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domenica 29 dicembre 2024

La mia top 10: le migliori letture del 2024

10. Le nostre mogli negli abissi – Julia Armfield (Bompiani)

Nell'anno di The Substance, un altro body horror, un'altra allegoria: un amore alla deriva in mari ignoti. 

9. Il male che non c'è – Giulia Caminito (Bompiani)

Il precariato, l'ipocondria, i trent'anni. Che paura riconoscersi, che liberazione leggerlo.

8. Day – Michael Cunningham (La Nave di Teseo)

Esiste una saga lunga un giorno? Per gli appassionati di Leavitt e Cameron, la foto di una famiglia al tempo del lockdown a cui è impossibile non affezionarsi.

7. Settembre nero – Sandro Veronesi (La Nave di Teseo)

Un romanzo di formazione semplice e complicatissimo, dolce e straziante. Proprio come ricordare la leggerezza dell'infanzia, una volta che è passata.

6. Triste Tigre – Neige Sinno (Neri Pozza)

Può una violenza aberrante trasformarsi in una lettura bellissima? Un po' saggio, un po' memoir, la scabrosa Sinno scava nel suo passato e nel petto del lettore. 

5. I giorni di Vetro – Nicoletta Verna (Einaudi)

Verna cambia genere, cambia forma, per un'epopea tragica che ricorda Elsa Morante.

4. Trilogia della città di K. – Agota Kristof (Einaudi)

Tre racconti intrecciati, due fratelli indimenticabili nella crudeltà e nell'innocenza, un grande recupero. Raramente capita di leggere un romanzo degli anni Ottanta e pensare: è un classico.

3. Intermezzo – Sally Rooney (Einaudi)

Ogni suo romanzo è un evento. La amano, la odiano. Amano odiarla. Ma Rooney è la voce di una generazione, la mia, e ogni sua storia è un colpo al cuore. Attendiamo la prossima.

2. L'arte della gioia – Goliarda Sapienza (Einaudi)

Nel centenario della nascita di Sapienza, ho conosciuto la sua Modesta. Un'eroina che si muove nei primi del Novecento, ma che veniva già dal futuro. Un'esperienza indimenticabile.

1. Wellness – Nathan Hill (Rizzoli)

L'ho letto, amato, consigliato. Se un romanzo conta seicento pagine ma vorresti fossero molte di più, se la romcom incontra l'antropologia, se Franzen conosce Rooney, allora il capolavoro è servito.

venerdì 3 maggio 2024

“Un giorno”, tre lustri dopo: il cult di David Nicholls riletto a trent'anni

| Un giorno - One Day, di David Nicholls. Beat, € 15, pp. 489 |

Ho detto addio per sempre ai miei vent'anni in compagnia di David Nicholls. Avrei voluto rileggerlo da un po'. Il bisogno, poi, si è fatto urgenza con l'avvicinarsi del mio compleanno. Lo avrei festeggiato lontano da casa. Alla mia tavola, intento a soffiare sulla trentesima candelina, avrei avuto soltanto facce nuove; gli amici di oggi. E quelli storici? E il mio passato? Nell'impossibilità di averli con me, ho fatto posto a Emma Morley e Dexter Mayhew: li conosco come le mie tasche, in fondo, dalla metà esatta della mia vita. Quando li ho incontrati per la prima volta, al ginnasio, erano più grandi di me: con il loro odore di vino e sigarette, con il sogno di cambiare il mondo, mi sembravano irraggiungibili. Lei con una citazione letteraria per ogni occasione, lui con le Oxford ai piedi anche nelle scarpinate; lei con gli occhiali a fondo di bottiglia sfoggiati come una medaglia al merito, lui perennemente in posa come una stella del cinema italiano. Non sapevo ancora che avrei vissuto le stesse crisi, gli stessi strappi, le stesse frustrazioni. Non sapevo ancora che, soprattutto a venticinque anni, ci si sente tutti persi. Me lo sono ripetuto come un mantra dopo la laurea (insieme a un'altra frase cult: «Ti amo, ma non mi piaci più»), quando la cruda luce del giorno ha mostrato la spaventosa fragilità dei miei ideali: in balia del precariato, ho seguito le tracce di Emma. Come lei, insegno Lettere e vado al cinema per le rassegne di Kieslowski. Ma, sempre come lei, non smetto di sognare una mansarda parigina in cui rifugiarmi a scrivere in attesa del mio sudato lieto fine. Cosa ne sa invece Dexter: un bellimbusto che lavora in TV ed è sempre troppo brillo per aggiornare la lista delle sue amanti? A questa ennesima rilettura, mi è parso meno superficiale che in passato; non mi ci sono rivisto, ma ho visto in controluce quel suo cuore buono massacrato dagli eccessi, dai rovesci di fortuna, dalle coincidenze mancate.

Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo”, di solito il consiglio era questo, ma chi aveva l’energia sufficiente per farlo? E se pioveva o eri di cattivo umore? Molto meglio cercare di essere buoni e coraggiosi e audaci e cambiare le cose in meglio. Non proprio cambiare il mondo, ma il pezzettino di mondo intorno a te. Esci allo scoperto con la tua passione e la tua macchina da scrivere e impegnati al massimo per… qualcosa. Magari cambia la vita degli altri con l’arte. Coltiva le amicizie, non tradire i tuoi principi, vivi intensamente, appassionatamente. Apriti alle novità. Ama e fatti amare, se ti capita la fortuna.

Emma si piega, ma non si spezza: ha dalla sua la costanza di chi continua a innaffiare perfino un'amicizia che, a volte, somiglia a un bouquet appassito. Dexter, restio a lasciarsi istruire con letture impegnate, resta incastrato sotto una maschera che fatica a calzargli una volta sfumato l'ardore giovanile: in crisi d'identità, chi è quando né i riflettori né l'adorazione di Emma lo illuminano più? Adorabili, affiatati e frustranti, ormai al centro di ben due adattamenti, sono ricordarti a torto come i protagonisti di una storia strappalacrime. Un giorno, in realtà, è una commedia brillantissima nello stile di Harry ti presento Sally, animata dal ritmo perfetto dei dialoghi cinematografici e da una scrittura pervasa dalla stessa malinconia di certe Polaroid. Più che a un'istantanea, però, questo romanzo somiglia alle foto in movimento di Harry Potter: in 500 pagine ecco che tutto cambia, ecco che tutti cambiano. Si passa dalla leggerezza degli anni Ottanta alla tragedia degli attentati terroristici, dai messaggi in segreteria ai primi cellulari, dalle lauree ai matrimoni; arrivano poi i figli, i mutui da pagare, le separazioni, il metabolismo rallentato, le rughe d'espressione. I corpi si inflaccidiscono, le volontà si infiacchiscono. L'irrequietezza iniziale lascia spazio al consolante trantran della mezza età: soltanto litigare di politica estera, allora, garantirà alla coppia annoiata un sussulto inatteso.

Forse era condannata a essere una di quelle persone che passano la vita a provarci.

In Nicholls mi sono visto come attraverso uno specchio deformante. Contemporaneamente e di colpo, ho avuto la consapevolezza di chi ero, sono, sarò. È troppo presto per immaginarmi a quarant'anni; ma intanto sorrido già ai bambini per strada, scorro le inserzioni degli appartamenti in vendita, ingollo pasticche di Bioscaline per prevenire la stempiatura. Scommetto che Emma e Dexter ci saranno anche allora, pronti a saltare fuori come una lettera d'amore dimenticata in India tra le pagine di Casa Howard; come un ritornello di musica leggera che, sparato di ritorno dalla gita scolastica, a sorpresa legherà me e i miei studenti in un canto intergenerazionale. Sono nato il 4 aprile: un detto popolare dice che, se piove quel giorno, pioverà per quaranta giorni. Il “giorno” di Nicholls cade il 15 luglio: i goccioloni a San Swithin sono sintomatici di un'estate piovosa. Coincidenze, dite? A quindici anni credevo che i film, i libri, le canzoni cambiassero la vita. A ventinove, mi davo dell'illuso. A trenta ho espresso un desiderio: non svilire mai la meraviglia degli adolescenti che siamo stati. A giudicare dalla sommessa euforia di questa rimpatriata, ho sempre avuto ragione. Ho riposto l'ombrello, piantato le candeline col numero trenta alla base della mia pianta grassa: sarà una primavera serena. Em e Dex, mancate sempre. Mancate già.

