![](https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEge3rUld_sCEEvk-9nrqmuj-yOHtMaabNVaPUlP8qhUS9N5lqR3-oftmTZtev_g4jDScUByWg_Yissl5UPgeZM5d6Rl_lkUK2IUK4eq9D4SqBLyFqQNeb7Xt0Dt0zMIKWTlxEcwBxdgptfgXXoGRnXk4yDyZ1yZG581DjLkfq5aAq3dSz55MHvhlCc=w136-h200)
A
che serve l'ennesimo biopic, per di più con The Crown in
corso d'opera, sull'icona più famosa al mondo? Ultimo ritratto di
signora per Pablo Larraín, Spencer racconta i tre giorni di
agonia di un matrimonio lungo dieci anni; la donna in pezzi prima del
mito inscalfibile. Diana festeggia il Natale in un castello stregato
in cui i riscaldamenti sono sempre spenti, le ceneri dei vecchi
regnanti ricoprono ogni cosa e i servitori, invitati al silenzio,
sono schierati come un esercito. Ma, aggrappata alla tazza in
ghingheri come una sposa, Diana vomita, disobbedisce e semina
dissensi: il suo tormento si manifesta con l'autolesionismo. In una
scena già cult, si strappa la collana e ingoia le perle insieme a
una zuppa immangiabile. Favola nera o forse horror dell'anima, il
film è una psichedelia di danze, spettri e fagiani dove tutto, fatta
eccezione per l'epilogo, è gelo. In questo inferno di ghiaccio,
Kristen Stewart si rivela una scelta tanto azzardata quanto vincente:
sorprendente con accento british, presta gli occhi malinconici e il
temperamento nervoso a una figura in tensione perenne, in grado di
sciogliersi soltanto al cospetto dei figli e di Sally Hawkins; i
costumi da Oscar fanno il resto. Si può fuggire a un destino
segnato? C'è spazio per i miracoli, in un mondo in cui perfino i
bambini sono educati alla violenza della caccia? Per fortuna il buon
cinema tutto può. Il qui e ora non esistono, sussurra Diana:
passato, presente e futuro sono la stessa cosa. Il tempo si fonde
come in Dalì, allora, e attraverso questo magma Diana Spencer può
andare incontro alla vita (e alla morte) nei luoghi in cui è stata
bambina spensierata. È possibile la stessa felicità? Basta lasciare
in pegno il vestito buono agli spaventapasseri e, fanculo il mondo,
inseguire «gli amori, lo shock e le risate». (7,5)
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgzbPHPl5Zyi9oAqtzWSSe1XI5MIlYxwsW3Y4_V5l1aApyxAsM1mhwgxiMir1-8QpZneMz51gBIKIEZKu54w_Fh5A3y2wggolVpyQOacjhyHDhkEKJNy6m0O80plJ6DuLT4E76fXfGoPDmBaKHI8uWa6V9NK3k3qib6gzPzJ4s3-qVMKq8OffWFao8=w135-h200)
Dopo
Cuarón, Almodóvar e Sorrentino (anche Spielberg è atteso al varco
con un'operazione simile), è il turno di Kenneth Branagh:
riacciuffare una carriera ondivaga al suono di ricordi agrodolci. Il
tutto rigorosamente in bianco e nero, con una fotografia talmente
incantevole da essere degna del cinema Pawlikowski. Siamo
nell'Irlanda degli anni Sessanta. Il piccolo alter-ego del regista si
difende con uno scudo di latta dai draghi, dai drammi familiari,
dagli sconvolgimenti politici. Benché molto preso dalle scorribande
e da una coetanea, è impensierito da una serie tematiche: i
genitori, sommersi dai debiti, meditano di andare altrove; i nonni,
