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mercoledì 5 giugno 2019

Recensione: L'ultima notte della nostra vita, di Adam Silvera

| L'ultima notte della nostra vita, di Adam Silvera. HotSpot, € 16, pp. 354 |

Cosa faresti se nel giorno fatidico la chiamata di un apposito call center ti annunciasse che hai le ore contate? In un futuro non troppo lontano, in cui tutto e tutti hanno una data di scadenza, non esisteranno più lutti lancinanti e lasciti insoluti. La morte, che sia quieta oppure virulenta, ama annunciarsi con ventiquattrore di preavviso. Fra i malcapitati ci sono Mateo e Ruben. Che hanno diciotto anni e, all'inizio, pensano a un bug, a un errore del sistema. Non si è forse immortali a quell'età? La telefonata dei piani alti, spiccia e senz'anima, li sorprende mentre badano a tutt'altro. Il primo, rintanato in camera, ammazza il tempo giocando ai videogiochi fino a tardi – ignaro che sarà il tempo, in giornata, ad ammazzare lui. Il secondo, orfano attaccabrighe ospitato in casa famiglia, riempie di botte il fidanzato dell'ex ragazza. Lasciano tutto come sta – anche se i guai di Ruben, no, non vogliono abbandonarlo – e benché l'idea della mortalità faccia paura vanno a vivere. Qualsiasi cosa comporti. Dappertutto, trappole letali e grandi opportunità. Meglio guardare a destra e a sinistra prima di attraversare, preferire le scale all'ascensore, lasciarsi alle spalle l'uscio e affrontare la notte. Con i suoi misteri, con le sue promesse. Forte di uno spunto elettrizzante e angoscioso insieme, nonostante una certa somiglianza con il peggio riuscito Deathdate, Adam Silvera e i suoi personaggi cercano l'eterno nelle piccole cose e l'immortalità in una passeggiata al chiaro di luna.

Non importa quante volte guardiamo da entrambi i lati per attraversare la strada. Non importa se non ci buttiamo col paracadute per non correre rischi, anche se così non avremo mai l'occasione di volare come i miei supereroi preferiti. Non importa se teniamo la testa bassa quando passiamo accanto a una gang in un quartiere malfamato. Non importa come scegliamo di vivere, alla fine moriamo entrambi.

Mateo è solo al mondo, Ruben è talmente nei pasticci da dover salutare la sua cricca prima del previsto: sono perfetti sconosciuti ma, galeotta una app che abbina in extremis persone spaiate, diventano migliori (e ultimi) amici. Si spronano a vicenda, hanno cura l'uno dell'altro. Sperano fermamente di essere l'eccezione alla regola. Sinceri fino alla fine, come capita fra condannati a morte, squarciano il cuore del lettore lì dove la scrittura semplicistica di Silvera potrebbe lasciare insoddisfatti. Si innamorano, essendo un romanzo cupo ma pur sempre a tinte arcobaleno, e non c'è niente di forzato nello svelamento della loro sessualità. Il nevrotico Mateo ha passato l'adolescenza a nascondersi per non fare outing. Il padre e la migliore amica, Lidia, eppure lo avrebbero accettato a braccia aperte. Ora che il genitore giace in coma da settimane e l'amica piange in anticipo la sua dipartita, dove trovare lo spazio e il tempo per mettersi l'anima in pace? Ruben, sopravvissuto all'annegamento della sua intera famiglia, vive invece con naturalezza la propria natura: dichiaratamente bisessuale, coraggiosissimo su carta, in realtà nelle foto in bianco e nero su Instagram confessa i contro di una vita tutt'altro che rose e fiori. Credono nel destino? L'aldilà per loro è un cinema, un'isola sulle nuvole, oppure non esiste? Moriranno entrambi, il titolo originale lo mette in chiaro a priori, ma in un conto alla rovescia di 350 pagine bisogna scoprire come. La loro amicizia forse li grazierà, forse li ucciderà. Nel dubbio se ne vanno a passeggio nella New York delle commedie di Woody Allen e degli attentati terroristici, fra feste in metropolitana, esperienze virtuali, case di Lego, canzoni al karaoke e libri regalati al primo passante.

Rufus ha fatto così tanto per me, e io voglio aiutarlo ad affrontare i suoi demoni; solo che non possiamo sfoderare spade di fuoco o croci che diventano pugnali da lancio come in un libro fantasy. La sua compagnia mi è stata d'aiuto e forse la mia lo aiuterà a guarire le ferite del suo cuore. Dodici ore fa ho ricevuto la telefonata che mi diceva che sarei morto oggi, e sono più vivo adesso che allora.

Nello stile errabondo del Sole è anche uno stella, young adult che colgo l'occasione per consigliarvi dal nuovo, L'ultima notte della nostra vita si frantuma senza che ce ne sia bisogno in una molteplicità di punti di vista e microstorie. Qualcuno dei Decker asseconda la chiamata, qualcuno si oppone, qualcuno impazzisce. C'è chi lotta e chi abbraccia l'imponderabile, c'è chi vive fino all'ultimo minuto e chi muore ripiegato su sé stesso. In una società alla Black Mirror anche il voyeurismo dei social si è adeguato in fretta: i predestinati si suicidano per sfida, gli scommettitori online puntano su chi spirerà nella maniera più originale, le giornaliste in cerca di scoop fanno l'errore di perdere di vista il nocciolo della questione. Adam Silvera ci scrive sopra un romanzo dolcissimo e spietato, che non rimanda a domani dolori e gropponi amari. Sono concentrati qui, in una storia lunga una sfida contro sé stessi. Si confida, eppure, in un colpo di scena per questi due protagonisti adorabili e complici. Invano? Mettete in conto palpiti e lacrime, i vostri migliori sorrisi amari e uno stile senza infamia né lode che non sta al passo con questi due eroi sempre a zonzo, sempre vitali, anche se era difficile. Se non indimenticabile, l'autore sa comunque rendere speciale il loro congedo. Raccontandoci tutti i modi per morire e, soprattutto, qualcuno per vivere. 
Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Elton John – I'm Still Standing 