Il mio voto: ★★★★★
Il mio consiglio musicale: Smiths - There Is a Light That Never Goes Out

sabato 7 gennaio 2023

11 anni e Top 5: cosa succede, a volte, ai buoni propositi

Al principio dello scorso anno sono risultato positivo al Covid. Ho passato i primi venti giorni di gennaio barricato nella mia stanza. La mia prigionia da hikikomori, però, durava da più tempo. Bloccato in un pantano, ero stato a lungo spettatore della vita altrui dal buco della serratura. In attesa del risultato del tampone molecolare, infine, avevo formulato un buon proposito: non sarei più rimasto chiuso dentro. L'ho rispettato. Sono arrivati i concorsi, i viavai, lo studio matto e disperato, le attese spasmodiche, le graduatorie: altre attese. È arrivato il contratto a tempo indeterminato e, anche se non credevo di avere né le forze né il coraggio, sono andato via. Completamente libero e completamente solo. Lontanissimo da me. A ventotto anni ho messo radici altrove, o almeno ci sto provando. Torino mi somiglia. È malinconica, ordinata; cupa qualche volta. Mi piace, Torino, perché si fa i fatti suoi. È il posto migliore per ricominciare. Anche se fa un freddo secco, che mi arrossisce la faccia alle fermate degli autobus, e non ho ancora superato quell'istinto naturale che mi spinge a ricercare il mare tra i ritagli dei palazzi porticati. Lavoro in una città a un'ora di distanza dal centro. Mi sveglio all'alba e la sera crollo presto. A scuola ho cinque classi – un centinaio di alunni circa. Dovrei sentirmi euforico, ma a volte sono stanco e basta. Però, sull'autobus del ritorno, se ho i Pinguini Tattici Nucleari in cuffia e un raro sole negli occhi, mi scopro felice come non mai. Quando stacco, mi dirigo verso un posto – un appartamento in zona Porta Nuova, con altri tre coinquilini sconosciuti fino a settembre – che chiamo già “casa”. Ho letto poco; forse guardato meno ancora. Immagino che, quest'anno, sia stato troppo impegnato a vivere. Ma, benché distrattissimo, sono tra coloro che si ricordano di onorare festività, ricorrenze e compleanni. Oggi, miei cari superstiti, il blog compie undici anni. Non posso promettere nulla: maggiore costanza soprattutto. Ho già il lavoro e la sveglia a impormi spietate tabelle di marcia. Voglio che questa resti la mia ora d'aria, il mio giardino felice. Incoltivato, forse, ma felice sempre. Come da tradizione, lascio in coda le mie top (ahimè, saranno Top 5) di romanzi, serie TV e film, ma vorrei tantissimo che mi raccontaste di voi. Un abbraccio e grazie per la compagnia.







5. Tasmania: Il mondo va a rotoli? Mi trasferisco con l'ultimo Paolo Giordano. 
4. Spatriati: E' il vincitore del Premio Strega. E racconta di due meridionali in fuga da loro stessi, nel medesimo anno in cui mi sono “spatriato” anch'io. 
3. La città dei vivi: Brividi di orrore e bellezza nell'ultimo Lagioia. Se fossimo noi le vittime del prossimo caso di cronaca nera? Se fossimo, soprattutto, i colpevoli?
2. Dove sei, mondo bello: Il mondo bello è ora e qui, tra le pagine di Sally Rooney. La voce più vera della nostra generazione.
1. Patria: La tragedia delle guerre intestine in una saga familiare indimenticabile. Non è un romanzo: è un'esperienza umana.








5. The Fabelmans: I ricordi, le famiglie (in)felici, il cinema. Spielberg non smette di regalarci magie.
4. Cha Cha Real Smooth: Avete superato i venticinque, siete tornati all'ovile, vi innamorate di persone al di fuori della vostra portata? Non siete soli. Una commedia in puro stile Sundance, scritta diretta e recitata da un giovane prodigio (classe 1997).
3. Spencer/Blonde: Gli anti-biopic dell'anno. Horror psicologici al femminile: cupi, metaforici, asfissianti. Stewart e De Armas, principesse di un castello di sogni e orrori, entrambe da Oscar.
2. Pinocchio: Questa visione mi ha scavato un buco in petto. E, da allora, ci vive dentro un grillo parlante. Guillermo Del Toro al suo meglio.
1. Everything Everywhere All at Once: Pagare le tasse? Che avventura. Un viaggio nei multiversi del cuore, folle e coloratissimo, sulle migrazioni vere e figurate di una famiglia cinese in America. Segnatevelo: ai prossimi Oscar vincerà tutto.









