Gli elegiaci parlano di militia amoris. L'uomo è un soldato, la donna il comandante. L'amore: una guerra. È così anche per l'ultimo Guadagnino, in cui i sentimenti sono un gioco disputato su un singolare campo di battaglia: quello da tennis. A struggersi sono due campioni con tutto da perdere: soprattutto la stima di una moglie-manager che, sotto gli occhiali da sole, nasconde lo sguardo di una sfinge. Affamato di bellezza, il regista palermitano regala con una commedia sportiva che eccita come un porno e gasa come un film d'azione. I piedi battono al ritmo della colonna sonora elettronica di Reznor e Ross. Gli occhi guizzano, smaniosi, di qua e di là. I rimbalzi della pallina diventano metafora, così, dei rovesci di fortuna e dei cambi di alleanze di un triangolo in cui l'infuocato O'Connor e il vulnerabile Feist gareggiano per Zendaya: dea beffarda, incolume tanto al sex appeal del primo quanto alle lacrime del secondo, che urla di piacere soltanto in caso di vittoria. Teso, muscolare, iper cinetico, Challengers trasforma l'attrazione in spirito agonistico e non rinuncia a dialoghi alleniani dove il tennis diventa l'anticamera del sesso e, dunque, dell'esistenza. Mainstream con audacia, questo Guadagnino in forma smagliante torna felicemente a declinare il desiderio. Non è bastata la parentesi horror di Bones and All a placare la sua brama di corpi umani. Qui è attentissimo alle fronti imperlate, ai nervi tesi, ai muscoli guizzanti. Sulla macchina da presa, piovono gocce di sudore. È tempesta – ma ormonale. È il cinema con la lettera maiuscola – fattosi, nel frattempo, carne soda, madida, palpitante. (9)
Un
impiegato vessato dall'infernale datore di lavoro sperimenta una
crisi d'identità una volta uscito malauguratamente dalle sue grazie.
Un poliziotto riabbraccia la moglie, sopravvissuta a una spedizione
in mare attraverso presunti atti di cannibalismo, ma sospetta sia
un'impostora. I membri di una setta cercano una giovane dai poteri
taumaturgici per riconquistare i favori del loro leader. Cosa
succederebbe se il regista del recentissimo Povere creature
dirigesse una serie antologica nello stile di Black Mirror? Il
risultato è uno Yorgos Lanthimos più indipendente e più colorato,
leggero ma in pillole amare, che rinuncia al grandangolo ma non a un
cast di sole star: Emma Stone balla ancora, Jesse Plemons vince a
Cannes, ma questa volta è Margaret Qualley a stregare. Meno
manieristico che in passato, il regista greco confeziona una commedia
nera in cui non mancano i lampi di genio e gli eccessi del cinema
delle origini, ma la cui struttura episodica prima diverte e infine
annoia. Si va alla ricerca, allora, di un comune fil rouge
all'interno di storie dentro storie che similmente parlano di
relazioni tossiche e people pleasing; che, contemporaneamente, sanno
raccontare benissimo l'America odierna e omaggiare l'immancabile
tragedia greca. Tra investimenti e dita mozzate, sesso e lacrime, a
sorpresa si ride perfino. Ma la sensazione che sia un estenuante
esercizio di stile, o una serie TV ancora work in progress, è più
forte degli atti di fede dei protagonisti. (6,5)
Solene, una gallerista d'arte quarantenne, si innamora, ricambiata, di un giovane cantante un tempo apprezzato dalla figlia adolescente. Nato come una fanfiction su Harry Styles, poi diventato bestseller, The Idea of You riesce a essere sorprendentemente credibile: non solo perché i protagonisti sono talmente belli e affiatati da superare qualsiasi differenza d'età, ma perché il regista Michael Showalter, bravissimo in materia di commedie dopo il premiato The Big Sick, eleva a buon cinema un comune vagheggiamento di Wattpad. Certo: è richiesta la massima sospensione dell'incredulità. Ma è impossibile non guardare con un sorriso inebetito gli incontri e le paure di Anne Hathaway e Nicholas Galitzine. Se lui, ormai onnipresente, è qui più convincente del solito, lei si conferma l'erede ufficiale di Audrey Hepburn e Julia Roberts: senza paura di mostrare i primi segni del tempo, è un sole. Speranzosa ma tormentata, la storia d'amore targata Amazon Prime Video dovrà confrontarsi con la sovraesposizione e il sessismo. Perché una madre innamorata deve sempre scegliere tra sé e gli altri? Perché destreggiarsi, ancora, tra chi la considera squallida e chi iconica? Nel solco di Notting Hill, una fiaba romantica con tutti i sacri crismi: surreale ma bella. E più longeva di certe boy band. (7)
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