lunedì 5 settembre 2022

Recensione: Il senso di una fine, di Julian Barnes

Il senso di una fine, di Julian Barnes. Einaudi, € 11, pp. 150 |

Siamo davvero le brave persone che millantiamo di essere? Tony Webster – un pacato inglese sulla sessantina, divorziato ma in ottimi rapporti con l'ex moglie, padre e nonno – ha sempre immaginato di sì. Bontempone nostalgico ma non senza ironia, mette tutto in discussione quando il passato torna a bussare alla porta sotto forma di un lascito misterioso. E allora che, scoperchiando un vaso di Pandora ormai dimenticato, riallaccerà i rapporti con una vecchia fiamma di gioventù, la timida ma spregiudicata Veronica, e diventerà il protagonista di un enigmatico amarcord. Nessuna identità, infatti, è abbastanza solida da restare incolume dopo lo scrupoloso esame di coscienza firmato da Julian Barnes.

Sì, certo, eravamo presuntuosi, se no a che serve essere giovani?

Lo scrittore britannico, vincitore un decennio fa del Booker Prize, accumula aneddoti color seppia, corrispondenze via email, interrogativi sul mistero di Finn – il migliore amico di Tony – e sul conto del suo stesso protagonista. Si sposta, così, dalla routine sonnacchiosa del pensionato – rianimata, all'improvviso, dal sopraggiungere di una nuova ossessione – alla rievocazione palpabile della Swinging London, quando i personaggi filosofeggiavano di sesso, vita e morte ai tempi d'oro dell'università. Cosa accadde nel weekend trascorso a casa dei genitori di Veronica ben trent'anni prima? Perché tutti, insegnanti compresi, si contendevano così accanitamente le attenzioni di Finn – talentuoso e dannato in parti uguali? Soprattutto, di quale colpa si macchiò Tony, messo sotto processo dal lettore in persona? A metà tra L'attimo fuggente ed Espiazione, ma decisamente meno memorabile di entrambi, Il senso di una fine sfodera un amato-odiato narratore inaffidabile e un intreccio bipartito, dove la nostalgia lascia presto spazio a un profondo rimorso.

Non è affatto vero che la storia è fatta delle menzogne dei vincitori, come sostenni una volta disinvoltamente, con il vecchio Joe Hunt; adesso lo so. È fatta più dei ricordi dei sopravvissuti, la maggior parte dei quali non appartiene né alla schiera dei vincitori né a quella dei vinti.

La verità, benché addolcita dal tempo, è comunque destinata a riemergere con il suo carico di amarezze e tragedia. L'irruenza della gioventù è forse un'attenuante? Le parole hanno un peso specifico. E a volte, se usate a sproposito, generano anatemi. Barnes, al contrario, sa usare quelle più giuste: sintetico e rigoroso, anche se sin troppo algido per i miei gusti, è abilissimo nell'infarcire la voce del suo narratore tanto di sentenze sgradevoli quanto di poetiche perle di saggezza. Il suo è un superbo esercizio di stile, perfetto nella forma ma incerto nelle intenzioni. Sul finire mi sono trovato spesso a domandarmi quale fosse il punto della storia: lo scoppio di un amore tardivo, un inno alle seconde occasioni, un giallo in tocco e toga, o tutto insieme? Vizi e virtù di un thriller dei sentimenti prolisso, perfino con i suoi infiniti non detti.

Il mio voto: ★★★

4 commenti:

  1. un autore al quale non mi sono mai accostata. Non lo so se questo può essere un valido primo approccio, però mai dire mai. Devo farmi un'idea più precisa delle sue opere :)
    ciao Michele!!

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    1. Ciao Angela, un saluto a te! Pare che questo sia il più piacevole e fruibile dello scrittore: non credo che avrò il piacere di approfondire la sua conoscenza, no.

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  2. Una roba un po' da pensionati nostalgici, o sbaglio? XD

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    1. C'è anche il film, con un sacco di attori pensionati nostalgici: si chiama L'altra metà della storia. Lo hai visto?

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