5. Heartstopper: L'insostenibile leggerezza di essere adolescente e innamorato. I cuoricini si scioglieranno come Polaretti in un congelatore in panne.
4. Stranger Things – Stagione 4: Troppo teen, troppo inflazionata, troppo commerciale? Sarà. Ma la serie dei Duffer Brothers non sbaglia un colpo e sforna momenti cult.
3. The Staircase/Landscapers/Pam & Tommy: Storie d'amori tossici, storie vere, storie nere. Quando la realtà supera l'immaginazione e agli attori, in stato di grazia, tocca cambiare pelle.
2. Euphoria – Stagione 2: Zendaya che scappa per non finire in rehab, Sydney Sweeney che si strugge allo specchio, Eric Dane che balla un lento in un bar gay. Nel mondo della serialità ci sarà sempre un “prima” e un “dopo” Euphoria.
1. This is us – Stagione conclusiva: L'ultimo treno di Rebecca Pearson e di una famiglia che non dimenticheremo. Grazie per questi sei anni di lacrime. Ci hanno fatto sentire più umani, e più vivi.

sabato 3 settembre 2022

Al blog ancora non l'ho detto

Sono cambiamenti solo se spaventano”, cantavano i Subsonica nella loro Domenica. Spaventato, ho preferito metabolizzarli gradualmente in un'estate di latitanza: ho letto poco e scritto meno ancora. Questi cambiamenti, in realtà, sono cominciati nella prima metà dell'anno. Correva il mese di febbraio quando il Ministero dell'Istruzione, dopo due anni di fermo a causa dell'emergenza sanitaria, ha deciso di ripristinare dall'oggi al domani il concorso ordinario. Ho avuto un mese scarso per prepararmi e per raggiungere le sedi dall'altra parte d'Italia. Cinquanta domande a risposta multipla su tutto lo scibile umano, cento minuti. Al concorso per insegnare alle scuole medie sono stato bocciato. Scoraggiato, dieci giorni dopo sono salito nuovamente per quello per le superiori: si è svolto lo stesso giorno del mio ventottesimo compleanno e, a sorpresa, l'ho passato con un ottimo punteggio. Per l'orale ho avuto altri due mesi: ventiquattro ore prima della discussione ho estratto una traccia – la mia era di letteratura italiana, sul poeta triestino Umberto Saba – e in una giornata al cardiopalma ho preparato un'unità di apprendimento lunga trenta slide (comprensiva di normativa scolastica, studiata dal nuovo proprio per l'occasione). Ho atteso la pubblicazione dei risultati con una Tennent's ghiacciata, in un cortile a settecento chilometri da casa mia, mentre il mio destino imprevedibilmente cambiava. Il primo settembre, alle otto in punto, ho firmato la presa di servizio. Per farlo ho saltato il matrimonio di alcuni fra i miei amici più cari. Con la penna in mano, ho avuto un attimo di titubanza ma poi ho barrato la casella esatta: docente a termo indeterminato. Sono professore di ruolo nel liceo di Orbassano, Torino: discipline letterarie e latino. Mi sono trasferito in Piemonte ormai da qualche giorno. A volte mi manca il mare della mia piccola città, altre mi autosaboto dicendomi che non sarò mai all'altezza – avrò venti ore settimanali, un totale di cinque classi. Con il tempo che scarseggia, mi è più facile raccontarmi grazie all'immediatezza della pagina Instagram, ma ho intenzione di mettere radici quanto prima e di tornare a scrivere a tempo pieno anche su Diario di una dipendenza. Avrò bisogno di voi, miei compagni d'avventura da un decennio, e del coraggio che naturalmente infondete. Al blog, sapete, ancora non l'avevo detto.


venerdì 7 gennaio 2022

Mio caro Stoner: lettera aperta a un altro me stesso per i primi dieci anni del blog

Mio caro Stoner, 

qualche anno fa ti leggevo ed entravo in crisi d'identità. Non volevo diventare come te; insegnare. Mi spaventava la tua vita grigia e monotona, nei binari. Ti leggevo, ascoltavo Brunori Sas («la verità è che ti fa paura l'idea di scomparire») e piangevo. In comune avevamo gli studi, la malinconia e il destino annunciato. Perché avevo studiato Lettere, accumulato i crediti giusti e tutto il resto? Perché mi ero condannato inconsapevolmente a vivere la tua esistenza e i tuoi medesimi sbagli? Nel 2021 appena salutato ho scoperto che essere come te, invece, non è così male. 