sabato 25 agosto 2018

Recensione: La vita nonostante tutto, di Tim Federle

| La vita nonostante tutto, di Tim Federle. Il Castoro, € 15,50, pp. 280 |

Crescere, che fatica. Avete quasi diciassette anni, tra bombardamenti ormonali e l'incertezza nel futuro: fatica doppia. Metti poi che ti piacciano da sempre i ragazzi, ma la parola omosessualità ancora spaventa. Qual è il tempo per conoscersi meglio, per scoprirsi già uomini, se alla complessità del disegno tocca aggiungere il dramma di una mamma gravemente in sovrappeso, che di un papà fedifrago è diventata in fretta lo zimbello, e di una sorella maggiore che così, da un momento all'altro, ha deciso di distrarsi alla guida e morirci? Quinn – e no, l'imbarazzante nome di battesimo non può figurare nella lista delle sciagure di famiglia – in realtà, adesso, di tempo per rimuginare ne avrebbe a bizzeffe. Esperto nell'arte di rimandare a domani quello che potrebbe fare oggi, vorrebbe esitare all'infinito davanti all'inevitabilità di diventare grande, così come ha già fatto con il condizionatore da montare in camera, un bruttissimo murales che proprio non rende giustizia alla bellezza della parente scomparsa, l'acquisto di un nuovo cellulare, la domanda di ammissione a un concorso per sceneggiatori a Los Angeles. Sì, perché l'eccentrico Quinn – una autentica drama queen: d'obbligo il gioco di parole – vorrebbe seguire le orme del vicino di casa ormai famoso, che da bambino l'ha inconsapevolmente iniziato alle meraviglie del cinema e alle prime avvisaglie delle cotte in arrivo. C'è un problema però. Non sa ancora camminare con le proprie gambe. Non sa immaginarsi unica penna, unico pilota, senza le preziose dritte della sorella che non c'è – lei la regista dei suoi corti sperimentali, lei la regista della vita di quel protagonista che spesso parte per la tangente davanti a responsabilità grandi e piccole. Non saranno più come i Coen, i Farrelly o le Wachowski. Una ragione valida, forse, per fare carta straccia di un sogno condiviso fino all'ultimo? Per quanto ancora si può evitare l'inevitabile, infatti: primo amore compreso?

Non c'è niente di meglio che non sentirti più te stesso. Almeno, se sei me.

Il Liberty, cinema del cuore, minaccia chiusura, venuto meno lo storico proprietario; Geoff, il tipo di migliore amico che battezza i propri peti, ha un segreto pronto a venire alla luce; Amir, universitario di origini iraniane che a un appuntamento romantico strappa il biglietto per un film di Kurosawa sottotitolato, trova che Quinn nasconda un bel sedere nei jeans, e la consapevolezza potrebbe fare improvvisamente di lui non più l'ultimo vergine d'America. La vita fino a quel momento è stata un film agrodolce ma pur sempre con capo e coda. Ora le pagine si confondono, si sovrappongono, se il naturale divenire delle cose sovverte le regole tutt'altro che fisse della scrittura creativa. Le promesse rischiano di diventare bugie a lungo andare, e il pensiero che ci siano cose che la sorella non farà mai – dare un bacio, fare sesso – paralizza per il senso di colpa, benché ci siano aneddoti che il protagonista verrà a sapere solo dopo, per bocca di terzi.

C'è una corrente della psicologia, chiamata psicologia positiva, mi ha spiegato la mia terapeuta, che dice che la cosa migliore per andare a incidere sul modo in cui guardiamo la nostra vita è considerare quello che si ha, piuttosto che quello che non si ha. E quindi, potrò anche non avere un cellulare, o una sorella che mi aspetta a casa, o un padre, o un futuro, ma santa la miseria: ho il cielo.

La vita nonostante tutto è una commedia adolescenziale che con il linguaggio caro ai fanatici della settima arte s'interroga con autoironia sui tre atti canonici del viaggio dell'eroe – topos da cui ogni avventura esistenziale, tanto su pellicola quanto su carta, prende tradizionalmente avvio. Quanto ti arricchiscono e quando, invece, ti incasinano e basta? Si affastellano tanti dispiaceri, ma siamo lontani dall'intensità di The Sky is everywhere. Si toccano tanti temi importanti, e la leggerezza è quella dell'altrettanto indolore e gay friendly Non so chi sei ma io sono qui. Si alternano tante pagine narrative ad altrettanti stralci di sceneggiatura, ma la genialità di Quel fantastico peggior anno della mia vita non è purtroppo di casa. Nonostante il “tanto” dappertutto, stano ma vero, drammi, spunti e trovate non sembrano abbastanza. Colpa e merito di una scrittura senza peso, più che leggera, che non s'imprime né fa grande simpatia. Di un protagonista sopra le righe, spiritoso a ogni costo, che fra apostrofi ai lettori, il maiuscolo a sproposito, l'abbondanza dei colloquiali “tipo” e “ah ah”, a tratti irrita mentendo a noi e a sé stesso. 
Crescere, che fatica: lo si diceva in apertura. Pesa meno, se intervengono l'ironia e la leggerezza di un narratore che questa volta ho mal sopportato. La vita nonostante tutto avrebbe avuto bisogno di qualche ritocco in post-produzione e delle diritte di un co-sceneggiatore onesto. Per farsi Young Adult che piaccia anche a noi, lettori cresciuti. Per farsi film in streaming degno di essere visto e rivisto.
Il mio voto: ★★½
Il mio consiglio musicale: Dear Jack – Domani è un altro film

lunedì 16 aprile 2018

Recensione: Mary e il Mostro, di Lita Judge

| Mary e il Mostro, di Lita Judge. Il Castoro, € 15,50, pp. 312 |

In anteprima allo scorso Torino Film Festival aveva il fuoco interiore e la bellezza statuaria di una Elle Fanning ancora inedita nelle sale. Mary Shelley, nella romanzata e romantica biografia della regista saudita Haifaa Al-Mansour, era un'eroina d'altri tempi con il desiderio di prendere il mondo a morsi e d'imporsi a testa alta sulla logica maschilista della Londra vittoriana. Qualche dettaglio sfuggiva, nella fretta di due ore di cronaca, ma a distanza di mesi ne ricordo bene la curiosità intellettuale, l'innata grazia, i drammi; la voglia di approfondire, anche a costo di farmi male, gli impulsi che portarono una ragazza di diciotto anni appena a meditare sui moventi e i punti di rottura (e sutura) di un mostro che – per umanità, per ferocia – non ha mai smesso di rubarci notti e donarci spunti di riflessione. Mary Wollstonecraft Godwin: chi era davvero? Non condensata in un feuitteton, anche se di quelli assai ben fatti. Non sottoposta alle leggi dei padri, degli editori e di quella natura matrigna di cui, superba a giusta ragione, la scrittrice si rivelò a sorpresa superiore.

Raccolgo le gambe e le braccia
per farmi piccina.
Ma non sarò mai così piccola
da smettere di pensare.

La racconta fra i versi e le immagini una biografia assolutamente singolare, scritta e illustrata da Lita Judge. Un diario poetico in bianco e nero, al carboncino, con il fascino della graphic novel e le parole centellinate ad arte del flusso di coscienza. 
Chi era, ancora, il suo anonimo mostro, al quale i più attribuiscono per errore il nome del folle creatore che lo creò per poi abbandonarlo a sé stesso?

Le ragazze dovevano essere gentili
e obbedire alle regole.
Le ragazze dovevano essere silenziose
e ingoiare punizioni e dolore.

Ma lei non si nascose.
Non si lasciò zittire.
Lottò contro la crudeltà della natura umana.
Scrivendo.

