giovedì 27 febbraio 2020

Recensione: Insegnami la tempesta, di Emanuela Canepa

| Insegnami la tempesta, di Emanuela Canepa. Einaudi, € 17,50, pp. 240 |

Basta un esordio bellissimo per trasformare il ritorno in libreria di un autore in una festa grande. Dopo la folgorazione che fu L’animale femmina, opera prima ambigua e seducente con un punto di vista spiazzante sui ruoli di potere e le rivalse post metoo, di Emanuela Canepa avrei letto tutto e subito. A scatola chiusa. Attratto dal titolo e dalla copertina, ma soprattutto dal suo nome scritto in cima in grassetto, mi sono buttato su Insegnami la tempesta senza informarmi. Quella storia senz’altro più convenzionale – di madri e figlie, di amicizie tramontante, di amori e dissapori: con il senno di poi ho pensato a Simona Sparaco e Sara Rattaro – avrebbe avuto la mia attenzione altrimenti? Non credo. E onestamente non ne avrei sentito la mancanza, aspettandomi da questo ritorno attesissimo qualcos’altro; qualcosa di più. Diversa dal previsto, è una lettura che saprei bene a chi consigliare ma che personalmente non mi ha mai coinvolto. Si può parlare di delusione – la prima dell’anno –, o forse sono io in difetto, dal momento che in duecento pagine non mi sono abituato al cambiamento di tono dell’autrice?

Lo so che è un’adolescente, ma lo è anche per te, invece vi vedo sempre insieme. O l’adolescenza è una condanna che devono scontare solo le madri?
Le incandescenti atmosfere teatrali dell’esordio lasciano spazio alle incomprensioni di una casa medio-borghese al centro di Roma. Palcoscenico di litigi e musi lunghi, l’appartamento sembra all’improvviso troppo piccolo per una coppia consolidata e una figlia adolescente. Come ripararsi dall’ostilità di una diciottenne altera e indipendente, che già si sente troppo adulta per avere bisogno di mamma? Se lo chiede Emma, che per la figlia Matilde – avuta prima di finire l’università – ha rinunciato a tutto. Si tratta di piccoli screzi: un taglio di capelli fatto senza avvisare, un Capodanno passato in montagna con i compagni di scuola, l’annuncio di un viaggio in estate. Perché quell’irruenza nel volere abbandonare tanto presto il nido? Perché la preferenza verso il dolcissimo Fausto, che l’ha cresciuta con devozione ma in realtà non è neppure il padre biologico? Istitutrice dal pugno di ferro più che madre, Emma è un personaggio di rara antipatia. Sarà che sono figlio, non genitore. Sarà che ho ben compreso (in parte) il gesto di Matilde, che a un certo punto – in seguito a una rivelazione che non vi svelo – scappa a gambe levate e si rifugia nella pace di un convento. A fare da vice badessa, e da collante, in quell’ambiente fatto di mantelli candidi e litanie sommesse c’è Irene: vecchia conoscente di Emma, nota un tempo per il carattere ardimentoso, ha scelto il chiostro con sommo disappunto dell’amica. Una forma di libertà estrema, incomprensibile a molti, che somiglia a una forma di prigionia. A questo punto lo svolgimento sembra chiaro: attendere l’arrivo della protagonista in un ambiente quieto, in territorio neutrale, per confrontarsi, ricordare, e magari accettare la crescita e la sessualità di Matilde. L’amara constatazione che, volente o nolente, il prossimo anno andrà lontano.

Può esserci amore anche nella furia. Può esserci amore nella distanza.

Peccato che quella in convento sarà una tappa fugace e che le tre donne non interagiranno mai contemporaneamente. Giunta Emma, sua figlia prende un treno per Cesena per visitare il campus universitario. Perché allora rivolgersi brevemente a Irene, sconosciuta di cui ha sentito parlare solo in un’isolata occasione, pochi giorni prima? Perché ricercare le radici di un’amicizia interrotta – appena accennata per altro – per poi costringere la genitrice all’ansia e il lettore a un lungo andirivieni in treno? Perché fare di Irene una suora di clausura, e non un’insegnante, una sarta, un’elettricista? Se da un lato la donna è il motore della narrazione, a ben vedere un po’ forzato, dall’altro la vicenda avrebbe avuto tranquillamente lo stesso esito togliendola dal triangolo. A mio avviso, infatti, il miracolo dell’eventuale riconciliazione non dipende da lei. Emma, all’inizio così irritante, finisce allora per essere il personaggio più umano e coerente.
Raffinata e minimalista, l’autrice conferma ancora una volta la sua abilità: fa parlare più i gesti che i dialoghi; ama gli scandagliamenti psicologici a tappeto e i personaggi asprigni, in lotta con sé stessi. Il problema è stato fare i conti con la mancata tempesta del titolo, bellissimo e fuorviante. Con la bonaccia di una storia che altrove già miete approvazioni – e sono felice per Emanuela – ma che non mi ha affatto appassionato. In fondo sono atti di fede: la clausura, l’amicizia, il matrimonio, i figli, e perfino secondi romanzi da cui non si sa mai bene cosa aspettarsi. Evidentemente scettico, questa volta non ci ho creduto.
Il mio voto: ★★½
Il mio consiglio musicale: Arisa – Controvento 

8 commenti:

  1. Oh, caspita! Credevo si trattasse di una lettura bellissima e indimenticabile. Peccato non sia stato così 🙄🙄

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  2. È sempre difficile tenere a freno le aspettative e, non avendo ancora letto questo romanzo, non so se sia davvero questo il caso. Ci tornerò su...

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  3. Essendomi perso il suo esordio, se non altro non corro il rischio di rimanerci deluso... cosa che poi non significa che mi possa piacere comunque. :) Il titolo però in effetti è molto promettente.

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    1. Promettentissimo, però non c'entra quasi niente col contenuto.

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  4. Dopo tanto tempo eccomi (della serie, a volte ritornano...)!
    Parlando del romanzo... emh, all'inizio della recensione mi stavo quasi appassionando ma dal momento in cui hai affermato che Emma è un "personaggio di rara antipatia" in poi la mia convinzione è andata scemando...

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    1. E dire che io amo i personaggi antipatici, vedasi quelli della Ferrante. Però con Emma non sono entrato in sintonia, no.

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