Mi piace la mia routine, mi piace avere una tabella di marcia, mi piace sentirmi adulto e indispensabile per qualcun altro. Questo post nasce per ricordare il compleanno del blog, sono online da dieci anni tondi tondi, ma  anche e soprattutto per stilare un lucido bilancio dell'anno appena trascorso. Nonostante tutto, sono grato al 2021: mi ha messo alle strette fino a farmi diventare più me stesso. Mi piaccio così? A giorni alterni, a tratti, ma adesso almeno so chi sono: Michele Del Vecchio, ventisette anni, insegnante precario, con un angolo virtuale in cui raccontarmi e un romanzo nel cassetto (semifinalista a un concorso letterario, è stato poi oggetto di due illustri rifiuti da cui fatico a riprendermi). Da ragazzino avevo l'ossessione di condividere, arrivare, scrivere: volevo farne un lavoro. Ora che sono diventati semplicemente hobby, me li vivo meglio e me li godo di più. È il sette gennaio e non ho ancora cominciato una nuova lettura; non scrivo, invece, dalla scorsa estate. Sono meno presente che in passato? Pazienza. Leggo meno? Non fa nulla, ma spero di leggere almeno i libri giusti. Mi comporta troppo tempo scrivere lunghi post? Poco male, mi racconto così come viene su Instagram e Letterbox. 

Dieci anni fa, per la prima volta, pubblicavo un post online. Era una presentazione di poche righe, goffa ma onesta proprio come il sottoscritto. Sono andato a rileggerla, oggi, e non mi sono scoperto poi troppo diverso dal diciassettenne di quando tutto cominciò. Resto ancora così, anche se tanto è cambiato nel frattempo: perfino il mio modo di descrivermi, raccontarmi, interagire. Sono subentrate la consapevolezza della malattia, la sindrome d'abbandono, l'ansia sociale. Ma anche la pacata accettazione di chi non sarà mai il fantastico Harry Potter o l'ambizioso Jay Gatsby, bensì qualcuno come te: un insegnante occhialuto e riservato, magari un po' grigio se visto da fuori, ma con una vita immaginaria di un'intensità talora commovente. Questo significa arrendersi? Significa crescere, forse, e considerare i sogni per quel che sono: cose da fare nei ritagli in cui la vita, finalmente, ci lascia in pace. Spero comunque di farne ancora e ancora di bellissimi. 

A rileggerci tra altri dieci anni, 

Michele 

giovedì 30 dicembre 2021

[2021] Top 10: Le mie serie TV

10. The Great: Dall'autore di La favorita, una scoppiettante riflessione sul potere, e sulle donne al potere, storicamente accurata nonostante i toni post-moderni. Fanning e Hoult, esilaranti zar di Russia, si confermano tra i migliori attori della loro generazione. Huzzah!

9. Sex Education: Una serie che cresce, stagione dopo stagione, e la terza è la più bella tra tutte. Matura e inclusiva, elogia il sesso e condanna il sessismo. Dà voce a ogni identità, mette in mostra ogni corpo. Ti insegna a stare meglio al mondo – e con più leggerezza.

8. Master of None: Ansari torna per spiazzare e, forse, scontentare. Il terzo atto della sua serie, questa volta con al centro due donne desiderose di diventare madri, è un ritratto bergmaniano a cui mi sono abituato in fretta. Non me ne vorranno Isaac e Chastain: Naomi Ackie, straordinaria, è una padrona di casa più indimenticabile di loro.

7. Them: La piaga del razzismo raccontata come se fosse un horror. A differenza del cinema di Peele, questa nuova serie antologica non procede per metafore. Ma la storia della sopravvivenza degli Emory – afroamericani in un quartiere bianco degli anni Cinquanta – riempie di disgusto e indignazione. Stando ai tragediografi greci, la catarsi passerebbe da lì.

6. WandaVision: Una deliziosa congiunzione tra il cinecomic e l'essai. Il ritratto sovrumano del più umano dei sentimenti – l'elaborazione –, nonché un atto d'amore verso l'amore in sé e le serie televisive: sono loro, ben più dei supereroi, a salvarci dai conflitti, dall'isolamento e, qualche volta, perfino da noi stessi.

