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lunedì 14 novembre 2022

Recensione: Avere tutto, di Marco Missiroli

Avere tutto, di Marco Missiroli. Einaudi, € 18, pp. 160 |

Da quando mi sono trasferito a Torino, mio padre mi telefona ogni sera. Abbiamo vissuto insieme tutta la vita senza mai saperci rivelare molto l'uno dell'altro. Tra noi avvengono conversazioni goffe, brevissime, piene di convenevoli. “Hai cenato?”, “Com'è il tempo?, “I coinquilini, il lavoro, lo smog?”. Un copione reiterato, sera dopo sera, da pronunciare a memoria quando ci si vuole bene, ma si è d'altri tempi e di poche parole. Ho trovato la stessa laconicità e la stessa tenerezza nell'ultimo Marco Missiroli, tornato in libreria a tre anni di distanza dal controverso Fedeltà. Lontano da temi spinosi e ambiguità sentimentali, questa volta non sembra scontentare i lettori. Avere tutto è un romanzo intimo e minimalista sui non detti tra un padre e un figlio all'alba di una tragedia: il vecchio, vedovo da un po', sta morendo di un male inguaribile; il giovane, pubblicitario di città non più così giovane, si prende cura di lui con le parole e, soprattutto, con i fatti. Quindi c'è Nando, che in gioventù faceva faville nelle balere e che ora, alla stregua di un animale sofferente, tende a nascondersi a bordo della sua sgangherata Renault. E poi c'è Sandro, il figliol prodigo, che torna a Rimini con la coda tra le gambe per fuggire al vizio del gioco d'azzardo e correre incontro al destino amaro del genitore.

Gli confidavo tutto senza confidargli niente. Da bambino gli parlavo nella testa e subito speravo di notargli una reazione: il sopracciglio ad arco, il tamburellare delle dita, una moina complice come se mi avesse ascoltato per telepatia. E la felicità nelle ore in cui lo seguivo e lui sceglieva mansioni dove potevo osservarlo: sturare un lavandino, potare il roseto, pulire l'abitacolo della macchina. Gli incantesimi delle sue mani.

Tra i due corrono silenzi, segreti e sigarette; un'intimità dolente, animata dagli sbuffi e dai mugugni di due uomini soli. Già nel romanzo precedente, d'altronde, l'autore romagnolo aveva raggiunto i picchi migliori alle prese con il personaggio di un'anziana: Anna, la madre di Margherita. Proprio come in Fedeltà, tuttavia, finisce per appesantire la narrazione con un vizio superfluo: non più le lotte clandestine tra cani, bensì il poker. Le digressioni sull'argomento frammentano l'intensità di una vicenda già esile di per sé e fanno sentire la mancanza di Nando, l'attore non protagonista che vorremmo fosse sempre in scena. Il tema della malattia, per quanto sentito, è affrontato in maniera consueta. Tutto va come previsto, fra imbarazzi iniziali e dettagli meticolosi dell'agonia conclusiva. Tutto è ben scritto, comprese le dinamiche al tavolo da gioco, ma purtroppo già svelato in quarta di copertina. Si può riprendere il controllo della propria vita mentre un padre sta perdendo il controllo della propria? Si può ricominciare daccapo al principio di una fine annunciata? L'ultimo Missiroli (si) emoziona senza bluffare. Ma, un po' come le telefonate con papà, racconta smanie e nostalgie in un sussurro che nulla aggiunge e nulla toglie al lessico del dolore.

