Tom,
sopravvissuto alla Grande guerra, si trasferisce a Janus in cerca di
silenzio. Dalla terra ferma, incantata dai suoi modi d'altri tempi,
lo segue la fedele Isabel. I bambini non vogliono arrivare. Il mare
ha la soluzione: una scialuppa alla deriva e, a bordo, una bambina
senza identità. Perché lasciare che tutto quell'amore vada
sprecato? L'apparizione della madre biologica, però, rompe
l'idillio. La bambina è di chi l'ha messa al mondo o di chi ha avuto
cura di lei? L'estate scorsa queste stesse domande mi toglievano il
riposo in spiaggia: sotto l'ombrellone, tentavo di stringere i denti.
Avevo amato la potenza di La luce sugli oceani e,
da lontano, invidiato chi lo aveva visto in anteprima a Venezia. Le
prime recensioni, però, suonavano tutt'altro che rassicuranti.
Personalmente, voce fuori dal coro, mi piace scoprirmi talmente
immerso nella finzione da prenderla come una questione personale.
Così, mesi dopo, mi trovo a remare contro l'aridità della critica.
La luce sugli oceani non
è un film da luci della ribalta: vuole il pomeriggio perfetto e la
casa vuota. La sa lunga Derek Cianfrance in fatto di coppie scoppiate
e bocconi indigeribili. Alla stregua del regista di Blue
Valentine, anche Alicia Vikander
mi ha sempre in pugno: è destino, infatti, che mi faccia disperare
ogni volta. Con lei una ritrovata Rachel Weitz, che con pochi tocchi
svela i retroscena di un'altra pena e di un'altra donna. Ma ago della
bilancia e giudice dall'ingrato compito, un laconico e straordinario
Fassbender. La luce sugli oceani è
una parabola classica, sulle sfumature dell'amore e dell'acqua. Sul
peso specifico del perdono. Fedele al materiale di partenza,
viscerale, a tratti è così pieno che sì, potrebbe sopraffare i
naviganti. Potevano privarlo delle tante
lettere, dei molti pianti, dei troppi tramonti. Eppure, dalle onde
della sua emotività, mi sono lasciato volentieri travolgere. Senza
guardare mai l'orologio. Senza additare i sentimenti, e i melodrammi,
come fuori stagione. (7,5)
Siccome
cinquanta non erano abbastanza, le Sfumature raddoppiano
con un sequel. Si scuriscono, virando al nero. La James, ai ferri
corti con la precedente regista, si affida a uno sceneggiatore di
fiducia – adatta, infatti, il marito in persona – e al tocco del
solido Foley. Si riparte da dove eravamo rimasti. La rottura tra
Anastastia e Christian si rivela soltanto un breve litigio: i due
tornano insieme, qui, e si godono i pregi di fare la pace. Ci si
mettono in mezzo il capo di Anastasia, che attira spasimanti come se
ce l'avesse solo lei; una stalker psicolabile; la tardona Kim
Basinger. Nella prima ora, tra balli in maschera e giochi ammiccanti,
è una commedia sexy che non dispiace: palesa le assurdità già
assodate e una maggiore complicità tra Jamie Dornan e Dakota
Johnson. Mostrare bella gente nuda, però, poco ha a che fare con
l'erotismo. A stuzzicare ci pensano fascette, perle e divaricatori,
ma i protagonisti – incaprettati, bendati, vulnerabili –
finiscono sempre per ripetere la stessa coreografia: lei sotto, lui
sopra col sedere in mostra, dissolvenza. Il trash è godibile quando
dura poco, si sa. Nella seconda parte il film vorrebbe farsi prendere
inutilmente sul serio, e allora dà il peggio del peggio. La colonna
sonora è radiofonica, i comprimari meglio definiti sono gli
addominali di Dornan e la natica sinistra di Dakota, lo si segue
divertiti perché ormai abituati al nonsense. E' così raffazzonato e
insipido, alla fine, che troppo male non gli si vuole. Più dignitoso
del precedente perfino, anche se per un pelo. E, se si parla di vedo-non
vedo, di spogliarelli e lingerie, saprete bene che anche un pelo fa
la sua. (5)
Al
cinema uccidete tutte le persone che volete, ma non toccatemi gli
animali. Pensiero ricorrente, questo, perfino davanti all'horror più
sanguinoso. Figuriamoci se si tratta dell'ultimo film di Lasse
Hallmstrom – lo stesso di Chocolat, svariate trasposizioni
di Nicholas Sparks e, soprattutto, Hachiko. Dopo il trauma
legato all'Akita che non si arrendeva alla perdita del suo padrone, assecondare la
tristezza con Qua la zampa. Sabotato lo scorso inverno dagli
animalisti, nonostante accuse pare belle che cadute, la commedia a
tinte fantastiche dello svedese parte da uno spunto originalissimo:
raccontare non una, ma le tante vite di un cane speciale. Bailey,
infatti, è destinato a reincarnarsi senza dimenticare il
proprio passato – e nell'edizione italiana, purtroppo, la voce
narrante di Gerry Scotti. A volte nasce maschio, a volte femmina. A
volte campa a lungo, altre si spegne presto. Lo ospitano famiglie sul
punto di disfarsi, coppie felici e coppie scoppiate, l'unità cinofila e un canile da cui scappare alla prima occasione.
