martedì 15 luglio 2025

Recensione: La radice del male, di Adam Rapp

| La radice del male, di Adam Rapp. NN Editore, € 22, pp. 544 |

Anni Cinquanta. Elmira, New York. Una modesta casetta costruita all'ombra di un sicomoro, gli infissi verde pisello e l'eco delle campane della vicina chiesa di San Giovanni. Una famiglia come tante. Numerosi, repubblicani, cattolici, i Larkin —un padre silenzioso, una madre devota, sei figli — cenano con un ritratto di Gesù in cucina. Molti dei protagonisti perderanno comunque la retta via. Come nelle grandi saghe familiari, seguiamo i loro trionfi e le loro sciagure fino ai giorni nostri. Dalla presidenza di Roosevelt al secondo mandato di Obama, passando per la guerra in Vietnam, l'AIDS, l'abolizione della sedia elettrica. Ogni capitolo, a punti di vista alterni, è una finestra aperta sulle loro esistenze. A scandirle sono la musica, il football, la cronaca nera.

Siamo tutti qui per poco più che un battito di ciglia, come i polli e le termiti, e se davvero c'è un Dio, è che che se ne frega di noi.

Myra, la primogenita, è un'infermiera impiegata nel braccio della morte: cresce da sola il figlio Ronan e non perde mai la grazia struggente con cui, a tredici anni, scriveva lettere d'amore al Giovane Holden. Fiona, spregiudicata e sessualmente promiscua, si oppone all'accudimento di Joan — la sorella disabile — per inseguire la carriera di attrice. Alec, la pecora nera con un passato da chierichetto, fugge per tutto il Midwest — mai dall'oscurità annidata in sé stesso — lasciandosi alle spalle cartoline macabre e altre briciole nella speranza di essere trovato. Nel frattempo, succede la vita. Splendida e imprevedibile, a volte beffarda, diventa materia viva nelle mani di Adam Rapp. Subito paragonato a leggende della scrittura, possiede la quiete grandezza della grande narrativa americana. La prosa è senza fronzoli. L'intreccio, epico e semplice al tempo stesso, è un gioco di prestigio dove le figurine di football e le prime edizioni del capolavoro di Salinger vengono trasmesse di madre in figlio. Cosa erediteremo, invece, dai nostri padri?

Siamo tutti condannati a essere quello che siamo.

Se lo domanda proprio Ronan, aspirante drammaturgo a New York, che ha ereditato dagli uomini della famiglia gli occhi infossati e i lupi nella testa. La criminalità è una tara genetica? Il serial killer John Wayne Gacy potremmo essere noi? Come nella Derry di Stephen King, qualcosa di malvagio si annida nel sottosuolo americano. La violenza è dappertutto. Nel ragazzo che flirta con te alla tavola calda. Nell'ubriacone molesto della lavanderia a gettoni. Nel prete che paga il tuo silenzio a furia di regali costosi. Nella luce del garage, che ti ordina di sterminate i tuoi cari con un martello. In mezzo a tutto questo male, tuttavia, è impossibile non volere a queste tre generazioni di Larkin tutto il bene del mondo. Anche se, a guardare bene, negli occhi infossati dei figli si intravede ancora il riflesso di quel martello. Sempre lì, sotto il lavandino della cucina. In attesa.

Il mio voto: ★★★★★
Il mio consiglio musicale: Simon & Garfunkel – The Sound of Silence

giovedì 10 luglio 2025

Recensione: Donnaregina, di Teresa Ciabatti

|Donnaregina, di Teresa Ciabatti. Mondadori, € 19, pp. 228 |

Chi è Giuseppe Misso, detto 'O Nasone? Ex camorrista, ha quasi ottant'anni e vive in una località segreta, lontano dalla sua amata Napoli. Carismatico, colto, bugiardo, descrive al “Corriere della Sera” un'esistenza dai toni picareschi, fatta di lussi sfacciati (gli orologi costosi e le Jaguar), hobby peculiari (l'allevamento di colombi) e relazioni improbabili (la presunta parentela con Leonardo DiCaprio; l'antagonismo con Lovigino, amico divenuto rivale; gli amori per Antonietta, Adele, Teresa, da cui sono nati due figli). Ormai invecchiato, si racconta all'alter-ego di Teresa Ciabatti.

Uno non ci pensa mai che i cattivi hanno una normalità, e a forza di pensarli lontani, a forza di relegarli in una dimensione remota, oltre a semplificare, proteggiamo noi stessi, credo.