Nacque in una casa piena di libri, con la notte tagliata in due da una cometa dal nome di donna. Il padre, libraio spregiudicato piegato dal pugno di ferro della seconda moglie; la madre, poetessa dai costumi notoriamente liberali, morta dando alla luce la secondogenita. Le dissertazioni di Coleridge a cena, e l'idea di poter diventare qualsiasi cosa volesse. Prima dei debiti. Prima del colpo di fulmine per Percy Bysshe Shelley: dongiovanni già sposato e affatto intenzionato a far di lei una donna onesta, la destinerà a un'esistenza errabonda, sulla scia di un sogno – quello della scrittura – che prima li unisce e poi li divide. Le loro migrazioni continue con al seguito Claire, sorellastra di Mary e compagna di letto di Percy, li condurranno dalle speranze infrante della Francia napoleonica all'Italia vacanziera, fino alla villa di campagna del dissoluto Lord Byron. Lì, nel bel mezzo di una tempesta metereologica e creativa, nascerà per sfida e per sfogo un capolavoro della narrativa gotica. Nel mezzo: la perdita di un figlio, il disonore per i continui tradimenti coniugali e, in uno splendido covo di angeli caduti, ecco consumarsi la rivoluzione dell'amore. 
In pieno XIX secolo, l'oppio, l'abbraccio del fiume e i dolori del parto uccidono spietatamente molte delle figure femminili che incrociano la strada di Mary. Ma le donne, fragili e sfortunatissime in epoche così malsicure, sono fatte però della stessa sostanza dell'Onnipotente: creano la vita da una spinta, da una scintilla.

Creare spezza le ossa,
come le membra di un neonato
che spingono attraverso il corpo della madre.

E' un cuore che batte,
come il bambino appena nato
che tieni in braccio.

E' terribile,
e bello,
come imparare a respirare di nuovo.

Le scintille sono quelle del fulmine, delle scosse elettrostatiche, quando il mostro si solleva dalle pagine e dal tavolo autoptico. Frankenstein è metafora di un altro parto, per una Mary dal grembo e dal cuore ormai inaridito. La costola di Eva. Un alter-ego dell'autrice stessa, dei suoi figli bastardi, che fa da giustiziere e da cassa di risonanza. E allora può crearsi un dialogo fra loro, creatura e creatrice, in un evocativo gioiellino di forma e contenuto da esporre con vanto in libreria. Da sfogliare, leggere e rileggere, per rinfrancare a qualsiasi età occhi, cuore e mente. 
Oltre che per l'indicibile cura dell'impaginazione, Lita Judge sorprende infatti per una scrittura interessantissima, a confine, che non si accontenta di fare da semplice didascalia. Per saperne di più dei dolori del processo creativo, dei reali retroscena. Per scoprire un'arte a tutto tondo che non mi appartiene, no, eppure mi chiamava da un po'. Dalle nebbie da un tempo – due secoli, ormai – che è sembrato volare. Dalla tomba, a sei piedi sotto terra.

lunedì 9 ottobre 2017

Recensione: Tutta colpa delle meduse, di Ali Benjamin

| Tutta colpa delle meduse, di Ali Benjamin. Il Castoro, € 13,50, pp. 317 |

Quest'anno sono arrivato impreparato alla sessione d'esami e all'arrivo dell'autunno. Erano lì, e io non avevo fatto neppure il cambio di stagione. Soprattutto: troppo da studiare, e mancavano i romanzi giusti sul comodino. Ne ho iniziati un paio senza successo, ma la colpa era più mia – anzi, dell'organizzazione delle università statali – che loro. Non leggevo da una settimana quando il postino mi ha portato Tutta colpa delle meduse. Ufficialmente, il romanzo per i più piccoli di cui avevo bisogno. Come volevasi dimostrare, l'ho terminato in due sere, scoprendolo degno della bellezza della sua copertina illustrata, dei prestigiosi premi vinti qui e lì, del catalogo di una casa editrice che non sbaglia mai. Lieve, scorrevole, ma dalle riflessioni cruciali (sul tema, sempre per ragazzi, vi ricordo la sorpresa che fu Voce di lupo). Amo i romanzi che si rivolgono a questo target con onestà, meno l'impiego della prima persona; i narratori che scimmiottano le voci dei bambini, rendendosi irritantissimi ventriloqui. Non è il caso di Ali Benjamin, per fortuna, e di una storia che non fa sconti.

Il veleno è una difesa. Più fragile è l'anima e più ha bisogno di proteggersi.

Si parla di bambine che si scoprono adolescenti. Si parla di dodicenni che, nell'estate tra la prima e la seconda media, muoiono: non ci torneranno più, a scuola, sfoggiando l'abbronzatura nuova e qualche macchia di sole sulla punta del naso. Franny è morta annegata. Suzy – figlia di genitori divorziati e con il mito del fratello maggiore, presenza fissa in casa insieme al fidanzato Rocco – non se ne capacita ancora. Perché la sua coetanea nuotava come un pesce, scoppiava di vita, e prima che entrassero in ballo la vanità, le cricche, i ragazzi, era la sua migliore e unica amica. Le cose succedono e basta, le ripetono gli adulti. Fanno spallucce. La protagonista invece rimanda, inventa scuse, pianifica un viaggio impossibile dall'altra parte del globo. Si sente colpevole, e se ne va in cerca di spiegazioni e alibi, con gli occhi che corrono invano alla fine del tunnel. Passata in un attimo dalla parte della ragione a quella del torto, Suzy ha infatti deciso di non parlare più ad anima viva per paura di dire la cosa sbagliata. Di nuovo. 

Non so come fare a dirti: Una volta mi piaceva stare insieme a te, ora non ne sono più così sicura.
Non so come fare a dirti: Per favore, ti prego, non essere un'altra delle cose che cambiano.
Perciò non dico niente.

Ciò che ti rende interessante, a quell'età ha il potere di dipingerti strano e basta – e lei, precoce e intelligente, ha il pallino per le scienze ma è a digiuno di bon ton. Ciò che l'ha unita a Franny (il saperne tanto della natura, ma pochissimo di quella umana) alla fine le ha separate. Una gita allo zoo, nel primo capitolo, suggerisce che è tutta colpa delle meduse: subdole, insospettabili, onnipresenti, stanno invadendo i mari, e chissà che non abbiano punto loro l'ex compagna di scuola. Per risolvere il giallo, tocca ingegnarsi e contattare un esperto australiano; trovare il coraggio che serve. La protagonista, personaggio non senza macchie, rievoca così un rapporto tutt'altro che idealizzato; della sua miglior nemica rispetta il ricordo postumo, gli sgarbi e le colpe. Non sa piangere ai funerali. Non sa perdonarsi. Ha fatto una cosa brutta, e forse non aveva tutti i torti.

Ci sono tante cose di cui aver paura, in questo mondo: fioriture di meduse. Una sesta estinzione. Un ballo di scuola media. Forse, invece di sentirci come un granello di polvere potremmo ricordarci che tutte le creature di questa Terra sono fatte di polvere di stelle. E noi siamo gli unici ad averne la consapevolezza.

