mercoledì 23 dicembre 2020

Le visioni indie di dicembre: Sound of Metal | Ema | Matthias e Maxime | Waves | Under the Silver Lake

Lo cantavano Simon e Garfunkel: anche il silenzio ha un suono. Lo scopre d’un tratto Ruben, un batterista rock, all’improvviso costretto a rinunciare a un tour insieme alla compagna cantante. Perde l’udito. Ex tossicodipendente, fidanzato da quattro anni con la dolcissima Olivia Cooke e da quattro anni pulito, minaccia il suicidio; nega; si aggrava; nega ancora; distrugge. Al centro di un doloroso processo di accettazione, il protagonista si trasferisce in una comunità per non udenti dalle regole ferree. Quando gli ospiti – guidati da un Paul Raci in odore di nomination – comunicano fittamente fra loro nel linguaggio dei segni, sullo schermo non compaiono sottotitoli: lo smarrimento di Ruben, che non conosce la LIS, è pari al nostro. Questa è la grande sfida dell’esordio alla regia di Darius Marden: renderci vicinissimi all’esperienza del batterista. Complice un uso del sonoro mai sperimentato prima, Sound of Metal diventa allora una visione sperimentale, intima e immersiva: tagliati fuori, ma per questo perfettamente calati nel disagio di Ruben, ascoltiamo suoni ovattati, fischi, fruscii, tonfi, voci che sembrano rimbombare dalle profondità oceaniche. Gli anni Trenta erano il trionfo del cinema muto. Questo, invece, è un cinema sordo: capace di sfruttare le commoventi potenzialità della settimana arte per garantire totale empatia. Chiusi per due ore nella bolla della sordità, facciamo compagnia a un incredibile Riz Ahmed: l’attore di origini pachistane picchia i piatti della batteria con furia selvaggia e comunica resa a ogni sguardo. Artefice di una delle migliori performance su piazza, scrive pensieri farneticanti; impara pian piano a padroneggiare i movimenti delle mani, i vuoti, le parole non dette. Questo ex batterista fatica a riprendere il ritmo, ad abituarsi: insegue perciò l’utopia di un costosissimo impianto cocleare. Che rumore fa la disperazione? Cosa resta quando la musica finisce? A sorpresa, il silenzio – e l’oscurità, vecchia amica – garantiscono un’acustica perfetta. Marden li indaga sin nelle vibrazioni più infinitesimali. Il risultato, paradossalmente, è un’orchestra di emozioni. (8,5)

Sensuale e folle, mette a disagio soltanto aprendo bocca. Flirta spudoratamente e in ogni occasione. Ema ha i capelli ossigenati, una crew di amiche ballerine per branco e una lunga relazione con un coreografo di dodici anni più grande. Passando da un assistente sociale all’altro, vive sensi di colpa per un bambino voluto, cercato, infine ceduto nuovamente indietro. L’orfano che ha adottato con Gaston – già grandicello, con un’ombra di baffi sul labbro e l’hobby dei fiammiferi – ha rivelato agli altri l’inadeguatezza della coppia. Come può un bambino violento essere allevato da due genitori sui generis? O forse non ci potrebbero essere persone migliori di due ribelli poliamorosi per far sentire benaccetta una mina vagante? Dopo la biografia di un’algida first lady americana, Pablo Larraìn torna in Cile per un nuovo ritratto femminile. Per la prima volta, seminando sconcerto tra i suoi estimatori, lascia da parte l’impegno politico da parte. Non per questo meno ambizioso, il film presentato a Venezia è un puzzle sentimentale stranissimo mosso dalle forme d’amore più disparate. Benché sofisticato, si muove a ritmo di raggaeton. Pur rendendoci partecipe del dramma di una famiglia disfunzionale, ha le fattezze di un thriller erotico. Ammaliante ma respingente, malsano eppure armonioso, di una bellezza conturbante, è una festa di leggerezza e devasto con i rossi saturi di Noè e le passioni dell’Almodovar più scandaloso. Il bel Bernal fa un passo indietro davanti al magnetismo della rivelazione Mariana di Girolamo. Quintessenza della libertà, Ema e i suoi mille amanti – importanti un pompiere e un’avvocatessa – cercano il raggiungimento di un nuovo equilibrio nella maniera più controversa. Madre, moglie, ballerina, piromane, trasforma ogni mossa in un passo di danza; ogni incontro in un’ammucchiata. Tra fascino e inquietudine, è il soggetto di un ritratto più che moderno: futuristico. Contro natura, oltre natura. (8)