Cos'hanno in comune un superboss e una scrittrice al centro di una dolorosa crisi familiare e creativa? La narratrice ne sa poco di cronaca, e soprattutto non è napoletana. Più interessata a raccontare l'uomo che il mostro, più concentrata sul privato che sui delitti, instaura con Misso un dialogo tenero e peculiare — è presente perfino all'ultimo matrimonio di lui, intrappolata in un discutibile tailleur arancione. Intanto, però, è costretta a fare i conti con le resistenze dell'editore, con un gemello litigioso e una migliore amica morente, ma soprattutto con Camilla: la figlia tredicenne, nella quale scorge il riverbero delle sofferenza di Bruna, la primogenita transgender di Misso.

Chiunque è un'invenzione di qualcun altro.

Come mai ho letto Donnaregina, lettura a metà tra l'inchiesta e l'autofiction, io che solitamente prediligo la narrativa? Merito della voce di Ciabatti. Empatica ed egocentrica, sprezzante e fragilissima — un'autrice, insomma, che c'entra tutto e niente con le doglianze del camorrista che si credeva Robin Hood. Benché sia lei stessa intrusa nel rione Sanità, mi ha condotto tra i vicoli e le contraddizioni di una storia che esce spesso fuori traccia e proprio per questo risulta irresistibile. Tra lunghi audio su WhatsApp e appuntamenti alla Rinascente, Misso tenta di soggiogare la protagonista per veicolarne le opinioni. Ma, in un lungo braccio di ferro, è lei a imporre la sua personale versione dei fatti — umana e incoerente, surreale a tratti, ma assolutamente vincente. È più temibile fronteggiare un criminale, d'altronde, o convivere con una figlia iscritta in seconda media? Il mistero dell'adolescenza: più impenetrabile della camorra.

Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Nada – Amore Disperato

martedì 1 luglio 2025

Recensione: L'università di Rebibbia e Le certezze del dubbio, di Goliarda Sapienza

|Autobiografia delle contraddizioni, di Goliarda Sapienza. Einaudi, € 20 |

È stata allevata in casa per sfuggire alla propaganda fascista. Staffetta partigiana, attrice, scrittrice, aspirante suicida, icona femminista, Goliarda Sapienza ha vissuto mille vite e flirtato spesso con la morte. A cent'anni dalla sua nascita, il mondo la sta riscoprendo tra letteratura e cinema. Dopo l'amore sconfinato per L'arte della gioia, ho recuperato L'università di Rebibbia e Le certezze del dubbio — entrambi hanno ispirato il film di Mario Martone presentato a Cannes.

Chi non sa che la bellezza è anche protezione dai mali della vita e dagli incubi della notte?

Due racconti autobiografici, brevi e armoniosi, guidati dallo sguardo acuto di Goliarda. In carcere per furto, descrive il suo soggiorno dietro le sbarre. Il silenzio innaturale dell'isolamento iniziale, il latte col brumoro, ma soprattutto la ritualità e i colori di un microcosmo femminile che sembra uscito da un salottino del sud. Le carcerate fumano, giocano a carte, parlano di amori e di delitti. Sciantose come uccelli esotici, si fondono in una voce sola. Disparate — disperate mai —, accolgono volentieri questa sofisticata cinquantenne che indossa camicie di seta e ringrazia per tutto. Il corso accelerato di vita di Goliarda, senza distinzioni di età né di censo, dura poco. Tornata presto in libertà, lotta contro il caldo romano e la nostalgia del “dentro”, dove le convenzioni sociali non contano e tutto è istinto. Tutto è natura. Può l'esperienza del carcere rivelarsi liberatoria? A partire da questa contraddizione, Goliarda — fuori posto nei salotti letterari italiani — rievoca con calore commovente l'intimità con le compagne di cella, la fame delle loro storie, gli andirivieni con Roberta: una detenuta politica sensuale e ipercinetica, molto simile all'indimenticabile modesta.

Perché scrivi, Goliarda?” “Per allungare di qualche attimo la vita delle persone che amo.” “E con loro anche la tua, eh, volpona?” “Certo. Chi odia a tal punto la vita da non desiderare di vederla allungata almeno per un po'?”

Benché attento al materiale di partenza, Martone ha costruito un biopic troppo lirico e frammentario, in cui la bravissima Golino interpreta una versione ben più arrendevole e naïf dell'autrice. Goliarda, invece, era ironica, indocile, a proprio agio sia con l'italiano aulico che col romanesco. Subito dopo l'arresto, dichiara la fantasia sua nemica: in cella, meglio non avere troppi grilli per la testa. Per fortuna, era bugiarda come nessuno. Innamorata della vita, innamorata degli altri, fantastica per tutto il tempo e immortala tra queste pagine un apprendistato lungo un verdetto. Ha rubato una collana. O, semplicemente, la sua parte di gioia?

Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Mina – Città vuota