L'avvento
di Donald Trump alla presidenza generava proteste in piazza e piogge
di meme su Facebook. Il logo di American Horror Story per dire
che per una fetta di America l'orrore era appena cominciato.
Ryan Murphy ha battuto il ferro finché era caldo. Ha preso alla lettera gli SOS
sui social. E per il settimo appuntamento con una serie
antologica tra alti e bassi ha scelto gli Stati Uniti di oggi, sì. Una
stagione attuale, satirica, politicamente schierata, che per il
raccapriccio lo prende dall'intolleranza, dall'estremismo, dalla
regressione allo status quo ante. A onor del vero, da chi Trump lo
sostiene a spada tratta ma anche da chi, agli antipodi, lo ostaggia.
Tutto ha inizio dalla sconfitta a sorpresa della Clinton. Qualcuno si
strugge: una coppia omosessuale con un bambino da crescere. Qualcuno
esulta: un sadico mosso da un folle delirio di onnipotenza che del
nuovo presidente vorrebbe emulare i gesti e l'ascesa, per poi un
domani rimpiazzarlo. Per molti è un altro 11 settembre: il dissenso,
l'insicurezza, alimentano infatti nuove e vecchie fobie. Per altri invece è
l'ora di dar vita a una setta di assassini a sangue freddo, con gli
inquietanti abiti dei clown, i mezzi delle camicie nere e le promesse
melliflue di Manson. Puntare al disordine, al potere: mettere
in pericolo le vite degli elettori, così da assicurargli certezze e
riparo al momento debito. Qualche donna, silenziosamente, si distacca
dal gruppo; si ribella al culto di un leader misogino, ingrato,
filo-fascista in nome del famoso orgoglio femminile. Cult, tra
politica e femminismo, ha temi caldissimi ma omaggia il gore degli
horror meno sofisticati – Saw,
The Purge. Ha guizzi
interessanti, nella scrittura, ma esagera al solito – troppa
violenza, troppi toni inconciliabili fra loro, ma finalmente pochi
attori sui quali concentrarsi. Se dei pessimi Alison Pill, Colton
Haynes e Billie Lourd (gli ultimi due, in una certa sequenza, in
procinto di darsi a un ridicolo ménage a trois) nessuno sentiva la
mancanza, per il carismatico Evan Peters è tempo di mostrarsi
perfettamente all'altezza della situazione in un camaleontico one man
show. Lo affianca e lo combatte una Paulson un po' in sordina, vero,
con un ruolo pronto a sorprendere con moderazione dopo un inizio
all'insegno delle urla e dell'antipatia più profonda. Cult non fa
paura come gli home invasion a cui si ispira e non va tanto per il
sottile per essere vera e propria satira. A lungo, non sa dove andare
a parare. Fino all'ultimo, pur irritando meno dello scorso anno, pur
pasticciando nei limiti consentiti, non si lascia mettere bene a
fuoco. Ingrana a metà, tardi ma non troppo, quando si rivela una
stagione cattiva, e dalla parte dei cattivi. In cui il più buono ha
la rogna. In cui il potere, il sangue, ti logora e ti infetta.
L'America, e American Horror Story,
strombazzano di voler essere grandi di nuovo. Così basta? (6,5)
Chi
si aspettava di ritornare per il terzo anno su quei campi da tennis?
Non io, probabilmente, quando Red Oaks era una comedy carina e
poco più, semisconosciuta e dal destino incerto. Qualcosa però è
cambiato lo scorso inverno. Quando, di nuovo tra gli oziosi
villeggianti del country club di provincia, avevo trovato a sorpresa
protagonisti più cresciuti, giardini e idee più verdi. Il coming of
age prodotto da Steven Soderbergh, al solito inatteso per via di
quell'Amazon poco a sua agio con il martellante battage pubblicitario
di casa Netflix, è giunto all'ultima pagina. Alla sua ultima
stagione. Sei episodi per la fine di un decennio fortunato, di
un'epoca, di un'estate sospesa. Di una comedy piccolissima, ma per me
tutt'altro che trascurabile – alla regia, per dire, si alternano
ora David Gordon Green, ora Gregory Jacobs. Capitanata
dall'immancabile Craig Roberts, che porta in campo la sua adorabile
aria da attore indie, personalità e buon umore, Red Oaks si
conferma brillante e scorrevole, nostalgica forse più che in
passato. Ti dici che è un addio, infatti. David, single per scelta
altrui, si muove tra incontri poco imbarazzati con le storiche ex, i
sorrisi ricambiati di un'aspirante stilista e un lavoro poco
soddisfacente presso uno studio cinematografico. Vuole ancora fare il
regista, essere un altro Godard, ma intanto si accontenta di portare
i caffè. A New York: lontano dal cloro negli occhi, lontano dalle
racchette, e non senza un certo dispiacere. Il padre è alle prese
con l'apertura di una nuova paninoteca, mamma Jennifer Grey con la
liberazione del coming out, l'amico Wheeler con la gelosia per uno
schianto di bagnina al di fuori dalla sua portata eppure
misteriosamente innamorata di lui. In crisi esistenziale, pensano chi
più e chi meno al cambiamento; al reinventarsi in fretta. Perché
tutto ha un prezzo. Anche questi anni Ottanta troppo omaggiati,
troppo stilizzati, troppo svenduti su altri canali. Anche il country
club, soprattuto, puntato da una squadra di spietati acquirenti
giapponesi. Può chiudere i battenti? Può licenziare i suoi
dipendenti e congedare così la sua affezionata clientela? La terza
stagione della serie di Jacobs è
equilibrata ma forse frettolosa a tratti. Segna la fine dei match,
delle sdraio al sole, dei sogni di gioventù – perché infranti o
perché realizzati. Lasciamo David e gli altri cresciuti, ancora.