Abbandonato, usato, amato, cerca uno scopo e non si disfa del
pensiero di Ethan, il suo primo padrone (il KJ Apa di Riverdale
che crescendo diventa Dennis Quaid). La sceneggiatura non
approfondisce un'idea vincente. Un cane che accompagna varie
generazioni, che sperimenta varie esistenze: perché non mostrare
attraverso i suoi occhi un po' di storia americana, come in un
Forrest Gump a quattro zampe? La storia del Paese resta ai
margini. Si accenna alla crisi dei missili, la radio passa Take on
me, i capelli si ingrigiscono. I trailer anticipano troppo. Da
copione Bailey morirà non una, ma innumerevoli volte. C'è un limite
ai pianti di uno spettatore dal dichiarato cuore di pastafrolla? Qua
la zampa, invece, è un intrattenimento per grandi e piccoli che
intenerisce, diverte, e di lacrime, purtroppo o per fortuna, non fa
esagerato abuso. (6)
Una
reunion. I corridoi del liceo che ispirano ricordi a ogni passo. Sono
immancabili quelli legati allo Svedese: un giovanotto che
eccelleva in doti atletiche e carisma. Ha fatto una fine indegna di
lui. Pastorale Americana è
la storia della famiglia che costruì ma non seppe tenere unita. La
maggioranza delle recensioni lette lasciavano intuire un gran
pasticcio. Un dramma in cui il troppo stroppia. Mi ritrovo a essere
in disaccordo, benché tanto faccia la mancata lettura del romanzo di
Roth e la passione per le famiglie infelici a modo loro. Come condensi un capolavoro di cinquecento pagine in un
film di un'ora e quaranta senza sacrificare qualcosa? Temevo mi
scivolasse addosso. Peggio: temevo di non affezionarmi, nell'annunciato riassunto di
una moderna pietra miliare, ai suoi personaggi. Pastorale Americana, per
me, è un dramma classico e arduo, perciò coraggioso. A sobbarcarsi
l'impresa, così come il suo personaggio ingurgita e metabolizza i
dolori di tutti gli altri, un Ewan McGregor che interpreta e per la
prima volta dirige. I doppi impegni lo provano e un po' ne risente la
recitazione. Stanco ma credibile, spinge a rimarchevoli exploit la
Connelly e una antipaticissima Fanning. A fine visione,
ho avuto più voglia ancora di scoprire il romanzo. A fine visione,
soprattutto, io che temevo un film senza peso, ho sentito la pena
inconcepibile di questo uomo buono a cui succedono cose cattive.
Calmo in superficie, Pastorale Americana indugia
nei dettagli essenziali abbastanza da lasciarti intravedere il mare
che si agita sul fondo e il sentore vago della sua originaria
bellezza. (7)
Sophie,
orfana a Londra, viene sottratta al collegio e alla solitudine dalle
mani di un premuroso gigante. Attraverso balzi chilometrici, il
mostro la conduce in una terra di insidie. Peccato che sia
in realtà il più minuto della sua specie. Maltrattato dai propri simili,
imbottiglia sogni e protegge Sophie dai fratelli. l
GGG, classico di Dahl purtroppo mai arrivato nella mia
libreria, trova un nuovo adattamento. Dirige Spielberg, avvalendosi
di una computer grafica non sempre inappuntabile e della voce di un
Mark Rylance fresco di statuetta (qui in versione “Spacco botilia,
ammazzo familia”): subito si mettono in conto nostalgia e occhi
lucidi. Dahl, eppure portato al cinema infinite volte, questa volta
lascia annoiati e delusi: le guance asciutte, al contrario che nel
recente remake del Drago Invisibile, e un senso di irritazione
verso un'eroina antipatica come poche. Il minutaggio, eccessivo,
sfiora le due ore; i toni cupi e i peti da cinepanettone turberanno i
piccoli, lasciando sostanzialmente insoddisfatti anche gli adulti; la
storia, mi dicono fedelissima all'originale, decolla tardi e lascia
straniti in un finale grottesco. Anche più del Canto di Natale secondo Zemeckis, Il GGG risulta
pesante e artificioso. Non abbastanza modesto da passare inosservato.
