Considerato a torto un genere minore, l'horror ha saputo farsi metafora degli argomenti più disparati. Non stupisce allora che Marco Peano, autore dell'acclamato L'invenzione della madre e stimato editor Einaudi, sia tornato in libreria con una storia vicina ai mondi di Stephen King: una favola nerissima, in pendant con il candore della neve e il rosso fluviale del sangue. Citando apertamente Shining e It, Morsi digrigna i denti e racconta i disagi universali della crescita attraverso il filtro dello splatter: che siano avvisati i deboli di stomaco. In un paesino delle valli piemontesi, a metà degli anni Novanta, un vento gelido proveniente dalla Russia – forse proprio dalla famigerata Cernobyl'? – sconvolge i bollettini meteorologici e il quieto vivere degli abitanti. La neve, abbagliante, semina smarrimento. Il silenzio è impenetrabile. Ma i cuori, intanto, battono forte un ritmo di morte. Disorientati, i piccoli protagonisti si imbarcano in un'avventura ai confini della realtà: i pericoli si annidano soprattutto fra gli adulti.
Ormai era chiaro a entrambi che diventare grandi significa imparare a dire addio.
Sonia, dieci anni, si è da poco riprese da una febbre che l'ha resa un po' più donna: di notte si sveglia con la mascella indolenzita per via del bruxismo e si rigira talora nel letto, in preda ai primi turbamenti. Si domanda, ad esempio, come facciano due innamorati a non mordersi mentre si scambiano un bacio alla francese. Studiosa e matura, si affida per il resto al potere delle parole e, in mancanza di una maggiore stabilità familiare, alle cure della nonna. Peccato che l'anziana – rispettata all'unanimità, o più probabilmente temuta – non conosca dolcezza e, in segreto, traffichi con l'occulto. Cosa nasconde nella stanza che tiene chiusa a chiave? Qual è il legame tra lei e l'insegnante che, un giorno, ha raggelato un'intera classe a colpi di taglierino? Mentre gioca alla detective, muovendosi in punta di piedi in una casa d'un tratto niente affatto rassicurante, Sonia incrocia il cammino di Teo: un coetaneo a proprio agio con le malie del dialetto e la praticità della vita contadina, disposto a correre il rischio pur di affiancare l'amica passo dopo passo.
Per quanto si possa tentare di dimenticarli, alcuni momenti della vita emotiva di ciascuno di noi risultano indelebili. Che sia un episodio tremendo o piacevole, un evento gioioso o qualcosa che si vorrebbe cancellare per sempre, il tempo agisce sulla memoria lasciando un segno. Una cicatrice, per costringerci a ricordare – ogni volta che ci si passa sopra il dito – che qualcosa è accaduto.
Il passaggio tra l'infanzia e l'adolescenza, in Peano, è un rito d'iniziazione doloroso e sanguinario: parte come una tipica vicenda di formazione, ambientata nella profonda provincia settentrionale; muta rapidamente, poi, in un pandemonio di cannibalismo e autodistruzione; si assesta, infine, nei territori del survival horror, con tanto di macchina fotografica di Topolino per immortalare i momenti clou. La scrittura dell'autore, cristallina a dispetto dei toni foschi, trasfigura luoghi sicuri (le aule scolastiche, le case piene di chincaglierie dei nostri nonni) in autentiche scene del crimine e raggiunge, a tratti, picchi di sensibilità che me l'hanno reso sorprendentemente affine. È questo, nel mio piccolo, che ho scritto in passato. È questo che mi piacerebbe scrive in futuro. Le poche pagine, purtroppo, gli impediscono di approfondire alcune sottotrame: l'epilogo chiarisce soltanto alcune delle stranezze di Lanzo Torinese; le sequenze truculente, generosissime, hanno la meglio sulla delicatezza di alcuni momenti d'insieme; la metafora alla base della vicenda s'intravede filigrana. Atteso al varco, ma inatteso in vesti simili, Peano mette la narrativa italiana – di cui conosce a menadito, ormai, i meccanismi intrinseci – al servizio del genere. Il risultato è un intreccio tanto semplice quanto efficace che avrebbe dovuto concedere a Sonia e Teo più tempo per collezionare piccoli brividi e diventare, così, grandi insieme. Crescere? Che paura.
Il mio consiglio musicale: Kasabian - Stevie
ha un trama intrigante e misteriosa, che a primo impatto stuzzica il mio interesse; il fatto che sia relativamente breve non è un male, in questo periodo, in cui sento il bisogno di libri non troppo impegnativi (forse perchè ho due mallopponi in lettura da un po', che non finiscono più? :-D può essere), anche se magari, per contro, alcuni aspetti della trama non sono stati sviluppati a dovere.
RispondiEliminaL'avevo notato perchè mi compare sempre su Twitter, ma grazie a te per avermi dato l'input che cercavo ^_-
Buon pomeriggio, Angela! Io penso che (senza grandi aspettative, a dispetto della fama dell'autore) potrebbe piacerti. ;)
EliminaNon essendo già un enorme fan di Stephen King, mi sa che questi Morsi non fanno per i miei denti. XD
RispondiEliminaNo, direi di no, ahahah!
EliminaCome dici tu, il grande limite del libro è la lunghezza. L'idea, la metafora sottesa, è intrigante e stuzzica in fan del Re, ma la resa purtroppo è farraginosa ed i protagonisti non abbastanza caratterizzati. Ci voleva più tempo, più approfondimento, per immedesimarsi, capire, essere coinvolti dalla vicenda. Credo però non sia solo una questione di respiro del racconto. King, ad esempio, riesce a rendere benissimo quella linea d'ombra fra l'infanzia e l'età adulta anche in poche pagine (mi viene subito in mente il ben noto "Il corpo" da "Stagioni diverse"). Peano ha una buona idea di fondo, ma poi sulla pagina non funziona del tutto, si sfalda, risulta poco più che abbozzata. Peccato davvero.
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