5. Maid: Dagli autori di Shameless e Promising Young Woman, un'ordinaria vicenda di coraggio sorretta da un cast straordinario in cui giganteggiano Margaret Qualley e Andie MacDowell. Madre e figlia anche nella realtà, minacciano continuamente di andare in pezzi. Ma, miracolose fino all'ultimo, non si romperanno mai.

4. Strappare lungo i bordi: Zerocalcare è la voce di una generazione vicina alla mia tanto nella pazza gioia quanto nella disperazione. Non abbiamo linee tratteggiate da seguire, né forbici per realizzare un lavoro di precisione. Strappiamo, e ci strappiamo. Siamo stracci, coriandoli. Siamo tagli. Nichilisti con brillantezza, ce lo ricordano uno spiantato artista romano e il suo armadillo.

3. Foodie Love: Il Normal People della generazione successiva, il Prima dell'alba al tempo degli algoritmi. Disponibile su RaiPlay, è un intrattenimento loquace, colto e spudoratamente sexy. Un gioiellino pieno di carnalità e di ristoranti affollati, da condividere con qualcuno che ami.

2. Anna: La serie di Niccolò Ammaniti è violenta, grottesca e imprevedibile, come i suoi bambini post-apocalittici che a volte ammazzano e altre vengono ammazzati. E, dal basso della sua statura e dall'alto della sua saggezza, fornisce strumenti impensati per trasformare l'incubo del virus in una bellissima favola del terrore.

1. It's a sin: Un gruppo di amici e l'avvento dell'Aids. L'ansia, le bugie, il negazionismo, il terrore del contatto fisico. Attuale come non mai in tempi, la serie del creatore di Years and Years è un tornado emotivo. A tratti prende a schiaffi e a tratti risolleva gli animi, con una dimensione corale degna di una sitcom irrinunciabile. 

martedì 28 dicembre 2021

[2021] Top 10: Le mie letture

10. La figlia oscura: In attesa dell'omonimo film di Maggie Gyllenhaal, una Ferrante in pillole amarissime. Misteriosa, erotica e perturbante come non mai, l'autrice della leggendaria tetralogia scandaglia il cuore femminile con la coerenza spietata di chi ha stretto amicizia coi propri demoni. Ci si può realizzare come esseri umani ed essere, al contempo, madri esemplari?

9. Latte arcobaleno: Energico, vitale e leggerissimo, il debutto di Mendez rischia di venire appesantito dalle pagine finali. Ma nemmeno allora, per fortuna, tradisce l'amore per i colori saturi, le citazioni pop, i corpi ansanti. Basso e magrolino, il protagonista avrebbe bisogno di una terapeuta o di un abbraccio. Nel frattempo canta in playback le hit del momento, lasciandosi alle spalle le tracce dell'avvenuta muta: pelle di serpente, pelle nera.

8. Le stanze buie: Ho voluto fortemente visitarle dal nuovo, queste famigerate stanze – apparse otto anni fa con Mursia Editore –, e le ho scoperte riarredate. Nonostante il mobilio mutato, ho constatato di sentirmi benaccetto come durante il primo soggiorno. La mia memoria olfattiva ricordava l'odore di cera calda e il profumo di Lucilla Flores; quella del cuore, invece, tutto il resto. 

7. La casa vicino alle nuvole: Sporco eccezionalmente di sangue, l'ultimo Nickolas Butler – immancabile nelle mie classifiche di fine anno – racconta di un'amicizia che minaccia di erodersi. Come si erodono gli animi, se mangiati dalla cupidigia; come si erodono le montagne. È una lotta contro il tempo, contro la morte, contro la Natura stessa, per erigere un sogno su misura. O forse un incubo?

6. La nostra furiosa amicizia: Formazione inquieta e pericolosissima, questo young adult a tinte crime sorprende sin dalla prima pagina: in esergo, infatti, leggiamo citazioni tratte da Hannah Arendt e RuPaul. Come si possono conciliare una filosofa tedesca e un'icona della TV americana, celebre per la sua sfida tra drag queen? Scopritelo attraverso lo stile folle e immaginifico di Rufi Thorpe. 


