venerdì 23 agosto 2024

Recensione: Wellness, di Nathan Hill

| Wellness, di Nathan Hill. Rizzoli, € 22, pp. 736 |

È possibile provare l'esistenza dell'amore a prima vista? Jack ed Elizabeth, dirimpettai, si studiano dalle finestre dei rispettivi palazzi: a separarli c'è soltanto un vicolo. Lui, fotografo, si è lasciato dietro le praterie del Kansas: romanticissimo, nasconde una sensibilità d'altri tempi dietro l'aspetto studiatamente trasandato. Lei, studentessa cresciuta in una magione invasa dai pipistrelli, è l'erede di una famiglia arricchitasi sulle disgrazie altrui: ribelle, molla tutto e decide di vivere da bohémien. Siamo nella Chicago degli anni Novanta, ma sembra di essere a Montmartre. Mentre l'avvento di internet semina dappertutto promesse, la scena artistica si colora di sperimentazioni. “Diversi in modi simili”, i nostri protagonisti tuonano contro il capitalismo e si fingono orfani. Cos'è dei loro sogni vent'anni dopo?

Credi in quello che vuoi, mia cara, ma credici con delicatezza. Credici con consapevolezza. Credici con curiosità. Credici con umiltà. E non fidarti dell'arroganza della sicurezza.

Ormai sposati, Jack ed Elizabeth puntano a mimetizzarsi tra le famiglie del circondario. Performanti, moderni, perfettibili, tentano (invano) di educare il figlio a un uso più accorto del Tablet e investono (invano, sempre) su un cantiere in corso d'opera, in un quartiere dove i grattacieli sono talmente brillanti da tendere trappole agli stormi. Le agenzie immobiliari sponsorizzano “case per sempre”, ma intanto consigliano alle coppie di dormire separate. Servono sex toys e locali per scambisti, pare, per tenere viva la scintilla. La società impone l'appagamento di bisogni continui, ma nel frattempo annichilisce con idiosincrasie, tensioni, caos. Gli orologi monitorano i respiri, gli algoritmi tracciano gli alti e bassi delle prestazioni lavorative e alcuni credono perfino che la vita non sia altro che una simulazione: il presente, insomma, è una distopia. Jack non tituba, ha finalmente una famiglia tutta sua per contrastare la solitudine vissuta nell'infanzia. Ma Elizabeth, più cinica, guarda angosciosamente la curva discendente della mezza età. È possibile preservarlo, l'amore? Famosa per gli studi sull'effetto placebo, sa che le persone amano lasciarsi ingannare pur di superare il dolore di vivere. E se la loro storia, sin dal primo incontro, fosse una frottola al pari dell'agopuntura?

Si poteva scegliere di essere sicuri o si poteva scegliere di essere vivi.

Wellness, sontuoso boy meets girl con dieci pagine di bibliografia in chiusura, resterà la folgorazione dell'anno. Arguto e coltissimo, Nathan Hill impiega 700 pagine per indagare il più grande dei misteri: il benessere matrimoniale. La sua prosa deve somigliare ai dipinti realizzati dalla sorella di Jack. Pennellate semplici e veloci, dettagli fugaci, con l'obiettivo della massiva universalità: la letteratura, così come le tempere, va fatta respirare. E questo romanzo respira, sì, e vive una vita propria in un luogo di confine in cui la commedia romantica e il saggio antropologico possono coesistere, fare l'amore e riprodursi. Come in Rooney, al centro ci sono due protagonisti perfetti l'uno per l'altra ma vittime dell'autosabotaggio. Come in Yanagihara, sullo sfondo, c'è una città popolata da bohémien vestiti da yuppie. Come in Franzen ci sono il disincanto, il grottesco, la satira, e si sorride a denti stretti di papà che cospirano su Facebook, strampalate coppie aperte, fortune fraudolente legate al Ku Klux Klan. Visceralmente contemporaneo, Hill gioca con la chimica delle emozioni e sonda le prese di coscienza di un'età in cui somigliare a tutti gli altri sembra la scelta più comoda. Si è troppo grandi per credere alle favole, alle bugie, alle cospirazioni. O forse no? Se perfino il mercato immobiliare collassa, infatti, gli unici architetti restano i romantici: costruttori di straordinarie bugie, in un mondo sempre più digitale e distratto, creano ogni giorno le emozioni per guarire in autonomia. Bisogna soltanto avere fede nella cura, e tenersi stretta la fede al dito. Il matrimonio è un placebo. Ma quanto è bello credere a una storia d'invenzione, per poi scoprirsi realmente cambiati?

Il mio voto: ★★★★★
Il mio consiglio musicale: The Smiths – How Soon Is Now?


venerdì 16 agosto 2024

Recensione: Un'estate, di Claire Keegan

| Un'estate, di Claire Keegan. Einaudi, € 12, pp. 80 |

Su Instagram resto puntualmente incantato dai contenuti di una pagina intitolata Vita Lenta. Quegli scorci, quegli sprazzi di vita vissuta, sono il migliore antidoto contro la tristezza. Quei post sono la pace dei sensi. Quei post sono un'estate senza fine. Ho respirato atmosfere simili nel romanzo di Claire Keegan, che al cinema ispirò The Quiet Girl. Una lettura tanto breve quanto evocativa in cui la fatica gioiosa della vita dei campi scandisce la bella stagione di una bambina spaiata.