La sua ricerca – della verità del dolore, del senso di se stessa – è il cardine di un romanzo dalla faccia pulita, ma di impensata durezza. Dal cuore di medusa. Pulsante e velenoso quanto un buco nero, ma iridescente e immortale. Nel profondo degli abissi di un mare di dolore, in cui si annaspa disperati, non sapendo che il bagnasciuga è lì, alla prossima bracciata.
Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: The Lumineers – Dead Sea

sabato 2 settembre 2017

Coming This Fall - Parte 1

Young Adult
Turtles all the way down, John Green. € 17, Rizzoli, 10 ottobre 2017;
Ti chiamo sul fisso, Rainbow Rowell. € 18,50, Piemme, 7 novembre 2017;
The Stone, Guido Sgardoli. € 18, Piemme, 12 settembre 2017;
La casa di vetro, Len Vlahos. € 17, Piemme, 26 settembre 2017.

Mirror Mirror, Cara Delevingne. € 16,90, DeA, 10 ottobre 2017;
The Hate U Give, Angie Thomas. € 14,00, Giunti, 31 agosto 2017;
Unaragazza senza ricordi, Frances Hardinge. € 18, Mondadori, 29 agosto 2017;
Tutta colpa delle meduse, Benjamin Ali. € 13,50, Il Castoro, 21 settembre 2017.

Al cinema 
Dunkirk, Joshua Levin. € 18, Harper Collins, 24 agosto 2017;
Valerian, Christie Golden. € 17,90, Sperling & Kupfer, 5 settembre 2017;
L'inganno, Thomas Cullinan. € 17, DeA, 5 settembre 2017. 

Ritorni italiani
Il mare dove non si tocca, Fabio. Genovesi. € 19, Mondadori, 5 settembre 2017;
Ci vediamo uno di questi giorni, Federica Bosco. € 16,90, Garzanti, 14 settembre 2017;
Arabesque, Alessia Gazzola. € 16,90, Longanesi, 9 novembre 2017;
L'amore mi chiede di te, Lucrezia Scali. € 9,90, Newton Compton, 19 ottobre 2017;
Gli anni del nostro incanto, Giuseppe Lupo. € 16,90, Marsilio, 7 settembre.

lunedì 5 giugno 2017

Recensione: L'arte di essere normale, di Lisa Williamson

«Perché ti chiama così?» «Non lo so. Perché sono strano?»
«Non lo siamo tutti?»

Titolo: L'arte di essere normale
Autrice: Lisa Williamson
Editore: Il Castoro - HotSpot
Numero di pagine: 326
Prezzo: € 16,50
Sinossi: David Piper ha quattordici anni, e il tempo gli rema contro. I suoi genitori credono sia omosessuale, a scuola è vittima dei bulli. I suoi due migliori amici sono gli unici a sapere la verità. Leo Denton, al suo primo giorno alla prestigiosa scuola di Eden Park, ha un solo obiettivo: passare inosservato. Ma ben presto cominciano a circolare voci sulla sua espulsione dalla scuola precedente. E il fatto che la bella e popolarissima Alicia si innamori di lui non aiuta a tenerlo lontano dai riflettori e dai guai… Quando Leo prende le parti di David in un diverbio, tra i due nasce un’inaspettata amicizia. Ma le cose stanno per diventare ancora più complicate perché alla Eden Park i segreti non rimangono tali a lungo…

                                 La recensione
Libri carini e leggeri, dicevamo una recensione fa. Un toccasana per la sessione estiva. Un eterno ritorno al young adult, contro l'afa e il tempo perduto. Chi, se nella mia stessa situazione, oserebbe domandare qualcosa di diverso? I romanzi senza infamia né lode, quelli a tre stelline, mi hanno stancato però. Che carini e leggeri siano, ma fatte le debite eccezioni: per un po' di profondità, per temi importanti affrontati con toni discorsivi, giuro solennemente che c'è spazio a fine giornata o dopo i pasti. Parlavo di eccezioni, appunto. Tra le righe, parlavo di letture per ragazzi tanto rare. Quelle con le fascette che dicono cose bellissime, e non è nient'altro che la verità; quelle con piedi veloci che solcano strade color arcobaleno in copertina. Che a tradurre l'esordio di Lisa Williamson sia stata proprio la novella HotSpot non me ne stupisco: l'occhio lungo, un catalogo ricchissimo, titoli a misura di adolescente. Ripenso a Luna o ad Aristotele e Dante scoprono i segreti dell'universo: avventure di comprensione reciproca e tolleranza, su solitudini esistenziali che insieme si annullano per magia. 
L'arte di essere normale, bello e immediato sin dal titolo, discreto ma emozionantissimo, farà loro compagnia nella mia libreria. David e Leo vivono in una città che non conosce gentilezza. Il primo, membro di una famiglia progressista ma cieca davanti all'evidenza, nei compiti in classe raccontava il suo sogno impossibile e generava gli sfottò dei coetanei: voleva essere una femmina sin da bambino e ora, a quattordici anni, ne è sicuro come non mai. Studia il proprio riflesso e appunta su un quadernino le trasformazioni che il suo corpo sta subendo. Quando avrà le giuste proporzioni, il coraggio necessario, per smettere di essere la bugia di un uomo a metà? L'altro, trasferitosi in una scuola pubblica che ha la spocchia e le divise inamidate degli istituiti privati, ha mitizzato un padre fuggitivo e preso posto a sedere in un salottino kitsch, stipato di parenti stretti. Vive in un quartiere degradato ma sogna l'espiazione: la sua fama di mela marcia lo precede tra i corridoi. Si può ricominciare da zero, e per di più nella stessa storia che all'inizio li voleva entrambi in crisi? A capitoli alterni, l'autrice descrive due protagonisti con un grande segreto. Diffidenti per natura, ma dalla natura – nonostante tutto – simile. Ci vuole il tempo che ci vuole per confidarsi. 
In una scuola in cui tutti parlano e sparlano, infatti, la loro amicizia non ha bisogno di parole superflue. Il ragazzo che si sentiva una ragazza e il famigerato bullo del liceo partono. Alla ricerca del padre del secondo e di loro stessi. Durante il tragitto scopriranno il sapore della birra, il fascino decadente delle piscine abbandonate, l'imbarazzo delle stonature al karaoke, il mare di notte: il mito infondato della normalità, in una fuga lontano da casa. Si danno a reazioni realistiche e confronti commoventi. Scappano, urlano, spaccano nasi e oggetti fragili. Parlano e agiscono come adolescenti tridimensionali. Al ritorno all'ovile, tra colpi di scena e pronomi personali che cambiano, niente o nessuno sarà uguale a prima. L'arte di essere normale non è come sembra, sulla scia di due narratori che non sono come sembrano. Gente che non apprezza il proprio riflesso allo specchio (e chi lo apprezza?). Quattordicenni che si sentono fuori posto (e chi, ora come allora, non ci si sente?). Mi ha ricordato l'importanza delle storie belle. Scritte bene, dico, e pensate meglio. Storie che possono cambiare l'umore al lunedì mattina e, chissà, se hai quell'età e fai pensieri in assonanza, perfino la vita.
Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Owl Cities – Shooting Star

venerdì 10 marzo 2017

Recensione: Il viaggio di Caden, di Neal Shusterman

Laggiù è un viaggio senza fine. Non credere a chi ti dice il contrario.

