 10 Cose che odio di te - quindi si fa apprezzare, a modo suo. Sei stata brava a non beccare spoiler: dal film, passato spesso anche su Rai Tre, avrebbero potuto rivelarti il finale in tanti. ;)
EliminaI titoli che hanno un voto dal sette in su li ho già appuntati.
RispondiEliminaThank You per i suggerimenti. :)
Parecchi, oggi, non so neanche io dove li ho pescati.
EliminaPer fortuna, ci sono i subber ;)
Spero ti piacciano. Passerò a leggerti ;)
RispondiEliminaCon Spy, divertimento assicurato. E, insieme al resto, era prevedibile anche la risata garantita, con una come la McCarthy.
Comet mi ha letteralmente rubato il cuore, quanta bellezza! Così come God help the girl e la sua hipsterica semplicità dominata da una Emily che cattura ogni sguardo.
RispondiEliminaMateusz mi aveva incuriosito alla sua uscita al cinema, visto che non se ne è vista l'ombra in sala, potrei andare di versione casalinga, nonostante il tema non certo leggero, le tue parole promettono il giusto brio.
Sul resto, anche no, quelle sufficienze strappate non bastano a convincermi.
Si vuole indubbiamente tanto bene a Mateusz :)
EliminaMateusz me lo vedrò, anche se mi pare poco estivo...
RispondiEliminaThe DUFF carinissimo. Ne parlerò quando arriverà nei cinema italiani con quel titolo terrificante...
Comet lo vedrò a breve...
Spy per me è più divertente di Kingsman con l'odioso Colin Firth.
God Help the Girl gioiellino assoluto e grande Olly Alexander!
Beyond the Lights poteva essere meglio, ma comunque recuperati Empire, che è una figata totale! ;)
Empire lo "seguicchiavo", ma mi è passata la voglia, poi. Riproverò, magari.
EliminaSì, Mateusz non è estivissimo, ma scorre senza appesantire troppo il petto.
E poi, in estate, complice tanto tempo da buttare, io mi guardo i migliori polettoni, oh: in lista, ne ho almeno tre, che complessivamente dureranno, tò, dieci ore. :-D
Spy mi incuriosisce, un po' di freschezza ci vuole in questo periodo! E poi.. The Harvest (sfuggito anche a me) voglio assolutamente vederlo!!
RispondiEliminaBene ;)
EliminaLi voglio vedere tutti, a parte "Beyond the lights" che a quanto pare è un po' una delusione (per usare un eufemismo! XD)
RispondiEliminaAh, "Spy" invece l'ho visto, e l'ho adorato! <3
Non sono sicura neppure io del perché: so solo che ho riso come una matta e mi sono divertita un mondo... al punto da essermi andata a recuperare, la sera dopo, "Le amiche della sposa": carino anche quello! :)
Le amiche della sposa, quasi quasi, lo rivedo.
EliminaRidere fa sempre bene :)
Negli ultimi anni, causa figlie piccole per me il cinema ormai è sinonimo di cartoni animati e benché li ami alla follia ogni tanto ne faccio volentieri a meno così per puro spirito di divertimento ho visto Spy ed ho riso come una demente per tutto il film. concordo in pieno con il tuo 6,5 ma posso candidamente ammettere di averlo adorato.
RispondiEliminaMa certo, Chicca. Quella Melissa è contagiosa :-D
EliminaThe Duff l'ho trovato davvero fresco e molto carino: diverso dal libro, si, ma comunque più che apprezzabile. Le traduzioni italiane sinceramente non mi piacciono proprio, sia quella del libro che quella del film: sono felice di averlo visto e letto in lingua orginale ;)
RispondiEliminaSpy mi ispira molto e anche God help the Girl: cercherò di recuperarli al più presto!
Un saluto :)
A presto ;)
Elimina