anziani, seminano perle di saggezza e preoccupazioni; le strade, un
tempo familiari, ospitano barricate durante gli scontri tra
protestanti e cattolici. Ogni elemento è al posto giusto,
selezionato per non scontentare: mamma e papà sono di un'avvenenza
fuori dal comune anche quando discutono (Caitríona Balfe è, a onor
del vero, intensissima), gli anziani brontolano da Oscar
(inspiegabile il casting di Ciaràn Hinds, di vent'anni più giovane
della Dench e invecchiato malamente a colpi di trucco), le visite al
cinematografo offrono significativi squarci di colore al biancore
generale. Ma in Belfast, purtroppo, è tutto talmente
attrattivo da risultare furbetto, patinato, piatto. Ogni anno c'è un
film che sembra accontentare tutti tranne me: questo sarà l'anno di
Branagh, con la pellicola più sopravvalutata e, forse, premiata
della stagione. Un pugno di cartoline provenienti da un'infanzia così
artefatta da sembrare di nessuno. (5,5)
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhZSuWAHcSM7baW2yaJ8iKvw61V-GpRgDYNOk5FnSnBSPQnAiRKQlSmSMJYhIgSfhbvkpyhrEAsLA49h6HR1i2Lpnoydir76goUuYZFMNbnKFPYyeOW5VKxZjmenXtM7jjjgVO8YQtpUDg2S5n_TaOWWCHRezvEOgLzjQNXSTKyy47uMhmfoGA9yb0=w135-h200)
L'ascesa
di Venus e Serena Williams dal punto di vista dell'uomo che le ha
messe prima al mondo, poi sui campi da tennis (solitamente
appannaggio dei ricchi bianchi privilegiati): Richard, il loro papà.
Ambientato nei primi anni Novanta, con le campionesse poco più che
bambine, questo biopic tanto classico quanto appassionante mette in
scena i sacrifici, l'orgoglio e lo spirito di abnegazione di una
famiglia vincente. Padre di cinque figlie femmine, il protagonista ha
un piano per ognuna di loro: cambieranno il mondo e si salveranno dal
ghetto. Ma la perdizione esiste soltanto nel loro quartiere, o anche
nelle competizioni del circuito professionistico? Solido nella prima
parte, in cui prevale la grazia della dimensione corale, il film
perde qualche colpo nella seconda: più concentrata sugli esordi di
Venus, fa porre qualche domanda sulla condotta del genitore. La loro
è una famiglia o un team? È giusto predisporre il futuro dei figli
ancora prima che nascano? Quelli di Richard erano sogni o ossessioni?
Disinteressata ad approfondire le controversie sul papà-manager,
Hollywood sceglie per la vicenda un taglio fiabesco e toni bonari.
Non stupisce, allora, la scelta di Will Smith come protagonista:
idolo di generazioni vicine e lontane, qui spiegazzato come non mai,
rispolverara i discorsi motivazionali del set di Muccino e punta
facilmente agli Oscar. Pregi e difetti di un dramma sportivo senza
ombre e con una morale sul valore dell'umiltà (non secondaria, però,
al divertimento), che piace anche ai profani. (6,5)
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgYEpQUM_dTtyDHkY4uoCoCE70C-yoWmhRi53K120GtoSx49SRm4PnE2mg2DM2o9egP4fx-nYm5Pu3ScRj2AHndxPgbT2RErINmLZKGdu6TbSpuAy1krGoTnc_0_YE9J3_fJ4wc7PwGQeoFY4YzmO0NrpbXX8ngvfQa_n73AN6yOVuFFWzCS4RTqbI=w135-h200)
Agli
spettatori italiani Lucille Ball e Desi Arnaz diranno pochissimo.