Titolo: Il viaggio di Caden
Autore: Neal Shusterman
Editore: Hot Spot – Il Castoro
Numero di pagine: 294
Prezzo: € 16,50
Sinossi: Caden Bosch ha 15 anni ed è sempre stato un ragazzo estroverso, pieno di amici e di talento. Da qualche tempo però ha cominciato a sentirsi inquieto, a fare strani sogni e sentire sensazioni ossessive, maniacali, compulsive. Sempre più spesso si ritrova su un galeone che solca il mare alla volta della Fossa delle Marianne, tra tempeste e mostri marini che non riesce a controllare. Caden va in crisi, non distingue più reale e irreale. Da una parte si ritrova in ospedale, accanto al dottor Poirot e agli amici Hal, Carlyle, Skye e Callie. Dall’altra parte è combattuto tra la lealtà verso il capitano della nave e il fascino dell’ammutinamento. Il fondo della Fossa delle Marianne è sempre più vicino e Caden deve scegliere: lasciarsi andare o cominciare la risalita?

                                         La recensione
Caden, quindici anni, vive in un mondo pericoloso. I suoi genitori, impostori, non sono chi dicono di essere. I delfini disegnati sui muri della sorella minore hanno sorrisi minacciosi quando cala il buio. A scuola, nei corridoi, ci sono studenti che attentano alla sua vita e progettano massacri a mano armata. In realtà, la sua famiglia è piccola e fortunata; gli schizzi sulla carta da parati non hanno né sorrisi sghembi né una volontà propria; i compagni di liceo che tramerebbero complotti si limitano a incrociare il suo sguardo e a passare oltre. Caden progettava videogiochi con i suoi migliori amici, era uno studente piacente e brillante, aveva speranze e un perfetto equilibrio interiore. A un certo punto qualcosa nel suo cervello ha fatto crack. Un corto circuito, un allagamento. Un diluvio universale. I pensieri positivi, il raziocinio, non hanno avuto scampo. L'immaginazione ha rotto gli argini: i sogni straripano, così, e la lucidità annaspa. L'adolescente rischia la morte per annegamento, la pazzia. Il viaggio di Caden è un romanzo interamente ambientato nella sua testa. A pubblicarlo, l'interessantissima Hot Spot. 
A mostrarci come funziona – e cosa, soprattutto, non funziona – l'acclamato Neal Shusterman. Un autore che mi hanno consigliato spesso, in particolar modo per via della saga interrotta di Unwind, e leggendolo ho capito perché. Pane per i miei denti, lui, con una lingua originalissima e young adult insoliti A prima vista mi ha ricordato Patrick Ness: lo stile frammentario, le illustrazioni a china a bordo pagina, una penna che sa trasformarsi di storia in storia. La nota dell'autore, a fine romanzo, mi ha lasciato intuire quanto di vero ci sia nella sua spaventosa odissea interiore. Shusterman ha un figlio che ha mostrato forti segni di squilibrio ma che, per fortuna, è riuscito a stringere a sé l'ultimo pezzetto di cielo; un amico che, da giovane, perse ad armi impari la guerra contro il mal di vivere. Quanta sofferenza, quanto autobiografismo, dev'esserci dietro queste pagine. E quanta ricerca, quanta elaborazione. Me ne sono reso conto soltanto con il senno di poi. Ho letto i vaneggiamenti e gli squarci del Viaggio di Caden alla ricerca di un senso, se c'era. Lì per lì mi ha dato il mal di mare: esercizio di stile troppo cervellotico per i miei gusti. Dove inizia la realtà e dove finisce l'incubo? Cosa succede se la depressione è un vortice che ti tira giù, e tu non sai neanche nuotare? 
La schizofrenia, per un quindicenne, è un galeone su un oceano di mostri marini e insidie. Le pagine, che si rivelano essere piene di personaggi allegorici e doppi significati, si dividono tra terapie di gruppo e cospirazioni. Da una casa in cui i parenti sono percepiti alla stregua di alieni, Caden – d'un tratto un pericolo per se stesso e per gli altri – viene trasferito in un reparto psichiatrico. Dagli infermieri ai medici, dai compagni di stanza alle ragazze interrotte, ognuno trova una puntuale corrispondenza nei deliri privati del narratore. I suoi incubi, intanto, si intensificano. Hanno la meglio. La nave veleggia verso l'abisso, popolata da spettri e stranezze – romantiche gomene, cervelli in fuga, saltatori nel vuoto –, e la ciurma minaccia un ammutinamento in piena regola. Il capitano, che ha un nocciolo di pesca al posto dell'occhio, rischia di essere scalzato dal suo pappagallo parlante, passato dal trespolo alle cospirazioni shakespeariane. Personalmente non sono mai stato un amante dei mondi meravigliosi di Lewis Carroll, e qui spuntano le stesse filastrocche in rima baciata, gli stessi oggetti parlanti e, da lettore semplice e pragmatico, non ho avuto voglia di cercare chiavi di lettura sotto coperta né pozioni a poppa. Altrettano poco nelle mie corde, poi, le immagini marinaresche: ponderate e calzanti, in questo caso, ma con sedicenti Capitani Nemo e Moby Dick di cui ho patito la compagnia, ora come in passato. Che ruolo avrà il protagonista in quella desolante deriva? Si salverà dalle stanze con le pareti imbottite e, dunque, dalle angosciose profondità marine? Caden immagina di potere avvertire i pensieri di gente dall'altra parte del mondo. Si preoccupa di provocare terremoti in Cina, e controlla ossessivamente le news del giorno. Sente il suo corpo abbandonarlo, diventare quasi pura energia. Insieme a lui, come per osmosi, il periodare si fa più astratto e discontinuo. Surreale. E la potenza del flusso di coscienza, spesso, mi ha stancato e sopraffatto.
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Green Day – Basket Case

martedì 29 novembre 2016

Recensione: Da quando ho incontrato Jessica, di Andrew Norriss

Quando splendeva il sole, delle nuvole non ci si ricordava neanche più. Quando si era in fondo al Baratro, era difficile anche solo pensare che il sole esistesse davvero.

