mercoledì 15 maggio 2019

Mr. Ciak: Pet Sematary, The Prodigy, Climax, 7 Sconosciuti a El Royale, Escape Room

Citando un altro dei suoi successi, a volte ritornano. È successo prima alle liceali vessate, poi ai pagliacci assassini, infine ai membri della famiglia Creed. I remake, negli anni, hanno dato nuova linfa agli incubi di Stephen King. A trent'anni dal film originale, Pet Sematary ha seguito l'esempio di Carrie e It. Il risultato, poco clamoroso ma comunque godibile, è nella media. All'attenzione filologica della prima parte – notevole l'interesse per l'inconscio dei protagonisti, i fantasmi di lui e i sensi di colpa di lei, insieme agli effetti mortiferi di una terra maledetta che supera i confini della radura e tormenta la famiglia in gran completo – seguono le canoniche concessioni al mainstream della seconda, con tanto di bambine possedute appostate in cantina e vedute di un cimitero gotico a livelli caricaturali. Il cambio di rotta dell'epilogo, nerissimo e perfino più tragico, seminerà un certo disappunto nei lettori più fedeli ma, nel mio caso, è stato una felice variazione sul tema: un aggiornamento con i tratti della riscrittura, che non stravolge il messaggio complessivo. I problemi del film, purtroppo, non stanno tanto nei limiti di una sceneggiatura non abbastanza rimodernata quanto nell'assenza di un protagonista sfaccettato o di un regista degno di questo titolo: Jason Clarke, inespressivo come il peggiore Affleck, appare talmente monolitico da non riuscire mai a comunicare la sofferenza di un medico alle prese con una scelta impossibile – insomma, non ha l'intensità richiesta a Toni Collette in Hereditary –; i registi chiamati a sbrigare il compito sono ben due, ma sembrano aver dato forfait. I risvolti agghiaccianti non impediscono allo spettatore di nascondersi qui e lì il viso fra le mani. Il gatto Churchill e la sua spiritata padroncina, Ellie, potrebbero diventare presenze fisse nella galleria dei personaggi inquietanti. Ma chi l'ha letta lo sa: quella di King, in realtà, era una tragedia inesorabile. Purtroppo centrava meglio l'obiettivo il televisivo 1922, e non l'ennesimo horror mordi e fuggi, per quanto decoroso appaia. A volte la morte è meglio. Ma il remake? (6,5)

Le abbiamo festeggiate la seconda domenica di maggio, le mamme. Cosa non farebbero per proteggere i loro figli? È lo sguardo amorevole a distogliere la convincente Taylor Schilling dalle stranezze del piccolo Miles, bambino dall'intelligenza precoce e dagli incubi inenarrabili. Mentre lui veniva al mondo, in un'altra città moriva un serial killer. Spirando, il mostro ha lasciato in eredità al nascituro un occhio di colore diverso rispetto all'altro e una questione di morte ancora irrisolta. Si parlerà allora di doppie personalità. Di reincarnazioni, a cavallo fra Oriente e Occidente. Un po' Omen, un po' La bambola assassina, The Prodigy – giunto in sala fuori stagione, con a bordo lo stesso sceneggiatore di Pet Sematary – appartiene al classico filone del bambino crudele. Non supera i modelli di riferimento, non ambisce a diventare pietra miliare, ma per essere un prodotto d'intrattenimento uscito durante le vacanze pasquali sa difendersi discretamente senza sfoggiare l'artiglieria pesante dei film di serie B. Ritratto di una convivenza infernale e di un genitore sull'orlo di una crisi di nervi, ha alle spalle luoghi comuni solidissimi e qualcosa di buono, fra interpreti in parte e ritmi accattivanti. Ne viene fuori un thriller paranormale di buona foggia, che sgomita con eleganza in un sottobosco di pellicole ormai intercambiabili fra loro e che, a colloquio con l'infido Jackson Robert Scott, trova un antagonista da brivido. Pur al servizio di una storia che, strano ma vero, senza nessuna novità da proporre, non è ancora venuta a noia. (6)