Star di una sitcom degli anni Cinquanta, erano i nostri Sandra e
Raimondo. L'ultimo film del sempre bravissimo Sorkin è un biopic che
ce li mostra a un crocevia: accusata di simpatizzare per il
comunismo, Lucille fa i conti con i tradimenti del marito e una
seconda gravidanza. Come mandare avanti comunque lo show? Nonostante
Javier Bardem sia una spalla esemplare, Being the Ricardos è
una masterclass tutta al femminile. Già anima della sitcom
originale, Lucy diventa ancora il fulcro del tutto: Sorkin la mostra
dagli esordi fino alla retrocessione in radio, in preda al fervore
delle riprese e durante le tensioni del quotidiano. Buffa sul set, tutta smorfie e gridolini, nel privato era una padrona di casa perfezionista, polemica e
sbloccata. Contestatissima da alcuni spettatori, una Nicole Kidman fresca di
Golden Globe incarna entrambe le anime del personaggio alla
perfezione e strega con un mimetismo che le arrochisce la voce e
stravolge il viso (più del chirurgo, sì). La vicenda ha scarso
appeal, soprattutto per il pubblico straniero? La struttura a
tasselli non appare sempre funzionale? Se amate le grandi performance
e i grandi autori, sedetevi ugualmente in poltrona e applaudite
Sorkin. La sua è una commedia elegante, pulita, all'apparenza
semplicissima. Ma, proprio come I Love Lucy, di quella
semplicità che soltanto i set collaudati sanno rendere nascondendo
gli sforzi del cast sotto il tappeto. (7)
Mi incuriosisce tantissimo Spencer, ma ho letto su internet che la data di uscita è stata posticipata.. speriamo invece arrivi presto :)
RispondiEliminaSì, rimandato a data da destinarsi, causa contagi!
EliminaDa vedere, possibilmente in lingua originale. ;)
Stavolta non collimiamo... a me "Spencer" non è piaciuto (e te lo dice uno che considera Larraìn uno dei più grandi registi contemporanei). L'ho trovato un film che non va oltre il personaggio, ben lontano dalla filmografia corposa e politica del regista cileno. Brava la Stewart, ben girato, ma interesse zero. Ci sta.
RispondiEliminaInvece ho apprezzato "Belfast". Condivido, è un film ruffiano e paraculo... però è fatto davvero bene. Le emozioni che sprigiona sono autentiche. Io a Belfast ci sono stato, molti anni fa, e quello che racconta il film è assolutamente aderente al vero: il clima era ancora molto difficile anche passato tanto tempo dai fatti descritti. Mi ci sono ritrovato e mi ha coinvolto.
p.s. King Richard spero di vederlo in settimana...
A qualche giorno dalla visione, confesso che Branagh non mi ha lasciato proprio nulla. E mi dispiace, perché io e il protagonista abbiamo moltissimo in comune...
EliminaTroppa forma soffoca la sostanza, a differenza che nell'ultimo Mike Mills: non memorabile, a parere mio, però più spontaneo nel raccontare l'infanzia (in b/n).
Non ti è piaciuto Belfast? What?!?
RispondiEliminaE' piaciuto persino a me che non ho mai provato un briciolo di simpatia per Kenneth Branagh in vita mia. :)
Spencer ottimo, e per certi versi anche piuttosto imprevedibile.
King Richard e Being the Ricardos decisamente coinvolgenti.
Insomma, a questo giro stranamente mi sono piaciuti tutti. XD
Belfast l'ho seguito con fastidio dall'inizio alla fine, mi è parso un lungo spot pubblicitario!
EliminaA questo giro, invece, sono io a storcere il naso per metà di questi titoli.
RispondiEliminaNon per Belfast, di cui aspetto l'uscita, o forse solo la serata più libera.
Non ovviamente per i Ricardos con Sorkin dalla penna magica (ah, che finale perfetto!).
Come sai Spencer mi è sembrato uno spottone d'abiti in alcuni punti, un horror in altri, senza davvero coinvolgermi, senza raccontare Diana.
E sì che approvavo la scelta temporale ridotta, e che il confronto fonale con la Hawkins un brivido me l'ha dato.
E pure la Stewart, anche se bravissima, continuavo a vederla sotto una trasformazione difficile, sempre lì a dire: sono la Stewart, sono brava. Io e Larraìn continuiamo con i nostri alti e bassi, prima o poi ci farò pace e tornerò a venerarlo come in Jackie.