Titolo: Da quando ho incontrato Jessica
Autore: Andrew Norriss
Editore: Il Castoro
Numero di pagine:
Prezzo: 192
Sinossi: Francis non ha mai avuto un’amica come Jessica. È la prima persona che riesce a farlo sentire davvero se stesso. Anche Jessica non ha mai incontrato un amico come Francis. Non solo perché è qualcuno con cui ridere ogni giorno, ma anche perché è la prima persona in grado di vederla e sentirla, almeno da quando è morta un anno prima. Quando incontrano due nuovi amici che riescono a vedere Jessica, scoprire cosa hanno in comune tutti e quattro diventa fondamentale. Perché proprio loro? C’entra qualcosa il modo in cui Jessica è diventata un fantasma? E perché Jessica non ricorda nulla della sua morte? La risposta che troveranno sarà sorprendente e li porterà a una conclusione che nessuno di loro avrebbe mai immaginato.
                                    La recensione
Francis passa la ricreazione seduto su una panchina, anche se tutt'attorno cade la neve. Accanto a lui, con abiti troppo leggeri per le temperature invernali e passi che non lasciano segni sulla terra punteggiata di bianco, un giorno qualsiasi prende posto Jessica. Perché ci si capisce tanto, tra esclusi? Perché, dopo una vita di silenzi e musi lunghi, tornano infine la chiacchiera e il sorriso? 
Nota stonata, all'indomani di un incontro altrimenti perfetto: Jessica è morta da un anno. Non si sa come. Non si sa dove. Ci vuole poco ad immaginare una storia impossibile tra un adolescente e uno spettro senza pace. Bastano una bellissima copertina illustrata, nello spirito degli adorabili romanzi di Rainbow Rowell, e la sensazione di trovarsi davanti a una variante di quei boy meets girl di cui, in sala, vado matto. La quarta di copertina, che ti racconta un appuntamento e un mistero, non specifica però l'età dei protagonisti: troppo giovani, in realtà, per la letteratura young adult. Soprattutto, con una compagnia troppo ampia al seguito per pensare a una storia d'amore. Siamo alle medie, non al liceo. E Francis non è il solo in grado di percepire la presenza fluttuante di Jessica. Si aggiungono presto anche Andi e Roland: i quattro costituiscono una simpatica squadra di spiantati, di annunciati perdenti, che si fa forza contro la prepotenza del prossimo. Quale dote rende possibile il dialogo con quel che resta della defunta? Quale difetto, soprattutto, li posiziona nel mirino dell'arrogante bullo di turno? Francis, appassionato di moda, ha una soffitta piena di manichini, bottoni, stoffe: vorrebbe diventare stilista, da grande, ma cucire è roba da femmine. Andi, aggressiva con gli altri per non soccombere alle offese, è scortese, mascolina, insignificante: picchia duro, ed è priorità degli uomini. 
Roland, gravemente in sovrappeso, ammazza zombie alla Playstation e si ingozza di cibi spazzatura: non esce di casa per l'affanno e per la vergogna. Non ha ricordi nitidi, Jessica, ma in vita ha conosciuto gli stessi dolori. E, in morte, farà di tutto per aiutare i suoi compagni di sventura. Anche a dodici, tredici anni si perde infatti il filo della spensieratezza e la luce in fondo al tunnel si nasconde agli occhi. Lo sa uno che le medie, pur senza le stesse ragioni di Francis, le ha rimosse al pari di un ricordo brutto. Non mi piacevo io. Non mi piacevano gli altri. Non mi piaceva sperare che passassero in fretta i brufoli a grappoli, le battute poco fantasiose degli immancabili ripetenti, quei tre anni di cui non conservo né amicizie, né fotografie. Abbassata la fascia d'età, spartite le pagine tra protagonisti diversi, Da quando ho incontrato Jessica si rivela una lettura diversa dal previsto. Carina e costruttiva, un po' macabra, ma non all'altezza del film mentale che avevo girato già a pagina uno. Andrew Norriss firma un romanzo sui giovanissimi che stenta a far breccia nei lettori più cresciuti. Si parla di bullismo, suicidio e amicizie che indorano la pillola. Ma la troppa delicatezza, la troppa bontà, lo rendono un romanzo a tesi – nobile negli intenti, lieve nella scrittura – che non va oltre i banchi di scuola. Lì farà bene. Di sicuro, meglio delle frasi fatte di chi non ci è mai passato. 
I romanzi parlano forte. E su una panchina, con la neve e i fantasmi, anche quando sono piccoli così, riempiono il silenzio con le parole – e la compagnia – che vorresti.
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Regina Spektor – Us

sabato 22 ottobre 2016

Recensione: Quello che non sai di me, di Meg Wolitzer

Scoprire i sentimenti di un altro essere umano, di una persona che non sei tu. Andare oltre la maschera. Cercare uno sguardo più profondo. 
Scrivere dovrebbe servire a questo.

Titolo: Quello che non sai di me
Autrice: Meg Wolitzer
Editore: Il Castoro – HotSpot
Numero di pagine: 270
Prezzo: 15,50
Sinossi: Jam ha sedici anni, è distrutta dalla scomparsa del suo fidanzato e fatica ad andare avanti con la sua vita. Dopo più di un anno i genitori decidono di mandarla alla Wooden Barn School, un college in campagna specializzato in ragazzi “fragili”, incapaci di superare eventi tragici che hanno segnato le loro vite. All’inizio niente sembra aiutarla, poi Jam viene assegnata, insieme a pochi altri alunni, al misterioso e ambitissimo Corso Speciale d’Inglese della signora Quenell. Un unico libro da leggere e condividere, La campana di vetro di Sylvia Plath, e un diario da scrivere, in cui raccontare le proprie esperienze. La scrittura dei diari apre l’accesso a un mondo apparentemente idilliaco, un luogo in cui tutti possono continuare a vivere come se la tragedia che ha cambiato le loro vite non fosse mai avvenuta. E Jam può sentire di nuovo le parole di Reeve, la sua pelle, il tocco delle sue mani. Ma non ci vuole molto perché quel luogo incantato riveli che tutti i compagni nascondono un segreto nel loro passato. Quale sarà il segreto di Jam? Attraverso un’avvincente esplorazione della psiche umana, Meg Wolitzer racconta che cosa significa perdere qualcuno, o qualcosa, che ami. E poi perderlo un’altra volta.