Dopo un viaggio in America che aveva dato vita al suo film più bistrattato – per me ingiustamente – Dolan torna alle origini per leccarsi le ferite. La provincia canadese è quella dei suoi primi successi, e sempre da lì vengono i miscugli particolarissimi tra inglese e francese, i rapporti di amore-odio con mamme troppo ingombranti, gli amori impossibili a tinte arcobaleno. Storia di un’amicizia messa all’improvviso in discussione, Matthias e Maxime parte con un bacio che i due protagonisti si scambiano per prendere parte a un corto cinematografico. Gli altri, intorno, non sembrano dar peso all’evento. Ma nei diretti interessati qualcosa cambia: contriti e confusi, prendono a evitarsi. Cosa nasconde il loro imbarazzo? Raccontati in presa diretta, sembrano muoversi senza seguire una sceneggiatura. Tra primissimi piani, dialoghi che si accavallano, brindisi e feste piene di armonia, permettono che l’incomunicabilità generi momenti di tensione. Riusciranno a confessarsi l’inconfessabile? Concitato, caotico e festoso, l’ultimo film dell’ex ragazzo prodigio mantiene un basso profilo. Tende a non strafare. Intimo, è al servizio di una storia semplice e priva di manierismi, che ovviamente non rinuncia ai classici riferimenti pop: la scena del bacio, la più memorabile, omaggia Titanic. Più sentito che riuscito, il film – fatto di esterni gelidi e d’interni calorosi, di un’allegria sguaiata intrisa di disperazione – è una festa di addio per salutare per sempre l’ultimo scampolo della giovinezza di Xavier. Ma è comunque una festa. (6,5)

Lo hanno abituato a eccellere. Afroamericano in un Paese intollerante, checché se ne dica, deve fare sforzi sovraumani per essere all’altezza delle aspettative altrui. Studente brillante e stella del wrestling, è spinto oltre i suoi limiti – o fino ai suoi limiti? – dalle pressioni di un padre troppo normativo. Come venire a patti prima con un infortunio, poi con l’arrivo di un bambino indesiderato, se nel suo futuro non sembravano esserci spazio per gli errori? Chi ha tutto, purtroppo, a tutto da perdere. E durante un ballo scolastico sotto antidolorici, la tensione crescerà fino a sfociare nella tragedia immancabile. Allora il film cambia aspect ratio e volto, cambia protagonista. Si lascia spazio al punto di vista della sorella minore, aspirante veterinaria alle prese con il primo amore per un tenerissimo Lucas Hedges. Waves – arrivato in homevideo con il sottotitolo Le onde della vita – è un dramma familiare con un bagaglio emotivo pesantissimo e una generosità fuori dall’ordinario. Potente, emozionante, vero, segue un andamento imprevedibile e tumultuoso. Sembra scosso dalle forze crudeli di una moderna tragedia. Parabola sull’ira e sul perdono, sulla disperazione e sulla libertà, scioglie i nodi intricati della prima parte con l’espiazione della seconda. Tra danze liberatorie sotto la luna, sbronze e faccia a faccia urlatissimi, riflette sulla mutevolezza delle sorti e dei sentimenti. Diretto da Trey Edward Shults – già notato con un interessante horror indipendente –, qui e lì è stato accusato di essere troppo pretenzioso. Con i suoi folgoranti primi piani, con le luci al neon e i colori fluo, con scene madri su scene madri, probabilmente lo è. Il montaggio da videoclip, inoltre, è una montagna russa. Ma il regista trentaduenne si è fatto le ossa come assistente di Terrence Malick, e si nota nella perfezione della messa in scena che ricorda anche le sperimentazioni visive di Dolan, le giovinezze allo stato brado di Guadagnino, i drammi all black di Jenkins. Strizzando l’occhio ai migliori, Shults cura maniacalmente la forma, però non scorda il cuore. Rinfrancato nello sguardo e nell’anima, mi sono goduto moltissimo questo doppio romanzo di formazione dove l’incomunicabilità prolifera per lasciare spazio al senso di colpa. Sui cocci della perfezione infranta, Waves regala picchi e creste. Travolge. Nelle sue onde, che ti circondano come un bozzolo, puoi o annegare o salvarti. (7,5)

