Plastinazione.
È così che si chiama il processo che permette ai corpi umani di
essere conservati. Senza liquidi, sostituiti con polimeri di
silicone. Senza il cattivo odore della morte. I cadaveri –
imbalsamati, levigati, sezionati – sono esposti come bronzi greci
nei templi della dea scienza. Gli organi all'aria, preziosi camei. Le
cavità interne, i genitali e i difetti, sotto gli occhi di tutti, a
portata di flash. Se non fanno troppa impressione è perché sembrano
statue di cera. Se non ispirano grandi interrogativi etici, un po' di empatia, è perché delle statue non inventi mica le carriere,
gli affetti, un cuore congelato. Immaginate, adesso, un museo imprecisato.
Le
pareti candide, l'illuminazione dei faretti strategici, il vociare di
un pubblico eterogeneo tra lo stupito e l'inquieto: queste sculture
di carne, fisse al centro della sala nelle loro pose plastiche,
saranno per un mese l'attrazione principale. Il dottor Frankenstein
che le ha plasmate e radunate si chiama Tulp. Il compagno di Giada,
che di arte è vissuto ed è morto, ha promesso al luminare della
plastinazione la sua salma: diventato uomo da piedistallo, dunque,
per una tanto precisa quanto imperscrutabile volontà testamentaria.
Ogni
uomo uccide la cosa che ama.
Nel
museo di cui vi parlavo, a questo punto, aggiungete una presenza
ricorrente. Una donna che tra me e me mi sono figurato di mezza età,
con un vestito fuori contesto, il rossetto ripassato di fresco sul
sorriso tristissimo, un bicchiere di spumante fra le dita guantate.
Si intromette nelle chiacchiere dei critici, dei laureandi in
Medicina, delle coppie innamorate. Stringe mani, rifiuta
dichiarazioni, timbra biglietti d'ingresso per trenta giorni
complessivi. Lì festeggia i compleanni in solitaria, sollevando il
calice verso una mummia con la Nikon al collo. Lì pianifica i
potenziali flirt e le interviste. Ogni tanto qualcuno la riconosce e
le chiede con sincera afflizione come sia essere lei, strana vedova
incapace di andare altrove. È proprio la ragazza dell'altalena,
immortalata di spalle in uno scatto apprezzatissimo? È lei la moglie
– si correggono, poi: la donna – del fotografo di risonanza
mondiale famoso per i capelli lunghi, le bandane e la scarsa voglia
di accasarsi? Rare, invece, le occasioni in cui la visitatrice
infastidisce il prossimo: vaneggiando, alzando la voce contro i vivi
o i defunti, cercando di coprire le vergogne del compagno con un
berretto di lana. Sì, è lei in persona: Giada. Nessun cognome,
nessun dato anagrafico e nessun hobby che non sia orbitare notte e
giorno attorno a un sole da tutti compianto. Con quale cuore,
infatti, non custodirlo?
No,
non lo abbandono. Voglio continuare a pronunciare il suo nome perché
resti vivo.
Voltargli
le spalle, finché è in esposizione, sembra un tradimento. E
rassegnarsi all'idea che lo spirito di onnipotenza di un misterioso
acquirente possa portarlo via, in una casa in cui lei non è invitata
a entrare? Il grande amore della protagonista, fatto sta, è morto:
non sappiamo né quando né perché, come sia nata e come finita la
loro relazione da rotocalco. Su un piedistallo, nudo, non può temere
più l'imbarazzo o crucciarsi per il bozzo sulla testa che i maligni
additano. Il dottor Tulp ne ha scolpito lo scheletro in modo che
reggesse l'inseparabile macchina fotografia e ha trasformato un cimitero in
una galleria; un raffinato vernissage in una camera ardente. Giorgia
Tribuiani, classe 1985, racconta la veglia eterna sotto i riflettori
di una Antigone che perde sé stessa per non perdere l'amore; di
cadaveri che respirano e si truccano sul pianto versato. L'ordine
asettico del museo collide allora con la ferocia di una prosa vandalica, che
i personaggi vorrebbe ora custodirli, ora farli a pezzi. Nudi e
crudi, esposti, non hanno connotati o un passato. Fasci di nervi
insanguinati, mucchi d'ossa, mazzi di vertebre. Sono stati forse uomini?
Sono state forse donne? Quanto si sono amati, e quando? Cosa facevano prima
di essere lì?
Guasto
era il suo amore, guasta la ballerina, guasto era in fondo il destino
di tutte le persone, immobili nelle loro esistenze come lei era stata
immobile sull’altalena, che visitavano
le sale e non capivano che in fondo stavano guardando il futuro,
che prima o poi sarebbe toccato a loro, che la carica sarebbe finita
e con quella ogni possibilità di muoversi o dondolare, e che forse
non sarebbero mai stati dei plastinati, ma guasti senza alcun dubbio:
senza alcun dubbio guasti.
Giada,
come il compagno e gli altri plastinati del dottore, è ferma
nell'attimo; il soggetto più interessante dell'esposizione, forse,
ma non necessariamente il più vivo. Dopo una vita nell'ombra, si
scopre suo malgrado la protagonista assoluta di un'altra esibizione:
struggersi. E di un romanzo d'esordio assurdo, intenso, scritto a
confine fra la terza persona, il soliloquio e l'apostrofe a un tu
di cui non pretendere risposte in cambio; ambientato fra le sale da
esposizione e le toilette, dove si affastellano i collezionisti
becchini e i giornalisti avvoltoi; gli specchi per aggiustarsi
l'identità e il mascara sbavati; i servizi inagibili con un foglio
che dichiara d'un tratto guasto. Luoghi insoliti per
l'elaborazione di un lutto sbattutoci sempre in faccia, e insolite le
voci che suggeriscono a un'avventrice inconsolabile di ricominciare
da capo: quella angelica del vigilante del piano di sotto, ad
esempio, che al mattino le porta in dono cornetti alla marmellata e
mp3 pieni di bella musica. L'addio,
un show alla Marina Abramovic che scalza l'intimità del dolore.
L'amore e la morte, neoavanguardia.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Radiohead – Fake Plastic Trees
Inizio di post decisamente macabro, per un libro che si preannuncia parecchio macabro. Quindi potrebbe fare per me...
RispondiEliminaE la canzone di chiusura radioheadiana ne è la conferma. :)
Canzone, non a caso amatissima dall'autrice, ho scoperto, che sembra stata scritta proprio per questo romanzo. Oppure viceversa. :)
EliminaMolto più cupo, tetro e introspettivo rispetto alla mia ultima lettura. Solitamente non amo i libri che ruotano intorno all'arte ma questo sembra andare decisamente oltre.
RispondiEliminaE' tutto introspezione, praticamente, e l'arte è solo la scusa, lo sfondo. In realtà, si parla di tutt'altro, e il tema tocca un po' tutti. Cosa strana, trattandosi di un romanzo forte e surreale; universale, eppure, nel parlarci dell'elaborazione del lutto.
EliminaCorro ad aggiungerlo subito alla mia wishlist. I libri di questo "stampo" mi piacciono moltissimo e la storia sembra proprio fatta per me.
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