

Riccardo
torna a casa. Storpio, assetato di vendetta, brutto ma dalla voce
bella. Con quella di un camaleontico Massimo Ranieri,
precisamente, ci canta in apertura l'inverno del nostro scontento.
Riccardo torna a casa, in un regno fittizio che altro non è che una
borgata romana di poveracci arricchiti, e ha una lunga lista di
persone a cui farla pagare. L'hanno accusato del crimine più infame.
L'hanno chiuso in una clinica psichiatrica per tutta la vita,
alimentando con cattiveria aggiunta una natura già instabile e
malevola. Riccardo, che nel suo covo segreto ha grotteschi ma
irresistibile scagnozzi che somigliano alla versione horror dei
Minions, è il principe folle di William Shakespeare. Un uomo senza
scrupoli e senza speranza che nel ritorno alla regia dell'innovatrice
Roberta Torre – suo il kitsch Tano da morire,
a cui tutto deve un Ammore
e Malavita
– si trasferisce dall'Inghilterra ottocentesca all'Italia
post-moderna, dal blank verse al musical più psichedelico. Canta,
circondato da figuranti bizzarri, ballerini in latex e scenografie
barocche, e mira a rovesciare la regina di una magnetica Sonia
Bergamasco – tirata e bionda come Amanda Lear, diverte e ruba a
mani basse la scena al protagonista assieme alla sorella di
Silvia Gallerano, sensuale Barbie Xanax a un passo dal baratro.
Chi è davvero sano? Chi, in definitiva, ha le mani pulite? Si
impilano morti ammazzati, ritornelli e stranezze. Pistole dai calci
glitterati, teschi con diamanti per occhi, scene pulp. Così lontane
dall'intrattenimento di cuore ma realizzato molto alla buona dei Manetti
Bros. Da un cinema commerciale che, forse, non avrebbe avuto la
stessa spavalderia della Torre nel risultare ambiziosa, presuntuosa,
prendendo Shakespeare per vestirlo da un videoclip di Gaga, dal
Refn che più divise Cannes. Il difetto: una sceneggiatura che dalla
tragedia shakespeariana perde il dolore, la potenza, scegliendo di
investire talenti ed energie sui dettagli più piccoli della messa in
scena. A quella, ipnotica e psichedelica, gli occhi. Le orecchie,
invece, aguzzate per ascoltare i versi (e le canzoni) di un Bardo
rock, dark, in una trasposizione – l'ennesima, verrebbe da dire, e invece no –
che non lo prende alla lettera, ma ce ne ricorda l'attualità
sconcertante. E la sconsideratezza di qualche film italiano che sa
stupire e stranire, visivamente e non solo, assicurando che in
questi inferni metropolitani e metaletterari ci si diverte molto più
che fra gli angeli del paradiso. (7)