5. Qualcuno che ti ami in tutta la tua gloria devastata: Esordio narrativo dello sceneggiatore di BoJack Horseman, mi ha fatto ridere, piangere e spinto a sottolineare le cose più urgenti. Giunto all'ultima pagina, ho avuto la sensazione di aver esagerato con i biscotti assortiti – ogni racconto è un dolcetto pescato da una scatola di latta – o di essermi preso una sbronza triste. Mi giravano forte lo stomaco e la testa; mi girava il cuore.

4. Il valore affettivo: Nicoletta Verna obbliga a uno stato di tensione imperituro. Il suo è un esordio di vertiginosa bellezza da leggere come fosse un noir. Disturbato e disturbante, richiama per eleganza il cinema di Haneke e si pianta in testa attraverso la voce di Bianca: un personaggio unico nel suo genere, che non sfigurerebbe nella galleria di quelli interpretati da Isabelle Huppert.

3. La promessa: Fresco vincitore del Booker Prize, il romanzo sui membri della sfortunata famiglia Swart (raccontati attraverso quattro funerali in quattro decenni) ha la fluidità e l'estro di quei film girati interamente in piano sequenza. Nonostante le 300 pagine scarse, la lettura risulta densissima: un caos tragicomico con un irresistibile cast sudafricano.

2. Un giorno questo dolore ti sarà utile: Non è mai troppo tardi per rivivere i propri tormenti adolescenziali, né per auscultarsi e scoprirsi degli adorabili disagiati. A diciotto anni lo avrei considerato uno dei miei romanzi preferiti. A ventisette anni, invece, vado dicendo di essermi imbattuto a scoppio ritardato in una di quelle storie-specchio che riflettono tutte le mie contraddizioni.

1. Una vita come tante: Quando ho iniziato questa bellissima impresa lunga oltre mille pagine, avevo bisogno di un brano triste che facesse pendant con il mio stato d'animo. Cercavo la catarsi. E l'ho trovata, sì, insieme all'armonia segreta che smussa perfino gli spigoli dei pentagrammi più tristi. Hey Jude: ti devo piangere, ti devo abbracciare, ti devo elaborare. Ti devo perdonare.

sabato 20 febbraio 2021

Il mio primo incarico: gli insegnanti imparano

12 febbraio 2021. Ore 13:20. 

Ho scattato questa foto la settimana scorsa, in un'aula deserta. Non sapevo che dall'indomani non avrei più rimesso piede nella scuola della mia prima vera supplenza: il liceo scientifico di Ortona (CH) Alessandro Volta. Siamo passati improvvisamente in DAD e la mia ultima settimana di lavoro si è svolta a casa, davanti al computer, senza la possibilità di congedarmi a dovere: c'è voluto poco, infatti, affinché mi affezionassi alla sveglia alle 5:30 del mattino, alle attese e alle accelerate della vita da pendolare, agli altri passeggeri del regionale diretto a Pescara, ai pettegolezzi in aula professori, alla schiettezza un po' rumorosa dei ragazzi di quarta e quinta. 

Ho insegnato, Italiano (l'Illuminismo e Parini, D'Annunzio e Pascoli) e Latino (l'esametro, Lucrezio; Plinio il Vecchio, Quintiliano, Tacito). Ho imparato. A chiedere indicazioni a chicchessia, a fraternizzare con gli autisti degli autobus, a usare il registro elettronico Argo, a tenere testa tanto alle pretese dei superiori quanto a quelle degli studenti, a impostare un compito in classe, poi a correggerlo. In venticinque giorni di viavai, dal 19 gennaio al 12 febbraio, sono diventato un po' più grande. Ho preso confidenza col suono della mia voce, con le molle delle mascherine che mi segano le orecchie, con l'ampiezza delle mie braccia mentre gesticolo. Non so bene quando sia successo né come, ma a un certo punto nei corridoi non mi scambiavano più per un alunno travestito da adulto: finalmente credibile, mi sono sentito al posto giusto, e sì, ho avvertito un fremito di emozione nello spiegare  la musicalità della "Pioggia nel pineto", ma soprattutto nel negare agli studenti recidivi il permesso di andare al bagno.

La supplenza è finita poco fa, ho salutato tutti davanti allo schermo. Chiuso il computer, mi sono guardato intorno in cerca di un nuovo senso da dare alle mie prossime giornate, alle mie nuove attese, e ho pensato: chissà se in strada, prima o poi, riconoscerò lo sguardo di uno studente attento quando potremo tornare a girare a volto scoperto; chissà quando mi sentirò chiamare ancora professo'.