All'ennesimo bivio, che stavolta somiglia alla costruzione di un
lieto fine. Con un po' di amarezza, eretto proprio sulle macerie di
quel Red Oaks da molti amato, da molti odiato. (7)
sono alla settima puntata di ahs e non mi sta dispiacendo, dopo era quello che ci voleva anche se cmq per me le prime tre restano le migliori stagioni.:D
RispondiEliminaConcordo, anche se già la terza...
EliminaAl momento Cult (al netto di alcune esagerazioni, come per esempio il ménage a trois da te citato e la svolta femminista con l'arrivo di Frances Conroy, personaggio sprecatissimo) è una delle stagioni che ho preferito e sicuramente una di quelle che mi ha angosciata di più. A parte i clown e gli elementi più horror è troppo facile immaginare un novello Kai Anderson pronto a guidare le masse facendo leva su paura, ignoranza e sul carisma personale.
RispondiEliminaIn più, adorando la storia americana, ho molto apprezzato che la stagione fosse legata a fatti realmente accaduti, a delle vere Storie d'Orrore Americane.
Io la finisco stasera ma fino ad ora proprio no, non mi piace.
EliminaProbabilmente sono i miei gusti che cambiano troppo in fretta, un po' di tempo fa mi sarebbe piaciuta.
@Babol, felice che ti sia piaciuto. Quest'anno l'hanno massacrato, io per primo durante le prime puntate, ma ha la sua da dire. Che si impappina, che dice troppo, che esagera, quello sì.
Elimina@Giulietta, AHS è sempre un terno al lotto, ormai. Se ricordi, io avevo odiato la stagione passata: troppo sangue, sostanza zero. Quest'anno, anche se in minima parte, Murphy mi ha ascoltato.
Io ho trovato Cult molto pasticciato ed inverosimile, ma è verissimo che a livello di tematica è molto affascinante.
RispondiEliminaMolto, ma Murphy e il senso della misura non vivono nello stesso pianeta. Per fortuna che quest'anno ha fatto anche Feud...
EliminaDevo dire che Cult è la stagione di AHS che meno mi ispira nella storia di AHS X°D anche meno di quella dell'anno scorso, che ancora devo recuperare!
RispondiEliminaA me, invece, a scatola chiusa ispirava moltissimo.
EliminaPerò è da anni, ormai, che lo aspetto senza ansie.
Grazie per avermi ricordato di recuperare Red Oaks.
RispondiEliminaNon avevo ancora trovato i sub in rete, ma facendo una ricerca attenta ci sono!
AHS non è grande di nuovo, però ci ha consegnato la solita stagione a tratti interessante e a tratti meno. Un gran pasticcio, più riuscita sul versante socio-politico che su quello horror. Si poteva fare di meglio. Si poteva fare di peggio.
Su Evan Peters sono d'accordo e pure su una Sarah Paulson forse per la prima volta nella sua carriera ben poco convincente. Su Billie Lourd però no. Io l'ho trovata adorabile quanto in Scream Queens. :)
Ah, meno male. Sarà la prima volta che io ho usato Amazon Prime, pensa, visto che nessun'anima pia lo postava.
EliminaBillie Lourd è simpatica e ha un timbro che adoro, però non so, sarà stato il personaggio che non stava né in cielo né in terra?
E' vero che la stagione Cult di AHS è a tratti esagerata, ma la tematica è molto attuale e coinvolgente. A me sta piacendo tanto
RispondiEliminaTorna a fammi sapere come trovi il finale, se ti va!
EliminaNiente, non riesco a decidermi su questo Cult e leggendo anche i vari commenti qua sopra, continua a tentennare... finchè avrò altro da vedere, aspetterà, ma potrebbe finire come Hotel: nel dimenticatoio.
RispondiEliminaRed Oaks abbandonata dopo una prima stagione un po' troppo "meh". Voglia di recuperarla? Purtroppo no.
Aspetta. Però il fatto che divida, mai come quest'anno, dovrebbe incuriosirti.
EliminaTi dirò, fai male a non tornarci a Red Oaks. La seconda stagione soprattutto, con quell'inizio nella Parigi della Nouvelle Vague, merita.