mercoledì 5 febbraio 2020

Recensione: Uomini di poca fede, di Nickolas Butler

Uomini di poca fede, di Nickolas Butler. Marsilio, € 17, pp. 271 |

Ho scoperto che leggerlo è uno dei piaceri della vita. Quando termino una sua storia, ho sempre il desiderio di chiacchierarne con lui davanti a una birra. Di romanzo in romanzo, infatti, è difficile non affezionarsi al suo tono di voce e alla sua compagnia. Ci sono quegli autori a cui, se si potesse, ruberesti a man bassa il segreto dell’ispirazione perpetua. E ci sono altri come Nickolas Butler, più rari ma non per questo meno preziosi, che vorresti avere la fortuna di considerare amici. In un mondo perfetto, saremmo abbastanza in confidenza da scambiarci le esistenze durante le vacanze: lui in Italia, io negli Stati Uniti, per realizzare così il pensiero che ogni volta mi attanaglia a fine lettura. Posso trasferirmi in Wisconsin?
Per favore, faccio sul serio: metto poche cose in valigia, prendo e parto. All’arrivo, in fondo, troverei tutto quello di cui ho bisogno. Ecco le villette degli anni Cinquanta, ecco il profumo di hamburger e crostate fragranti, ecco i cieli immensi. Sui rami ci sono fili di lucine natalizie, anche a festività finite, e nelle grigliate si brinda con una lattina ghiacciata stretta nel pugno. Ma badate bene, non è tutto oro quel che luccica, non siamo in un episodio della Casa nella prateria: si inizia a fumare prestissimo, all’età di nove anni; la noia esistenziale spinge tra le braccia del vizio o in poltrona, a sorbirsi svogliatamente soap opera su soap opera; i giovani tagliano la corta quanto prima, e lo testimoniano le strade spopolate, i negozi sfitti, i banchi vuoti. Il passaggio dei treni, metronomi per eccellenza della vita notturna, inoltre fa vibrare un po’ i letti e le chincaglierie nelle cristalliere. Seppure tra alti e bassi, i personaggi di Butler non saprebbero mai rinunciare al fascino di queste atmosfere malinconiche. E io con loro.

Sempre più spesso, Lyle scopriva di trovarsi a proprio agio nel silenzio, accanto ai suoi cari, senza cercare di risolvere problemi o rispondere a domande, limitandosi piuttosto a imparare a vivere in maniera più leggera, ad amare più intensamente, a mangiare meglio e, di sera, prima di andare a dormire, a leggere gli scaffali e scaffali di libri che, gli era tristemente chiaro, non sarebbe mai vissuto a lungo da aprire, quegli uccelli dalle ali bianche appollaiati sul suo petto alla pallida luce dell’abat-jour, in attesa che un polpastrello inumidito ne scorresse con delicatezza le pagine sottili, le voltasse liberando storie e poesie e miti in esse contenute.
Si parte in medias res, con una scena da film: Lyle – sessantacinque anni, quaranta dei quali passati accanto alla moglie Peg – gioca a nascondino in un cimitero. Conta sulla tomba del primo figlio, morto a nove mesi, mentre il piccolo Isaac corre a nascondersi. L’anziano segue il nipotino fra le lapidi di concittadini un tempo conosciuti e stimati, e inevitabilmente pensa alla vita, alla morte e al mistero che c’è nel mezzo. 
Il protagonista sembra l’eroe della porta accanto di un film di Clint Eastwood. Temprato dal lavoro fisico, è un tuttofare in pensione che non rinuncia comunque a rendersi utile: è un padre e un nonno amorevole – il legame con la figlia Shiloh, adottata in tenera età, non ha nulla da invidiare ai rapporti di sangue –, un amico presente – da quando a Hoot è stato diagnosticato un cancro, le visite di cortesia sono diventate innumerevoli –, un lavoratore instancabile – raccoglie in nero mele in un frutteto, soprattutto per il piacere di mangiare i frutti direttamente dall’albero. Benché alla religione organizzata preferisca i rapporti di buon vicinato, non rinuncia comunque alla routine della messa domenicale: ama il canto corale, la volta dipinta sotto cui ha conosciuto Peg, i sermoni di un prete che prima della conversione era un pescatore in Alaska. Ma l’incostante, detestabile Shiloh, a un certo punto, decide che il credo del padre non è abbastanza: membro di una chiesa aconfessionale e legata a Steven, leader con smanie da rockstar, la ragazza trascinerà i parenti nell’incubo del fanatismo religioso. Il cagionevole Isaac, portato in giro come un fenomeno da baraccone, è davvero un guaritore? La preghiera cura più della medicina? Si può amare una persona pur disapprovandone le scelte? Ha inizio un braccio di ferro straziante, dove credenze diverse diventano motivo di dissidio.