Ci ha raccontato l'amore in Love, lo scandaloso porno d'autore che aveva diviso Cannes. È tornato, ora, per raccontarci la morte: con la grazia selvaggia della danza contemporanea e tutta la bellezza perturbante del suo cinema. Gaspar Noé, il Lars Von Trier argentino, non balla da solo né tanto meno in punta di piedi. Siamo in una sala piena di ballerini professionisti. La danza è il loro lavoro, il loro hobby, la loro vita. Non fanno altro, e di danza parlano in tutte le lingue del mondo. Climax mostra la loro ultima sera dopo nove mesi di lavoro a stretto contatto. Proiettati nel bel mezzo di relazioni, tradimenti e alleanze, carpiamo qualche informazione dalle chiacchiere altrui. E capiamo che c'è qualcosa che non va. La sangria a fiumi li rende su di giri: chi l'ha drogata? Se in Suspiria il movimento era armonia, qui conduce invece allo sfacelo. A incesti, aborti, stupri, aggressioni. In un rito bacchico durante il quale tutto è lecito, tutto è possibile, la compagnia garantisce orrori indicibili e un'esperienza visiva eccezionale. Le prove stesse sono l'esibizione. Il resto, invece, è un flashmob lunghissimo su cui giganteggia la bandiera francese e l'onnipotenza di Noé. Un regista che inserisce i titoli di coda all'inizio del suo film e quelli di testa a metà, dopo quarantasei minuti di visione. Un portento alla macchina da presa che si concede ora piroette da capogiro, ora interminabili piani sequenza: la telecamera, fissa, mentre i protagonisti diventano invasati. All'esagerato virtuosismo di fondo, però, corrisponde simmetricamente l'inutilità della trama; atmosfere psichedeliche che nella prima parte entusiasmano e poi, pian piano, vengono a noia. Mancando d'un passo l'acme del titolo, mentre nel dramma precedente – fra contenuto e forma, provocazione e commozione – la pienezza dell'orgasmo era assicurata. (7)

Sette sconosciuti dal passato criminoso, un hotel da cui fuggire. Il giallo e il pulp, sposalizio già vincente nel sopravvalutato The Hateful Eight, chiamati a raccolta insieme a un cast di sole stelle per renderci partecipi di una vicenda di bulli e pupe, sangue in quantità e soldi sporchi. El Royale sorge a cavallo fra due stati e, nella classica note buia e tempestosa, ci assicura scenografie sopraffine, splendide canzoni al juke-box e una manciata di sequenze degne di nota: quel piano sequenza lungo un sordido corridoio segreto, ad esempio, o l'esibizione canora della grandissima Cynthia Erivo intervallata ai piani imperscrutabili di Jeff Bridges. La compagnia, data la portata degli ospiti, sarà di quelle con cui rifarsi gli occhi – che bombe sexy Dakota Johnson e Chris Hemsworth! –, anche se nel cuore mi è rimasto l'imprevedibile portinaio di Lewis Pullman. Strabordante, sfacciato e autoironico, il ritorno al cinema di Drew Goddard è un nuovo omaggio, dopo i fasti di Quella casa nel bosco: lì omaggiava l'horror, qui il thriller. Non vuole lasciarsi prendere troppo sul serio, e ci saranno allora la stessa leggerezza, la stessa passione, lo stesso tocco promettente. Nonostante una superba prima parte e un prosieguo all'insegna della fatalità, è sempre bello far congetture e vederle smantellate: si sfoderano le armi pesanti, infatti, e senza troppi rancori vengono meno l'aplomb iniziale e attori il cui ruolo, a torto, era considerato chiave. Scoraggiato dalle oltre due ore di durata e dalle recensioni tiepide, rischiavo di perdermi un soggiorno pericoloso ma confortevole in mezzo alla bellezza kitsch e ai deliri metacinematografici di Goddard: un piccolo Tarantino che fa simpatia, per le grandi ambizioni e un cognome da Nouvelle Vague. (7,5)

Cinque sconosciuti dal passato traumatico, un complesso da cui fuggire per salvarsi la pelle. Il giallo all'inglese di Agatha Christie incontra i morti ammazzati di Saw e i grattacapi di The Cube. A ogni scenario (fra i tanti: un forno crematorio, un cottage sotto zero, un salotto distorto dalle droghe, una biblioteca pronta a schiacciarti) corrispondono un indizio e una dipartita violenta. Qual è il filo rosso che unisce i protagonisti? Chi li manipola dall'alto? Soprattutto, chi avrà la meglio in questo purissimo gioco di sopravvivenza senza trucchi né inganni? Il survival – genere tipicamente estivo, questa volta elegante nella resa e piuttosto ben assortito – a sorpresa potrebbe divertire più gli amanti dei grattacapi che quelli dello splatter gratuito, grazie alla sintesi fresca e dinamica delle sue influenze da cardiopalma. Invito a cena con delitto multiplo, cavalca la moda delle escape room già diffusa nelle grandi città e rinuncia all'efferatezza, intrattenendo con l'ingegno delle scritture a incastro; gli ambienti vari e insidiosi; una chiusa aperta ma non troppo, in vista di un papabile seguito che, qui lo ammetto e qui lo nego, in futuro mi concederei di volata. (6,5)

20 commenti:

  1. Pet Sematary l'ho trovato noiosissimo, con un pessimo attore protagonista. Il libro non si basa solo sui mostri, e proprio per quello risulta così angosciante: questo nuovo film non l'ha capito, rendendo a mio avviso la storia incredibilmente vuota e mediocre.
    The prodigy mi era sfuggito, ma pare molto interessante, mentre 7 Sconosciuti a El Royal ce l'ho nella lista dei futuri recuperi :)

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    1. Fammi sapere!
      Io, con la lettura risalente a più di dieci anni fa, non sono stato troppo critico con King, memore di trasposizioni disastrose...