Non abbastanza importante da meritarsi la tripla “G”
dell'acronimo. (4,5)
Nella
Toscana degli anni '50, un'infermiera cerca di scoprire le ragioni
del mutismo di un bambino. Alla morte della madre, infatti, ha smesso
di parlare. La casa scricchiola e i muri parlano. Raccontano una
storia di amore e perdita che è destino si ripeta. I domestici sono
un enigma, il padrone di casa vede nella protagonista una nuova musa,
gli abiti da cocktail della pianista defunta le stanno a pennello.
Qual è il desiderio del fantasma di Caterina Murino: vendicarsi
dell'ospite o cercare qualcuno che riempia il vuoto che ha lasciato?
Tratto da un romanzo di Silvio Raffo, Voice from the Stone
è una ghost story che ha i suoi
pregi – gli unici, a malincuore – nello splendore delle donne e
dei suoi scorci naturali. Ibrido svogliato e confusionario tra Jane
Eyre e Giro di vite,
ha poche ombre e l'aria di una fiction Rai. Un mistero su carta che,
passando ai fatti, mistero non è. Il film non decolla: ben
confezionato, ma recitato con la noia addosso. Incapace di intrigare,
nonostante la presenza di un inquietante Girone, sfocia
frettolosamente nel melodramma. Scene di passione percepite nel
dormiveglia e il nudo artistico della star di Games of
Thrones – bella come una ninfa
di Botticelli, ma impacciatissima quando si tratta di darsi a pianti
o vaneggiamenti vari – non bastano a trovare un senso a quello che
le pietre non dicono. (5)
Louis
è un bambino sfortunato. Protagonista di incidenti grandi e piccoli,
è sempre stato salvato in corner dal sonno eterno. Fino a quando,
festeggiando il suo compleanno su una scogliera, non cade da una
rupe: è in coma, ma tutt'intorno a lui –
nella sua mente, perfino – il mondo continua. Pare non si sia
trattato di un incidente, questa volta, ma di un tentato omicidio.
Colpa di quel padre violento, fuggito chissà dove? Tratto da un
romanzo finito automaticamente in whishlist, The 9th
Life of Louis Drax è un ibrido
sui generis, inclassificabile, a metà tra il thriller e la favola.
Dirige il discontinuo Alexandre Aja – esordì in Patria, anni fa,
con il bellissimo splatter Alta tensione
– e, lesinando questa volta sulla violenza, conferisce alla
trasposizione un'anima francese. Se da un lato il film ha le
canoniche indagini del dottor Jamie Dornan, qui vittima del fascino e
della lacrime di Sarah Gadon, dall'altra troviamo gli interventi di
un narratore trasognato e un po' crudele, che ha qualcosa dei bambini
prodigio di Jeunet e un patrigno sospetto, che somiglia proprio a
Aaron Paul. Chi desiderava il silenzio del bambino, e perché? Pieno
di volti familiari e stranezze, irrisolto ma molto interessante nel
suo essere di tutto un po', The 9th
Life of Louis Drax è un
Hitchcock ad altezza bambino, che all'inizio confonde e alla fine
potrebbe anche deludere. Loquace e nerissimo com'è, però, mi ha
stranito: cosa non da poco. E la nona vita del piccolo protagonista –
l'ultima, forse – ha in serbo qualche altra sorpresa. (6,5)
di questi, ho visto LA LUCE SUGLI OCEANI - beeellooo!! - Fantastici loro due, incantevoli i paesaggi, commovente la storia.
RispondiEliminaTra i restanti, sarei curiosa di vedere Pastorale Americana!!
Pastorale Americana penso proprio che ti piacerà.
EliminaIo non vedo l'ora di recuperare il romanzo.
Ripenso ai personaggi da un po', nonostante pare che i fan non abbiano apprezzato...
ma che ridere la parte sulle 50 sfumature!:D
RispondiEliminaFigurati che prima era più lunga e più scema.
EliminaRitieniti fortunata, vi ho graziati coi tagli!
"La luce sugli oceani" devo vederlo. Troppi bravi attori per perderselo.
