mercoledì 14 aprile 2021

Recensione: L'anno che a Roma fu due volte Natale, di Roberto Venturini

| L'anno che a Roma fu due volte Natale, di Roberto Venturini. € 17, pp. 192 |

In lizza per il premio Strega, è l'outsider della dozzina. Divertente, surreale, lieve con malinconia, la lettura di Roberto Venturini potrebbe risultare un'autentica boccata d'aria fresca per gli amici che ogni anno s'imbarcano in un'impresa coraggiosa: recuperare tutti i romanzi candidati per formulare pronostici. A ben vedere, però, L'anno che a Roma fu due volte Natale fa parte dello stesso irresistibile filone di Genovesi e Bartolomei: commedie all'italiana che conciliano pubblico e critica, insomma, zeppe di svolte rocambolesche e di personaggi ai quali è impossibile non volere bene. Non sfigurerebbero in un film di Mario Monicelli, ragiona a voce alta il narratore, mentre osserva dall'alto i passi incerti dei suoi protagonisti. Strampalati ma belli come succede al cinema, si muovono goffamente in un intreccio che parte con i migliori auspici: perché non riunire Sandra e Raimondo, la coppia più amata del piccolo schermo? Sepolti in cimiteri separati, meriterebbero di stare insieme come sul set dell'indimenticabile Casa Vianello. È il desiderio di Alfreda, insegnante in pensione gravemente in sovrappeso, intrappolata in un asfissiante mausoleo di blatte e cianfrusaglie: un villino sbucato da un episodio di Sepolti in casa dove ogni oggetto racconta l'assenza di Mario. Il marito di Alfreda, infatti, è sparito in mare in circostanze tanto incredibili quanto misteriose. Vedova inconsolabile minacciata dagli ultimi provvedimenti dell'ufficio d'igiene, trova uno slancio vitale in una gita al cimitero: il Verano, di notte, sarà preso d'assalto da una banda singolare di profanatori di tombe. Ad assecondarla ci sono il figlio Marco, ex bambino prodigio ormai votato alle droghe e all'insicurezza sociale; Carlo, anziano pescatore sopravvissuto a tutti i suoi amici; Er Donna, ambitissimo travestito che in passato ha pestato i piedi al boss sbagliato.

Avrebbe voluto giustificarsi, dirle per esempio che la felicità mica si riproduce per talea, che non funziona quasi mai, come col glicine. Dirle che la bellezza di quello che si è vissuto in passato non rivive in un altro contesto, e che anche se lui ci provava a innestare nuova torba rassicurante, non gli radicava più, la felicità. Hai voglia a bestemmiarci sopra. Come la talea del glicine.

Forte di un vago senso d'incanto e delle innumerevoli citazioni alla cultura degli anni Ottanta, un po' pulp, un po' pop, Roberto Venturini incuriosisce con uno spunto brillante: la richiesta ultraterrena di un'inconsolabile Mondaini. Ma nella seconda parte tradisce le premesse con un prosieguo dispersivo e confuso: un andirivieni in macchina, dal cimitero alla spiaggia, che finisce per tagliare il respiro a una storia che avrei immaginato più articolata. Strada facendo ci si scorda dei Vianello; ci si scorda di Alfreda. Quando prendono ad accavallarsi voci, storie, accenti e rumori, si rischia di perdere di vista il punto della situazione. Ma il chiacchiericcio che ne vien fuori è tutt'altro che spiacevole. Ricorda, in realtà, le conversazioni tra amici nei lunghi viaggi in auto: ondivaghe, fitte fitte, di quelle in cui si perde spesso il filo logico e si aprono parentesi su parentesi prima di chiuderne altre. In questo romanzo non sono i personaggi a vivere in funzione della storia ma l'esatto contrario, anche al rischio di sopraffarla. Ma cosa può un cast perfetto contro i difetti di un romanzo che, nonostante le poche pagine, non è esente da lungaggini? Più brillante per umanità che per equilibrio, L'anno che a Roma fu due volte Natale ha la malinconia del mare d'inverno e le melodie di alcune canzoni marinaresche. All'apparenza fuori posto, fuori stagione, è ambientato in una Torvaianica miracolosamente imbiancata: candida, nonostante la presenza di ceffi loschi e vittime da cronaca nera, fa da sfondo originalissimo a questo imperfetto ma accorato amarcord.

Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Colapesce e Dimartino – I mortali

6 commenti:

  1. Sono alle battute finali di questo variegato romanzo. Storia insolita e stravagante. Il ratto della salma è davvero un fitto succedersi di eventi. Il vuoto di un'assenza si può colmare? Ottima recensione, come sempre :)

    RispondiElimina
  2. mi pare una lettura non impegnativa ma comunque piacevole. Però non so, non mi attira particolarmente in questo periodo ^_^

    RispondiElimina
  3. Visto che è l'outsider di turno, e per il suo citazionismo e la sua componente pulp, mi hai fatto venire voglia di tifare per lui ai premi Strega!

    RispondiElimina