                                             La recensione
A sedici anni ci si può ammalare di depressione? Dopo trentuno giorni di conoscenza, si può giurare che è grande amore e piangerlo notte e giorno, se poi malauguratamente lo si perde?
Jam hai i capelli lisci e scuri, una famiglia tranquilla, un dolore incondivisibile. A scuola ha conosciuto Reeve, studente inglese protagonista di uno scambio culturale: è stato autentico colpo di fulmine, con i suoi maglioni sfilacciati, il suo umorismo british, un accento irresistibile con cui compensare a un fisico da spilungone. Si sono innamorati presto, loro due, e altrettanto presto si sono separati: un incidente misterioso, e ora Jam è sola e inconsolabile. Tutti le dicono che, in fondo, non si conoscevano neanche molto. Tutti le dicono che, un giorno, le lacrime finiranno e il dolore, così com'è affiorato, svanirà. Invece, quella voglia di dormire e non svegliarsi mai più, il groppo in gola, non passa: spaventati al pensiero che possa farsi del male, i genitori la iscrivono alla Wooden Barn School. Un istituto tagliato fuori dal mondo – non c'è una connessione internet, né campo per i cellulari -, in cui riunire persone tali e quali a lei. Giovanissime, eppure già stanche di vivere; povere anime messe a dura provate dal mondo. Quello che non sai di me, nuovo titolo della pregevole collana per adolescenti HotSpot, ha inizio con l'ingresso della protagonista in queste scuola popolata da ragazzi fragili e cure che non prevedono ansiolitici, bensì pagine di diario da stilare due volte a settimana. Ammessa nel Corso Speciale di inglese della misteriosa signora Quennell, insegnante a un passo dal pensionamento, Jam divide l'aula con altri quattro studenti: impareranno a conoscersi, e a capirsi, sulla scia degli scritti di Sylvia Plath, poetessa statunitense morta suicida all'età di trent'anni. Una buona idea, se già di tuo tendi a essere in preda allo sconforto, studiare vita, morte e miracoli di un'autrice che la fece finita infilando la testa nel forno a gas? Costruttivo respirare la stessa aria, dividere i pasti e i compiti per casa, con coetanei che forse se la stanno passando addirittura peggio di te? Il romanzo di Meg Wolitzer, debutto dell'apprezzata autrice di Quando tutto era possibile nella narrativa per ragazzi, è un young adult rarissimo: colto nelle citazioni, raffinato, scritto con leggerezza e giudizio. 
A metà strada tra le atmosfere di Breakfast Club e quelle di Ragazze interrotte, ha inizio in maniera consueta: una protagonista chiusa a riccio, un nuovo inizio altrove, compagni di corso da mettere a fuoco – tra questi, l'immancabile bel ragazzo che tutto sembra domandarle, tranne una storia d'amore. La sua grande particolarità: i riferimenti a The Bell Jar, capolavoro dagli spunti autobiografici della Plath, che il titolo originale omaggia apertamente. I protagonisti, infatti, si trovano sotto una “campana di vetro”, che tende a isolarli da tutto e da tutti, con la sola compagnia del loro violento senso di colpa. Nei piani dell'illuminata professoressa Q., allora, il desiderio che i suoi allievi sull'orlo di una crisi di nervi mettano nero su bianco le loro storie, affidandosi a diari da restituire alla fine delle lezioni. A questo punto, Quello che non sai di me si tinge di fantastico: la scrittura getta i protagonisti come in uno stato di trance e, con la penna in pugno e un foglio bianco davanti, i cinque rivivono il giorno in cui tutto è andato per il verso storto.
Con la variante, però, di poterlo rivivere senza drammi: Jam ha ancora il suo fidanzatino inglese, Sierra un fratello vivo e vegeto, Marc un padre traditore ma presente, Casey l'uso degli arti inferiori, lo scontroso Griffin un granaio poi raso al suolo da una scintilla vagante. Una pagina bianca: infiniti mondi. Possono rifugiarsi lì, nell'illusione, e non tornare più indietro? Cosa succederà quando, inevitabilmente, le pagine del diario si esauriranno? Nome in codice per parlare senza dare troppo nell'occhio di quello splendido non-luogo, di un mondo dell'inconscio in cui tutto è possibile: Beljhar. Onesto e ironico dramma corale, per nulla stucchevole e sospiroso, Quello che non sai di me è un romanzo semplice, immediato, ma dal bagaglio pesante. Tra le righe, un colpo di scena ad effetto sul passato di Jam – ognuno usa mezzi diversi per proteggersi, lo spiegava anche Alejandro Palomas nel recentissimo Un figlio; ognuno ha i propri sassi nelle scarpe –, insieme al vago senso di déjà vu legato a un messaggio scontato, ma necessario. A proposito di lenzuola da scalciare via e letti da abbandonare con il piede giusto, di miraggi da non assecondare, di vestiti a lutto da riporre nell'armadio. 
Soprattutto se hai sedici anni. Soprattutto se niente è come appare. 
Dietro una vicenda come tante, un'ispirata metafora sul potere della scrittura: sgrammaticata o rigorosa che sia, non importa. Perché scrivere – scriversi libera, consola, porta alla luce i fantasmi. E così, smascherati, non fanno più paura. Io lo so.
Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Gnash – I hate U, I love U (ft. Olivia O'Brien)

sabato 1 marzo 2014

Recensione: Geek Girl, di Holly Smale

Solo perché ho molti libri su cose che nella realtà non esistono, non significa che io sia fuori dal mondo. Sono dentrissimo!

