venerdì 28 maggio 2021

Recensione: Sette case vuote, di Samanta Schweblin

| Sette case vuote, di Samanta Schweblin. Sur, € 15, pp. 134 |

Io e i racconti: una relazione ormai stabile. La ufficializza, qui e ora, Samanta Schweblin. Sono tornato da lei dopo aver amato i mondi visionari di Kentuki e Distanza disicurezza. Sono tornato ai racconti – i primi che leggo di questapenna argentina – perché ogni nuova settimana implica inevitabilmente un nuovo andirivieni. Uscito qualche giorno fa con Sur, questo volume comprende sette storie affilate come coltelli, in bilico tra malinconia esistenziale e disagio psichico. I temi: la malattia, la solitudine, il pregiudizio. Lontana dalla fantascienza che l'ha resa celebre, questa volta l'autrice scandaglia il disagio quotidiano. Criptica, sottile e metaforica come non mai, condivide con il lettore schegge di vita vissuta che fanno trattenere a lungo il fiato. Da un momento all'altro potrebbe succedere tutto o potrebbe non succedere niente. L'ansia è tutta lì: racchiusa nel dubbio.

Questa è mia madre, mi dico, mentre lei apre i cassetti del comò e tasta sotto i vestiti per accertarsi che anche l'interno dei mobili sia di legno di cedro. Da quando ho memoria siamo sempre andate a vedere le case, abbiamo portato via dai giardini vasi e fiori inadatti. Abbiamo spostato gli irrigatori, raddrizzato le cassette delle lettere, tolto di mezzo oggetti decorativi troppo pesanti per il prato. Appena i miei piedi sono arrivati ai pedali ho cominciato a guidare io la macchina. Questo le dava più libertà.

Una madre e una figlia si divertono a invadere le esistenze altrui: modificano, rubano e stravolgono, mosse da una missione incomprensibile. Una coppia divorziata si accapiglia per l'affido dei bambini: possono forse passare il weekend con i nonni paterni, che in preda alla demenza senile si sono convertiti al nudismo? Un'anziana affetta da disturbi ossessivo-compulsivi, stanca di stare al mondo, impacchetta ogni avere in previsione del funerale e guarda con sospetto il dialogo tra il marito e il  piccolo dirimpettaio. All'indomani di un trasloco, nuora e suocera si scoprono accomunate dal medesimo senso di smarrimento. Una bambina, annoiata dall'attesa in ospedale, prende per mano uno sconosciuto che le promette di comprarle un paio di mutandine coi cuori ricamati. Per sfuggire a una lite familiare, una donna fresca di doccia esce di casa in accappatoio e ha una strana conversazione con l'antennista del condominio.

Concentrati sulla morte. Lui è morto. La signora della casa di fianco è pericolosa. Se non ti ricordi, aspetta.

Proprio come da tradizione, Schweblin garantisce una galleria d'immagini surreali e stranianti, immortalate con accuratezza cinematografica. I suoi protagonisti, al centro di dialoghi densissimi e di situazioni destinate a tacite implosioni, parlano a lungo. Ma più di loro sembrano parlare le cose non dette, quelle incomprese e quelle incomprensibili: il disagio misterioso, insomma, che tinge di nero la maggior parte delle vicende. Il formato del racconto rende Samanta Schweblin ancora più enigmatica. Nel bene e nel male, la concisione delle storie mette in risalto le sue peculiarità formali con il rischio di rendere i suoi intenti più oscuri del solito e di seminare, nel finale, un senso d'irrisolto. C'è del marcio a Buenos Aires e dintorni. Raramente, tuttavia, viene palesato. Lo intuiamo a colpo d'occhio tra le righe, mentre l'autrice scandisce con gelida imparzialità confronti intergenerazionali o traslochi di cui venire a capo. A volte i protagonisti hanno scatoloni da disfare d'urgenza per riappropriarsi della propria vita. Altre, invece, si convertono all'imballaggio – al cambiamento, al riciclo – per liberarsi di un passato superfluo. Portano fanghiglia sotto le scarpe. Seminano vestiti dappertutto. Lasciano oggetti fuori posto e appartamenti sfitti. Spesso votati all'inadeguatezza, vuoti al pari delle case che lasciano, ricercano il loro spazio vitale nei quaranta centimetri quadrati di una banchina. Disseminato di simboli e deliri, Sette case vuote è un vialetto sdrucciolevole – benché percorso con passo sempre fermo – su scenari tanto intriganti quanto insondabili. Non aspettatevi un'accoglienza conciliante da parte della padrona di casa: prima di presentarvi alla sua porta, fareste meglio a fare la sua conoscenza con altre storie; in altre circostanze.

Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Afterhours – Ritorno a casa

8 commenti:

  1. Prossima lettura anche per me. Gli altri suoi che ho letto mi sono piaciuti molto, in particolare Kentuki.

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    1. Buona lettura, Andrea!
      Io ho intenzione di recuperare un'altra raccolta di racconti di Samanta, edita Fazi.

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  2. Autrice che non conosco. Interessanti le tematiche trattate; dove c'è del disagio, ci sono io :-D

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    1. Ti consiglio i precedenti, soprattutto Distanza di sicurezza: amerai!

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  3. Ormai sei diventato un fan dei racconti. ;)
    Io continuo a preferire i romanzi, però ogni tanto ci stanno bene pure quelli...

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    1. Per te che leggi poco e lentamente, forse i racconti son meglio. :-P

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  4. Disagio e ancora disagio...per il momento ho fatto il pieno con "La pianista", accidenti che lettura spiazzante, ci sono pagine davvero molto forti in cui la scrittura potente della Jelinek ti colpisce come lama affilata (stasera mi guardo il film).
    Scusa per i miei O.T. ma l'ho letto per causa tua, sono curiosa davvero della tua recensione. Una scrittrice da premio Nobel coraggiosa.

    Cercherò qualcosa di questa scrittrice, ho letto le varie trame dei suoi libri e sebbene non ami i racconti in modo particolare mi hai incuriosito.
    Io ho appena iniziato "Nel giardino delle scrittrici nude" di Piersandro Pallavicini.

    Buona domenica Michele. 👋👋👋

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    1. Ciao Lory! La pianista mi è arrivato qualche giorno fa, non vedo l'ora di leggerlo a questo punto.

      Buona domenica e buone letture!

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