Un impunito serial killer di cani. Una sensuale vicina di casa scomparsa nel nulla. Il cadavere di un milionario morto in un incendio doloso. Un fumettista occhialuto fissato con leggende e simbolismi. Un nuovo gruppo rock, Gesù e le spose di Dracula, i cui brani sono scritti da un misterioso paroliere che sembra custodire le sorti del mondo. Sto bene, sì? Cosa diamine sto guardando? Sta bene il regista, David Robert Mitchell, o ha scritto e diretto il suo ultimo film in pieno trip allucinogeno? Nel dubbio, per oltre due ore, ho sguazzato allegramente nelle stramberie di Under the Silver Lake. A metà tra un noir, una commedia grottesca e un horror esoterico, segue le indagini di un subito iconico Andrew Garfield: con jeans a sigaretta, converse e occhiali da sole, corre di qua e di là; spulcia; fa inseguimenti in macchina; bacia ragazze bellissimi e fatali. Messe da parte le sue grandi ambizioni, il giovane nullafacente affetto da manie persecutorie comincia a credere in messaggi subliminali, cospirazioni e schemi ricorrenti. Perfino il libero pensiero e le idee di rivoluzione sono una bugia instillata dai piani alti? Passato in sordina a Cannes e bistrattato dalla successiva distribuzione, il ritorno del regista dell’indigesto It Follows è il flop a cui soltanto i cultori di Lynch e Hitchcock, sul web, hanno dato nuova linfa vitale. È audace, sperimentale, pasticciato: troppo. È un inno al pop, alla cultura del consumo, alla solitudine delle stelle: spiazza. Benché irrisolto, però, offre una delle visioni più originali dell’anno. Una caccia al tesoro mossa da curiosità e inquietudine, dove non importa capire cosa ci sia bene in ballo. Un rebus divertente e confusionario, da portare a termine soprattutto per il piacere giocoso della sfida in sé. (7,5)

12 commenti:

  1. Ho visto solo Under the Silver Lake, io più freddo nel giudizio, però sì, anch'io ho sguazzato allegramente ;)

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  2. Sound of Metal per essere un film "sordo" è decisamente potente.

    Ema è un incanto, soprattutto per gli occhi. Non a caso è diventato il mio nuovo header. :D

    Matthias & Maxime per me purtroppo molto deludente. Troppo giocato sui giochi di parole, sul confronto tra lingua inglese e francese, ma chissenefrega, Xavier? XD

    Waves travolge, sì. Un lavoro notevole, forse imperfetto, che lascia sperare che il regista possa fare ancora di meglio.

    Under the Silver Lake è diventato uno dei miei cult personali. Sono uno dei cultori di Lynch che ha provato a dargli nuova linfa vitale, lo ammetto. :)

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    1. Hanno detto tanto male al Dolan USA, ma per me funzionava ben più di questo...

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  3. Interessanti tutte le tue proposte, ma penso che darei la precedenza a Sound of Metal.
    Passo per augurarti Feste serene e per dirti che mi sono fatta regalare l'ultimo romanzo di Silvia Avallone. Ne riparleremo da me quando lo avrò letto;)
    Buon Natale!

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    1. Oh, spero che ti piacerà Mariella!
      Sound of Metal, forse forse, film preferito dell'anno.
      Ti abbraccio, buon Natale. :)

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  4. Ciao Michele, un caro Augurio per un Natale sereno, buone feste e tante belle letture...io al momento latito, leggo a singhiozzo, un abbraccio!

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    1. Ciao Lory, buone feste a te!
      Ti aspetto in pieno spolvero all'anno nuovo allora, un bacione!

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  5. Visto solo Utsl e non mi ha detto granché :/ per carità, assurdo e folle, ma una volta finito... resta poco.

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    1. Sicuramente ma lì per lì mi sono divertito un sacco.
      A sorpresa, avendo odiato It Follows!

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  6. Under the silver lake è anche fra i miei recuperi migliori, a questo punto devo dare fiducia al Cannibale (che lo aveva segnalato) e pure a te con Waves, che quando si è presentato nei canali alternativi ispirava poco.

    Con Ema resto in bilico fin da Venezia dello scorso anno: esagerato e capace di farsi odiare e ammirare come pochi. Alla fine ancora non mi sono decisa su cosa far prevalere.

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    1. Waves straconsigliato. Ti piacerà moltissimo, poi c'è Hedges che è adorabile. :)

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