giovedì 9 luglio 2020

Recensione: Il paese dalle porte di mattone, di Giulia Morgani

Il paese dalle porte di mattone, di Giulia Morgani. Harper Collins, € 18, pp. 346 |

Quando i fratelli Lumière proiettarono uno dei loro primi cortometraggi, gli spettatori abbandonarono le postazioni urlando. Sul telone veniva proiettato l’ingresso del treno nella stazione di La Ciotat e l’immagine appariva così realistica da generare inquietudine: il mezzo avrebbe forse travolto il pubblico in sala trapassando il muro? Nell’immaginario, da allora, i treni rappresentano il dinamismo e la modernità: il progresso che alletta ma spaventa. Per me non è un caso che la salernitana Giulia Morgani – attrice e sceneggiatrice  qui al suo esordio – abbia voluto un capostazione come protagonista del suo primo romanzo, conciliando così la sua formazione cinematografica al simbolo per eccellenza del progresso. Il paese dalle porte di mattone, su carta un horror alla Pupi Avati, racconta infatti le difficoltà di un uomo di mondo alle prese con concittadini chiusi al nuovo.

Non è cosa per noi, la città. Siamo quello che siamo, non si può sfuggire. È come per questa nebbia, ti viene a cercare e ti ricorda chi sei. Non la vogliamo la città.
A Centounoscale Scalo, un borgo fittizio in un Sud imprecisato, nessuno si ferma mai per restare. Il treno passa soltanto due volte alla settimana. Non ci sono né chiese né scuole. La natalità è in stallo. La maggioranza delle case, per di più, presenta misteriosi sbarramenti: muri di mattoni che impediscono l’ingresso in camere specifiche  e che dietro, scavando, nascondono tragedie indimenticabili. Quale futuro potrebbe esserci lì per Giacomo, giovane di belle speranze che nel secondo dopoguerra, con la sua bella divisa inamidata, sogna un impiego sereno e remunerativo? Accolto in malo modo, fa fronte a scortesie grandi e piccole e affitta una stanza a casa di una coppia di fratelli poco raccomandabili: isolati dal resto della comunità, Pantaleno e Basilio hanno i coltelli in camera da letto, le finestre sbarrate e degli asini con le orecchie mozzate. Dieci anni prima è accaduto qualcosa di terribile. Indagare lo condurrà a una verità triste e polverosa. Perché i muri a volte proteggono, altre nascondono, altre ancora tagliano fuori.

Una volta in quella fornace cuocevamo vasi, piatti, brocche. Poi mattoni, mattoni, nient’altro che mattoni. Nell’illusione che avremo dimenticato. E ci avremmo chiuso dentro anche il dolore. Ma quello continuava a uscire fuori. Nessun muro poteva contenerlo.
L’autrice attinge agli archetipi e alle suggestioni di un genere consolidatissimo, ma aggiunge i colori tipici del nostro folklore. Alcuni capitoli scritti in corsivo, narrati dal punto di vista degli abitanti, mi hanno ricordato inoltre le lamentazioni dell’Antologia di Spoon River: voci rotte e drammi privati, in un’intensa carrellata di storie complementari. Il fascino diffuso, per fortuna, contribuisce a coprire anche i difetti di un intreccio fragile e ripetitivo. Nella seconda metà il romanzo diventa qualcosa a cui la veste grafica dark, un po’ fuorviante, non mi aveva preparato. Anziché scandagliare a tappeto le ombre, Giacomo le combatte. Desidera riportare il paese in vita, cerca alleati, dà il via a una ristrutturazione graduale e utopistica. Il gotico che all’inizio prometteva brividi di paura si stabilizza su sentieri meno impervi, ma al contrario comodi e rassicuranti. Perde l’elemento horror all’insegna di un dramma corale sulla perdita e sulle piccole rivoluzioni, con un paesino sinistro a fare da sfondo a una vicenda che ha finito per ricordarmi Klaus – la favola di buoni sentimenti targata Netflix – sia per il linguaggio pulito sia per il messaggio di rinnovo. Prevedibilmente, a fare la differenza sarà la generazione rappresentata da Roberto e Malvina: bambini vittime della superstizione e dell’analfabetismo. Quando il treno di Giacomo fischierà, Centounoscale si metterà finalmente in cammino? Il lieto fine rischia di deludere chi, come me, si aspettava al contrario una vicenda torbida. Ma una volta venuti a patti con in contenuti – più rassicuranti del previsto –, quello nel Paese delle porte di mattone resterà comunque un soggiorno piacevole, grazie alle atmosfere caratteristiche e alla bontà dell’anfitrione.
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Le rondini - Lucio Dalla

6 commenti:

  1. Questo mi intriga in modo incredibile *^*

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    1. Atmosfere bellissime. Lo sviluppo un po' meno, però a un esordio glielo si perdona. :)

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  2. Da tutti i riferimenti da te fatti nel post, direi che non è proprio una cosa per me.
    Poi magari, oh, potrebbe sorprendermi. Cosa che quest'anno in particolare è assolutamente probabile.

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    1. Ma manco Klaus ti è piaciuto, bestia di Satana?

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    2. Non l'ho visto. Nonostante tutti i pareri positivi, mi sono tenuto alla larga da tutte le cose più o meno natalizie. :)

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    3. Al prossimo Natale, ti tocca...

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