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  2. Ovviamente rifiuto di leggere alcunché su Pet Sematary, che dovrei finalmente riuscire a vedere stasera.
    The Prodigy non è malaccio, McCarthy solo regista perde un po' di personalità ma come film è cattivo al punto giusto e quel finale è splendido.
    Sette sconosciuti... sarà che avevo mille aspettative ma l'ho trovato floscio, insignificante e anche un po' cretino. Peccato, perché alcune trovate di regia e scenografia non sono male.
    Escape Room simpatico, ci mette un po' a scaldarsi e spara le cartucce migliori a metà, ma non è memorabile. A differenza tua, non so se correrei a vedere il sequel ma mai dire mai.

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    1. Alla fine ho capito che King ti è piaciuto più che a me, meglio così! 😉

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  3. Ho visto Pet Sematary ieri sera e, se consideri il fatto che non conoscevo affatto la storia di King (che leggerò nei prossimi giorni), ho trovato l'idea di base davvero piacevole... la recitazione invece pessima e la pellicola nel complesso piena di cliché.
    Escape Room invece niente di che, intrattiene e scorre piacevolmente, come te mi concederò il seguito senza nessuna aspettativa né pretesa.

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  4. Hai sconvolto un po' i miei programmi: da quel Pet Sematary mi aspettavo più entusiasmo e visto che in v.o. non arriva e lo esalti come libro, gli darò una chance su carta. Forse.
    Avevo depennato i 7 sconosciuti perché poco ispirata al recupero, con quel voto, con quell'entusiasmo, potrebbero tornare in agenda.
    Climax, folle, assurdo, eccessivo. Una ventata d'aria fresca anche se casalinga.

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    1. Secondo me, in lingua, Clarke rischia di essere perfino più cane...
      Vai di romanzo, che a memoria è uno dei migliori. Breve e doloroso. Il giovine che fa, conferma?

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  5. Peodigy a me non è dispiaciuto, ma è uno di quei film che ti dimentichi poco dopo, però alcune scene mi sono rimaste impresse.
    Pet ho un po' paura a vederlo, adoro il libro e Cimitero Vivente lo ricordo ancora con affetto, non so se ho voglia di rivederne un'altra versione.

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    1. Il colloquio fra lo psichiatra e il bambino (il Georgie di It, per altro!) è agghiacciante.

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  6. Totalmente d'accordo su tutto, anche se ho saltato la parte dedicata a "Pet Sematary" che devo ancora vedere. "Climax" mi è piaciuto più di quanto avrei creduto. "Escape Room" è una cosina che però alla fine intrattiene, si può dire lo stesso di "The Prodigy" non memorabile ma si lascia guardare ;-) Cheers!

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    1. Aspetto la tua su Pet Sematary.
      Ma non aspettarti il rock della versione anni Ottanta, né dei Ramones.

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  7. Pet sematary inspira tanto anche me, nonostante ho letto un solo libro di King ☺️ recentemente invece mi sono appassionata alle vicende dello scrittore Markus Goldman in La verità sul caso Harry Quebert. E devo dire è piuttosto fedele al libro ☺️

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  8. Ecco, io invece ho adorato "Climax" e trovato a noia "Love" - per quanto le tette possano venire a noia…
    Goddard invece è uno dei grandi recuperi che devo fare.

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    1. Ma Love mi ha commosso, con quell'amore per un figlio che va a sostituire il sesso spinto, mentre Climax mi ha infastidito e basta. Anche se, immagino, non poteva chiederglisi altro.

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  9. Climax bomba, per il resto io ho trovato Escape Room terribile, mentre nonostante la simpatia per Goddard i 7 sconosciuti mi avevano un pò deluso.

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    1. Occhio a The Prodigy, per una visione domestica. Not bad!

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  10. Gaspar Noé il Lars Von Trier argentino?
    Non lo avevo mai visto in questa maniera, però in effetti il paragone ci può stare. Entrambi bastardi e talentuosi come pochi. :)

    I sette sconosciuti non mi hanno impressionato particolarmente, e semmai un po' deluso.

    Con Escape Room sei stato troppo buono. A me il gioco è venuto ben presto a noia...
    The Prodigy invece mi è venuto a noia ancora prima di guardarlo ahahah

    Pet Sematary se non ha entusiasmato troppo un kinghiano come te mi spaventa. Ma magari da non fan a digiuno del libro potrei apprezzarlo di più...

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    1. Che poi pensavo che Gaspar fosse francese, data la lingua di tutti i suoi film. Mi ha smentito prontamente Wikipedia!

      PS. Con Trier non lo reggo però, Noè sì!

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