Titolo: Geek Girl
Autrice: Holly Smale
Editore: Il Castoro
Numero di pagine: 324
Prezzo: € 15,50
Sinossi: Harriet Manners, quindici anni, ha una vera passione per le liste, gli schemi e le definizioni, ha un quoziente intellettivo fuori dal comune e mangia pane tostato solo tagliato a triangoli. In generale, si sente come un orso polare nella foresta amazzonica. Sarà per questo che tutti a scuola sembrano odiarla? Quando nel modo più imprevedibile viene selezionata da una prestigiosa agenzia per modelle, Harriet afferra l'occasione al volo: è il momento di cambiare! Anche se questo significa rubare il sogno della sua migliore amica e precipitare in un mondo vertiginoso fatto di set fotografici, vestiti incomprensibili e tacchi molto, molto pericolosi. Fra cadute rovinose, colleghi affascinanti e viaggi segreti lontano da casa, l'imbranatissima Harriet scoprirà che la vera sfida è una sola: capire ciò che conta davvero
                                       La recensione
Mi sento un po' come Sam nel Signore degli anelli, un attimo prima che Frodo tiri l'anello nelle fiamme del Monte Fato. Ma senza quell'atmosfera magica. E con i piedi un po' meno pelosi.” Raramente mi è capitato di commuovermi per un libro. Raramente mi è capitato, davanti a un libro, di ridere dalla prima all'ultima pagina. Oddio, sì, mi è capitato, ma per le ragioni più sbagliate. Non parlo, infatti, di un libro di barzellette sparse, né degli scritti di una Luciana Littizzetto a caso. Soprattutto, non parlo di un libro esilarante per la sua idiozia generale: quelli sono i peggiori, ma, per farsi due risate, sono i migliori in circolazione. Davvero. Ridicole acrobazie sessuali, linguaggio da dispensatore ambulante di parolacce, atroci freddure sparate a bruciapelo, errori, orrori. E dappertutto. Il romanzo di Holly Smale, sbucato dal nulla, con la sua copertina così gioiosa e colorata e quel titolo così diretto che è tutto un programma, mi ha fatto ridere – e tanto, tanto - ma per le giuste ragioni. E' il tipico romanzo su cui spendere parole superflue non è necessario. Importa sapere pochissimo, il giusto. E' simpatico, scorrevole, frizzante, con un intreccio un po' Disney e una protagonista un po' (tanto) maldestra. E' carinissimo, e cos'altro conta, quando si ha bisogno di allegria e spensieratezza? Non importa se la storia non sia delle più probabili: importa come viene raccontata, in questi casi. Tanto – in materia di young adult – tutto è già stato detto, tutto è già stato scritto. E Harriet Manners, la protagonista, è una strepitosa voce narrante: quindici anni, una testa piena di formule matematiche ed informazioni altamente inutili, gli interessi e gli hobby di una secchiona senza speranza di riscatto - passata dal laboratorio di scienze alle passerelle in un colpo solo, se si vogliono tralasciare, ovvio, gli scivoloni, e le gaffe, e i disastri epici trasmessi in mondovisione. Lei è una geek: la sua acerrima nemica da quando aveva cinque anni è stata così gentile da scriverglielo, con un pennarello indelebile, sullo zaino. Lei sa di esserlo, e ne va anche fiera. Nella sua stranezza ci sguazza, come una trota salmonata felice, lontana dal nostro forno, dalle pescherie e dalle ricette lampo di Cotto e Mangiato. Impreca nominando invano i sacri frollini al burro, ha una stalker preferito che ha la saggezza di Yoda e un nascondiglio d'eccezione nei cespugli del suo giardino, un quoziente intellettivo altissimo. Il suo posto preferito è la lavanderia a gettoni dietro casa: non proprio il luogo più esotico e pittoresco che ci sia, vero. Lì tutto è limpido e lei, con la testa appoggiata all'asciugatrice che borbotta e strepita, pensa che basti del sapone liquido, un po' di ammorbidente, il profumo genuino dei panni appena lavati per cancellare via il male dal mondo. Ama gli schemi, le liste, i post-it gialli. Tiene minuziosi schedari delle persone che la odiano e diagrammi a torta sulle bugie da tenere bene a mente. Appunta in segreto i suoi sogni, ma non li condivide con gli altri: troppo strani. Diventare una modella, invece, è una cosa da ragazze: un sogno normalissimo, per la quindicenne media. Peccato non sia il suo, ma quello di Nat, la sua migliore amica, che – da quando ha tipo dieci anni – ha rinunciato ai carboidrati e alle calorie in eccesso, sperando di calcare, un giorno, le passerelle più importanti. Ma il destino arriva quando non lo cerchi e la fama ti trova sempre, anche se hai fatto di un tavolo un improvvisato nascondiglio per non farti vedere. Sotto un tavolo lei conosce Nick – il “Ragazzo Leone” – e scorge le bizzarre scarpe pitonate e a punta di Wilbur: la versione maschile, più o meno, della Fata Madrina di Cenerentola. 
Il primo, un giovane modello che le fa venire gli attacchi di panico e fa schizzare alle stelle il suo personale contatore di figuracce; il secondo, un aspirante pioniere dell'alta moda che, con tutta la medesima naturalezza con cui un uomo di mezza età possa indossare un cappello a cilindro rosa, si rivolge ad Harriet chiamandola coi soprannomi culinari più vari: pasticcino, succosa pesca caramellata, fondo di melassa e altre amenità simili. Lui e i vocaboli che conia sembrano usciti in massa da una puntata in rosa del Boss delle Torte, ma Harriet ha il nome di una testuggine centenaria: non può lamentarsi troppo. Ho apprezzato moltissimo l'attenzione che l'autrice riserva ai suoi personaggi secondari: gli adulti della storia. Adulti - parola che, quando hai quindici anni, sta ad indicare orchi cattivi ed egoisti, nemici giurati dell'adolescenza, marziani approdati da un mondo di fumo e noia, ma non in questo Geek Girl. Di Harriet mi sono piaciuti il suo non fare drammi inutili, la sua assoluta leggerezza, la sua comica presenza. Le descrizioni piene di ritmo e ironia di modelle magre come grissini, compagne di classe invidiose, adulti piccoli e insicuri come bimbi all'asilo che, con fulminanti battute e toni scemi, mi diventano, nell'arco di poche pagine, memorabili creature mitologiche. Una matrigna premurosa e responsabile, che ha un debole per i tailleur eleganti, le cause giudiziarie e vasetti di marmellata, purché siano di pesche e fragole, non di mele avvelenate; una stilista dal nome impronunciabile che, nel suo metro e mezzo, è un concentrato di malignità e accidia, a metà tra Miranda Priestley e l'epica Edna degli Incredibili; un papà - molto entusiasta per le ammicanti avance del gaio Wilbur, tra l'altro - a cui la spumeggiante Harriet deve il nome nome della suddetta testuggine centenaria, un viaggio super-segreto in una Russia piena di neve e gatti odiosi, l'esuberanza che le manca. Geek Girl è un piccolo romanzo di formazione su un'adolescente che trova sé stessa nel più impensato dei luoghi. Una ragazza che gambia in nome della moda e che cambia il nome della moda, con i suoi felponi sformati di Winnie The Pooh, le invidiabilissime scarpe con le rotelle incorporate, i capelli biondo fragola – o rosso carota? - e il viso punteggiato di brufoletti e lentiggini. Brufoletti: eufemismo per indicare i crateri vulcanici che, nel giorno di un set fotografico all'ombra del Cremlino, hanno deciso di crescerle sulla fronte, per farla somigliare a un unicorno in lotta contro la pubertà e rendere memorabile la sua entrata in scena. Come se non avesse fatto già il suo, poi, il trionfale ingresso a bordo di una sedia a rotelle: camminare sui tacchi alti, e sulla neve, non è da tutti! La morale è semplice, ma mai banale, e la storia è meno paradossale di quello che sembra: Holly Smale e la sua Harriet hanno in comune tanto, compresa un'adolescenza scandita da sfilate impensate, libri di Tolkien, calcoli ed equazioni. 
Nella biografia dell'autrice, infatti, si racconta come, a quindici anni, sia stata scoperta da un'agenzia per modelle, quando i suoi sogni erano soltanto mangiare cioccolato a volontà, giocare ai videogiochi, rimanere un brutto anatroccolo, ma con una sua personalità, in un lago di bianchi cigni bulimici. Ha conservato la sua voce, ha mantenuto sane e salve le sue origini nerd. Lo mostra in questo suo romanzo d'esordio, e ci farà ridere e riflettere ancora, sono sicuro, nei romanzi che seguiranno a breve. Perché la trilogia di Geek Girl, che appartiene a un genere di cui non conosco il nome, ha un suo perché: le disavventure di Diario di una schiappa, i colori dello chick-lit, la familiarità del più solare tra gli young adult. Non mi divertivo così dall'epoca di Mi chiamo Chuck. Ho diciassette anni. E, stando a Wikipedia, soffro di un disturbo ossessivo-compulsivo. O da The Vincent Boys, che Dio ce ne salvi. Prendetelo, insomma, come il test perfetto per scoprire quanto siete geek da uno a dieci. Io ho gli stessi identici occhiali del disegno in copertina, ma non so fare le bolle con la gomma da masticare o risolvere equazioni dall'aria piuttosto minacciosa e complicata. Ma, come Harriet, penso che i palazzoni russi abbiano la forma di tanti coni gelato, trovo rilassante il rumore di lavatrici e lavastoviglie in funzione, mi vesto affidandomi non al gusto, ma alle poche cose non chiazzate di dentifricio che riesco a trovare nel mio misero armadio. Harriet, sposiamoci. Sono uno geek. Ma si dirà “uno” geek o “un” geek, comunque? Domanda molto geek, già. “Il cuore umano ,a riposo, ha da sessanta a novanta battiti al minuto. Il cuore di un porcospino, nelle stesse condizioni, batte trecento volte. Sto per trasformarmi in un porcospino.”
Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: P!nk – Blow Me (One Last Kiss)