È bello sentire la strada digradare, sapendo che in fondo c'è il mare.

Selvatica e taciturna, sempre a piedi scalzi, la protagonista è cresciuta in una famiglia in cui c'erano tanti figli e pochi soldi. Non c'era mai tempo per le premure né per la tenerezza; forse non c'era tempo neanche per i nomi di battesimo: per questo, nel romanzo, la protagonista sarà anonima per tutto il tempo. Allontanata dai fratelli e affidata momentaneamente a una coppia di zii sconosciuti, sperimenta gli ambienti umili e i sentimenti nobili della vita accanto a John e Edna, in una casa senza vergogna e senza segreti. In poco tempo, diventa la loro ombra; il bastone dello loro vecchiaia. Cos'è accaduto al loro unico figlio, di cui tutti in città parlano a mezza bocca? Tra passeggiate notturne con lo sciabordare del mare in sottofondo e crostate al rabarbaro profumatissine, la bambina conoscerà per la prima volta l'amore, la morte, la vita. In punta di penna come il miglior Kent Haruf, l'autrice ci regala un piccolo romanzo di formazione sulla paura di diventare grandi.

Se non ci fossi, sono sicura che cadrebbe. Chissà come fa quando io non ci sono. Cerco di ricordarmi di un'altra vola in cui ho avuto la stessa sensazione e sono triste perché non riesco a ricordarmela, e anche felice perché non ci riesco.

C'è l'arrivo di settembre, un mese di cambiamenti, che mette paura. C'è la scoperta della lettura, con una nuova sorprendente consapevolezza: i libri, a volte, portano più lontano di una bicicletta. C'è la reticenza della gente di campagna, i cui gesti parlano più forte delle parole. Non siamo a Holt, ma nell'Irlanda dei primi anni Ottanta. In un libricino nei cui silenzi c'è talora malinconia e talora l'esatto contrario: una gioia di vivere per cui si faticano a trovare parole adatte. Bisognerebbe coniarne di inedite allora: un nuovo lessico famigliare.

Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Taylor Swift – August

giovedì 1 agosto 2024

Recensione: L'amore è un fiume, di Carla Madeira

 
| L'amore è un fiume, di Carla Madeira. Fazi, € 18,90, pp. 180

La chiamano saudade. È la nostalgia che illanguidisce gli arti e i petti con l'avvicinarsi del crepuscolo. Intraducibile in italiano, è il sentimento che nell'antichità accompagnava gli uomini di ritorno dalla caccia. Le mogli avrebbero riabbracciato i mariti morti di fatica? E i mariti le mogli, ritte alla finestra? Come un vento caldo, la saudade soffia tra le pagine del romanzo di Carla Madeira: un successo del passaparola, con una scrittura a ritmo di bossanova e un intreccio da gustarsi preferibilmente sotto l'ombrellone, con il mare a fare pendant con il blu della copertina. Ambientato in un Brasile senza tempo, è la sfida tra tre personaggi combattuti tra la difficoltà di disimparare l'odio e il bisogno di tornare ad amare.

Non si ragiona con chi è malato di saudade.

Separati in casa all'indomani di una tragedia da non svelare, Venancio e Dalva erano la coppia più invidiata di una citta divisa tra chiesa e bordello. Tutti ricordano gli oggettini intagliati da lui e il profumo delle empadas di lei. Tutti ricordano il giorno delle nozze, con quel vestito bianco ricamato da ognuno dei presenti e i canti festosi a fare da accompagnamento. Cosa li ha divisi? Se lo chiede anche Lucy, la piu fiera e capricciosa tra le prostitute, desiderosa di conquistare l'inconquistabile Venancio: l'unico maschio con l'ardire di rifiutarla. Ne deriverà un gioco di seduzione a colpi di provocazioni e sberleffi, in cui a dominare sarà il fascino dei personaggi femminili: la gelosia bruta del protagonista, conteso tuttavia per l'intero romanzo, nulla può contro i silenzi misteriosi di quella moglie piena di decoro né contro la sensualità dell'amante, stesa come una lucertola all'ombra del quartiere a luci rosse.

Perché l'amore scatti, ci vuole un qualche tipo di coincidenza. In ogni contatto, esiste una percentuale di miracolo. Non è peregrino dire che l'amore è sacro.

Il pensiero corre alle squillo sagge di Marquez, al cinema femminista e fieramente kitsch di Almodovar: pulsioni ancestrali, istinti bassi, parole abbastanza palpitanti da evocare la morbidezza dei colpi e la passionalità degli amplessi. Forte di atmosfere semplicemente irresistibili, Madeira pecca di un intreccio esile e di una narrazione a tratti inutilmente corale, in cui i comprimari (i genitori di Dalva, la miracolosa Francisca) hanno il difetto di affollare una narrazione troppo leggera, troppo breve, per prestarsi alla polifonia: non aiuta l'esagerato colpo di scena conclusivo. L'amore è un fiume. L'autrice non lo argina con una struttura più ragionata, ma lo lascia scorrere senza padroni. Ha numerose forme, ha mille sblocchi. Cosa succede quando lo inquinano un raptus mortifero, i tradimenti e i difetti di forma? Basta lasciarlo scorrere. E aspettare, aspettare, aspettare. Al resto penserà la naturale magia della narrativa sudamericana.

Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Ornella Vanoni – La voglia, la pazzia