«Mi pare di non riuscire a tenermi strette le cose. Mi pare di non riuscire a farle andare più piano». 
«Ti terrò stretto io» affermò Peg. 
Continuarono a dondolare nella notte estiva, con il cemento sotto i piedi caldi e umidi […] Lyle voleva dire: Sentirò la sua mancanza, ma temeva che se avesse pronunciato quelle parole ad alta voce si sarebbe messo a piangere. Così le trattenne fra le labbra, dove si gonfiarono e si espansero; gli parve di avere il cranio appesantito e il cuore fragile, allora chiuse gli occhi e avvertì le braccia della moglie che lo avvolgevano nella maniera in cui un bambino potrebbe abbracciare un albero, e la strinse ancora di più a sé.
Già paragonato spesso al compianto Kent Haruf, Butler trova casualmente lo stesso traduttore dell’amato scrittore del Colorado – Fabio Cremonesi, calzantissimo – e la tematica spirituale già presente in Benedizione. Dopo Shotgun Lovesongs e Il cuore degli uomini, conferma qui il suo dono più grande: l’emozione. Dalla resa vivida dei paesaggi campestri alla quotidianità dei protagonisti, dal filosofeggiare sulle gioie del sonnellino alle riflessione sul divenire della natura, ogni dettaglio vibra di sentimento. E spinge di conseguenza le schiene a vibrare, a palpitare, sotto le scosse di sospiri profondi che nell’epilogo diventano pianti. Questa volta a fare da cassa di risonanza c’è l’aggiunta di un protagonista speciale – uno di quegli anziani da adorare, dolci ma agguerriti –, che alla bellezza dell’elemento rurale affianca un altro tema che su di me ha presa facile:  la senilità. Lyle non si arrende all’inazione della vecchiaia. Il suo cuore non vuole saperne di smettersi di angustiarsi o battere. Lasciarsi andare alla preghiera significa forse tradire il suo senso pratico? Appassiona, allora, il suo tentativo di salvare un bambino dall’ignoranza dei tutori. E commuove oltre il dicibile il tentativo di salvare il meleto dal gelo, alimentando improbabili falò. Nel Wisconsin, all’improvviso, le temperature primaverili possono cedere il passo a una violenta tormenta. Come prodigarsi per salvare il salvabile?
Qualunque sia il vostro rapporto con la chiesa – il mio è pressoché nullo –, non lasciatevi scoraggiare dall’argomento. Uomini di poca fede incoraggia a credere nel prossimo, non nel divino, e ad arrendersi al fatto che – non importa se lo si chiami karma o speranza – il bene che facciamo, alla fine, ci ripagherà con la stessa moneta. Sul solito sfondo irrinunciabile, pur ispirandosi a una brutta vicenda realmente accaduta, Butler sa confezionare il solito romanzo bellissimo. Sulle diverse accezioni della parola gregge. Sui pacifici ma struggenti gesti di opposizione della gente qualunque. Su momenti semplici e perfetti, in cui sarebbe splendido stabilirsi vita natural durante. Aspetterò il suo ritorno in libreria come si aspettano i miracoli.
Il mio voto: ★★★★½
Il mio consiglio musicale: Johnny Cash – You Are My Sunshine

23 commenti:

  1. Eh, questo sarà mio.
    Adoro questo scrittore di cui ho letto solo due opere. Ma cavolo, scrive da dio, e scrive quotidiano.

    Moz-

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    1. Troppo bravo, troppo.
      Fa sembrare speciali esistenze, per il resto, ordinarie.

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  2. Mi attira moltissimo, e se non fosse per il prezzo gli darei una possibilità a scatola chiusa. Purtroppo il paragone con Haruf mi frena: credo di essere l'unica persona al mondo a cui non è piaciuto, e 17 € sono 17 € ç_ç

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    1. Però tutti gli altri di Butler, altrettanto belli, li trovi in economica Feltrinelli. Non hai scuse!

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  3. Oh oh oh ed io che non conosco questo autore ora mi picchi.... da te trovo sempre bei libri a me sconosciuti :D

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    1. Sono tutti bellissimi i suoi. E il primo, Shotgun Lovesongs, anche poco poco ormai. :)

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  4. Non sarebbe necessario ma te lo scrivo anche qua: non vedo l'ora! Di tornare a lui e recuperare pure i suoi racconti ;)

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    1. Qui pure i vecchini...
      Io in pace col mondo, insomma. ❤️

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  5. Se mi citi Haruf mi fai drizzare le antenne subito, me lo segno subito.

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    1. Pensa che io, lui, lo seguo da ancora prima che in Italia venisse pubblicata la Trilogia della pianura.

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  6. Mi associo - pure io non so rinunciare a queste atmosfere e al richiamo di Butler. Ovviamente è in wishlist.

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  7. Mi hai proprio fatto venire voglia di leggerlo! Più degli altri di Butler, a dire il vero. Grazie. ciao da lea

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  8. Shotgun Lovesongs sarà una mia prossima lettura! Ripongo alte aspettative e se dovesse piacermi molto, recupero anche questo!

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  9. Lo sto finendo, proprio un gioiellino! :) Che bella (e non è una novità) la tua recensione!

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  10. Con Nickolas Butler per me è andata bene, molto bene, con Shotgun Lovesongs. Grazie anche a te. ;) Meno con il successivo Il cuore degli uomini, con cui sinceramente mi ero arenato. Questo visto l'argomento mi attira poco, ma dovrei avere fede e dargli una possibilità. XD

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