RispondiEliminaConcordo punto per punto su "Cinquanta sfumature di nero". E' così trash che c'è da rimpiangere il libro, lì almeno un po' di tenerezza abbozzata la trovavi e la provavi. Comunque non capisco la pudicizia-a-tutti-i-costi di questa cinematografia, sia Foley che la precedente Taylor-Johnson coprono e dissolvono, dimenticano forse che il pubblico ha già visto cose parecchio più scabrose come "Basic Instinct" o comunque più audaci, come "Lezioni di piano"? Mah.
Delle Sfumature ho iniziato a leggere il primo parecchie estati fa, ma ho abbandonato presto. Non per la storia, ma per come è scritto. Concordo anch'io sulla pudicizia-a-tutti-i-costi, anche se il film mostra pochissimo e a tratti è volgare comunque. "The Dreamers", "Love", "Shame", "Shortbus". Foley e company, guardate questi qui.
Eliminami intriga voice from the stone!
RispondiEliminaIntriga anche me, molto, ma i buchi nella sceneggiatura proprio non aiutano...
EliminaLa luce sugli oceani non è mi dispiaciuto, però io ogni tanto un'occhiata all'orologio l'ho data.
RispondiEliminaBellino e loro bellissimi, però mi aspettavo un coinvolgimento emotivo maggiore...
American Pastoral invece non mi ha coinvolto proprio per niente. Per me delusionissima. Troppo, troooppo classico.
Cinquanta sfumature di nero, per quanto una porcata, è divertente, come si sente anche dalla tua rece (io ora voglio leggere la versione integrale di cui parli nel controcommento di sopra a Mari!)
Il GGG è una delle più gigantesche schifezze viste di recente. Persino le Cinquanta sfumature al confronto fanno la loro porca figura. :)
Qua la zampa mi sa che non ce la posso fare a vederlo, mentre Voice from the Stone potrei fare lo sforzo unicamente per Emilia Clarke.
Louis Drax quasi quasi...
Emilia Clarke, soprattutto come se posa come la Winslet in Titanic, è sempre una ragione valida: recupera pure.
EliminaQua la zampa, secondo me, non ti dispiacerebbe. C'è anche una parte teen molto carina con Britt Robertson, pure lei molto carina.
Louis Drax un po' pasticciato, però affascinante. Ha anche qualcosina di A Monster Calls.
Devo recuperare Pastorale Americana: ho un debole per Ewan. :-)
RispondiEliminaCiao da Lea
P.S: Il ggg non mi è piaciuto per niente, anzi ad un certo punto mi sono addormentata.
Ricordo che avevamo parlato, ai tempi, dell'indigeribile Spielberg. Ma quanto è noioso e pesante?
EliminaRecupera Pastorale Americana. A McGregor voglio anch'io particolarmente bene, tra Big Fish, Moulin Rouge, Trainspotting e chi ne ha più ne metta. ;)
La Luce Sugli Oceani.
RispondiEliminaHo trovato il film "lento" come il romanzo, ma non è un lento negativo. L'autrice si prende i suoi tempi, la regia anche, ma alla fine ho preferito la trasposizione cinematografica, anche solo per la Vikander. L'Isabel del libro, come sai, non l'ho amata particolarmente.
Isabel è un personaggio molto particolare, effettivamente, ma io l'ho capita subito. A me, forse, romanzo e film sono piaciuti allo stesso modo. C'era la stessa angoscia, e pure tanta bellezza.
EliminaArrivo tardi, ma arrivo saltando a piè pari le sfumature che non mi avranno mai e il cane dalle mille vite troppo ruffiano a scatola chiusa.
RispondiEliminaFelice di non essere l'unica ad aver apprezzato l'esordio -solidissimo e tragico- di Ewan dietro la macchina da presa, compito ingrato ma portato a casa, discordiamo invece su La luce degli oceani, polpettone indigesto che a Venezia mi annoiò non poco, come sai.
Louis Drax lo avevo adocchiato e messo da parte per tempi più liberi, e nonostante il voto non altissimo, una chance gliela darò.
La Clarke all'italiana e la pessima rappresentazione del GGG della mia infanzia, no, grazie.
Come sai, La luce sugli oceani non l'ho digerito molto bene :P abbiamo appurato che quando il drama è troppo drama (?) ne risento!
RispondiEliminaPer quanto riguarda le sfumature... io mi sa che sono una delle poche persone sul pianeta che non ha né letto i libri né visto i film XD ma sto bene così direi...
Non sapevo invece che avessero tratto un film dal romanzo Dalla parte di Bailey! L'ho acquistato circa un paio di annetti fa, e ancora latita sui miei scaffali... chissà che il libro non sia migliore del film :P