Il mio voto: ★★★

giovedì 24 marzo 2022

Recensione: Fedeltà, di Marco Missiroli

| Fedeltà, di Marco Missiroli. Einaudi, € 12, pp. 232 |

Lo avevo in libreria dai tempi dello Strega, incastonato fra gli altri Supercoralli dello scaffale. Amato da alcuni, odiato da altri, Fedeltà divideva come soltanto i romanzi sulla bocca di tutti sanno fare. L'ho recuperato anni dopo, con l'adattamento televisivo appena sbarcato su Netflix. Mi figuravo un Missiroli dissacrante, sfrontato, provocatorio – il suo romanzo precedente aveva pur sempre un culo in copertina, no? Sottile e stratificato al tempo stesso, talmente elegante da risultare un po' freddo, il romanzo racconta molto più e molto meno di un tradimento coniugale. Costellato di bugie e non detti, di atti mancati trasformati in rimpianti dall'incidere del tempo, analizza la diffusione di un contagio di proporzioni collettive: il sospetto. La coppia non è un fragile nido, bensì un microcosmo scosso da un sisma: i protagonisti lo chiamano il malinteso. Carlo – trentacinque anni ben portati, professore di scrittura creativa, impiegato presso una piccola casa editrice: nessun romanzo all'attivo – viene visto nei bagni dell'università in atteggiamenti compromettenti. Perché stringeva tra le braccia Sofia, una studentessa romagnola coperta di deliziose lentiggini e dalla cappa angosciante della tragedia? Travolta dai dubbi, Margherita – moglie di Carlo, agente immobiliare – si rilassa più del dovuto sotto le mani del nuovo massaggiatore. Ma quali pulsioni nasconde Andrea, che una volta abbandonato il centro di fisioterapia si immerge in un controverso sottobosco di violenza per sfuggire a sé stesso?

Che parola sbagliata, amante. Che parola sbagliata, tradimento.

Sullo sfondo, contrapposta nella seconda parte a una Rimini felliniana, c'è una Milano prismatica, multiculturale e pulsante, destinata spesso a rubare la scena ai protagonisti stessi. Il pensiero di acquistare un appartamento diventa per Carlo e Margherita un'illusoria distrazione: lì saranno finalmente felici? Anna, la mamma della protagonista, lo domanda perfino a una cartomante: paga per conoscere il futuro dei propri cari, ma è il presente, intanto, a essere un'incognita. All'apparenza povero di avvenimenti eclatanti, il romanzo mi ha ricordato Sally Rooney. I protagonisti fanno cose e vedono gente; pensano troppo. Perfino il sesso, descritto raramente – anche se ricorderò con intensità un incontro intimo con il film Una giornata in particolare in sottofondo –, riguarda più le teste che i corpi: è cerebrale, immaginato, addomesticato. La fedeltà secondo Missiroli è un concetto ampio, che a differenza del banale adattamento televisivo va oltre le corna e le fantasie peccaminose. Riguarda, infatti, anche quei comprimari appartenenti a generazioni differenti: ognuno con le proprie eredità (Sofia alle prese con l'attività del padre, Andrea con l'edicola di famiglia), ognuno con i propri segreti (Anna, vedova, sa che il marito ha amato un'altra donna), ognuno con un legame peculiare con la coppia protagonista (una corrispondenza a colpi di libri bellissimi, una corsa in ospedale con una mano insanguinata, un fumetto di Tex sul comodino).

Non era “ancora”. Avrebbe potuto essere qualsiasi cosa. Sui pedali, alzandosi come a pochi metri dal traguardo, si era sentito invadere dalla gioia dietro lo sterno. Aveva percorso la discesa con la certezza che quello fosse il culmine e l’addio di una stagione, e che sarebbe entrato di lì a poco nella sua nuova vita da uomo. Si addormento’ con la stessa malinconia, o forse avrebbe potuto dire che era contentezza.

La seconda parte, ambientata nove anni dopo, spariglia le carte in tavola: lascia spazio a personaggi mutati, a cambiamenti imprevedibili e ospita un ulteriore terzo incomodo – il karma. Carlo e Margherita hanno prurito, ma non si grattano. Hanno tanto da, ma non dicono. Hanno occasioni per concedersi, ma non si concedono. Contenutissimo, sofisticato, mai esplicito, Fedeltà è l'esatto opposto del fuoco della passione. Dimenticate i vestiti che cadono sul pavimento, le porte chiuse a chiave, i letti che cigolano. È Closer, non The Affair. I protagonisti sono legati secondo il principio dei vasi comunicanti e, mostrati nudi e in controluce, confessano al lettore – non ai rispettivi partner – la tentazione irrinunciabile di essere altro da sé. Si può elaborare ciò che è stato. Come relazionarsi, invece, con ciò che non è stato mai? Si può perdonare un'avventura extraconiugale – o, venuta meno la fiducia, in alternativa, si può porre fine alla relazione. Ma come perdonare a noi stessi, invece, la negazione di un ultimo slancio vitale prima di diventare adulti?

Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Arisa – Verosimile