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venerdì 17 agosto 2018

Recensione: Tu l'hai detto, di Connie Palmen

| Tu l'hai detto, di Connie Palmen. Iperborea, € 17, pp. 291 |

Che fossero sin dall'inizio infelici e male assortiti. Che fossero entrambi in cerca di fama letteraria, e per questo eternamente in competizione. Che amarono, forse, fino a morirne o impazzire. Lei fragilissima lepre, lui despota dalla furbizia di volpe. Lo dici tu. Che conosci della Plath giusto il nome e le modalità di un suicidio ormai famigerato. Che essendoci in ballo crisi di nervi e tradimenti coniugali, a scatola chiusa, dai all'uomo la colpa esclusiva del triste sfacelo. Cosa ne penserebbero loro, se potessero contraddirti dal profondo della tomba? Come rigetterebbe le accuse il marito fedifrago, per anni messo a tacere da una schiera di estimatori con i paraocchi in nome del culto postumo dell'autrice della Campana di vetro? Dev'essere nato così Tu l'hai detto: un'apologia fittizia dal punto di vista inedito dell'istigatore; una raccolta a tappeto di falsità e menzogne, e la loro matematica ritrattazione. L'occasione, a vent'anni dalla morte, per lasciarlo finalmente dire proprio a Ted Hughes.

Per la maggior parte delle persone esistiamo solo in un libro, la mia sposa e io. Negli ultimi trentacinque anni ho dovuto assistere con impotente ribrezzo a come le nostre vite reali sono state sommerse da un’onda fangosa di racconti apocrifi, false testimonianze, pettegolezzi, invenzioni, leggende; a come le nostre reali, complesse personalità sono state sostituite da stereotipi, ridotte a immagini banali tagliate su misura per un pubblico di lettori affamati di sensazionalismo. E così lei era la fragile santa e io il brutale traditore. Ho taciuto. Fino ad ora.

A lui, che in fondo credeva negli astri e nell'occultismo, l'incontro con Sylvia – loquace americana con le cicatrici dell'elettroshock e quelle di un precedente suicidio non andato a buon fine – era parso subito una disastrosa collisione astrale. L'intensità dell'attrazione, tuttavia, lo aveva spinto a ignorare i segnali celesti. Lei gli morde una guancia nel suo vestito da sera, lui la sposa in gran segreto. Da lì i viaggi fra i luoghi di Cime tempestose e gli Stati Uniti in fermento, con Ted pronto a privarla delle sovrastrutture, a educarla, a liberarla. La scrittrice in caduta libera che si sognava Virginia Woolf aveva paura in verità della bomba atomica, dell'appendicite, della fama. Affetta da insicurezza cronica, non si perdonava l'assenza del padre e provava frustrazione all'idea dei bestseller o dei figli. Sylvia e Ted, segretamente in lotta per la prima pagina, avrebbero voluto vivere di parole e fantasia. Non tagliati per affrontare il contingente, erano troppo simili, e per questo si respingevano: la pienezza dell'essere, infatti, pare essere negli opposti. Lei troverà la pace infilando la testa nel forno a gas: i bambini che inconsapevoli dormono al piano di sopra, le carte di una separazione consensuale appena firmate. Per il consorte, invece, avrà inizio un supplizio infinito per scagionarsi dal senso di colpa; dalle voci di femministe che lo volevano a tutti i costi un mostro. Farsi giustizia a parole non significa però perdonarsi. Ammantato dallo stesso fatalismo di una tragedia greca, con i reali attanti trasformati grazie a una prosa straordinaria in personaggi di interessante levatura drammaturgica, il romanzo dell'olandese Connie Palmen è un lungo flusso di coscienza in cui tutti appaiono comparse passeggere nella corrente: l'amante di Ted, detta Lilith alla stregua di un demone sanguinario, che sette anni dopo imiterà la Plath nella morte; figli, il secondo dei quali erediterà, stando alla nota biografica in appendice, la stessa indole autodistruttiva della madre; perfino Sylvia, messa in ombra da un narratore che – sarà per vendetta? - non rifrange la luce della personalità di lei.

Chi vuole creare deve morire decine di volte nella vita. Deve separarsi, svincolarsi dai suoi cari, da terra, paese, famiglia, amici e soprattutto dalle idee nelle quali è barricato. Non esiste rinascita senza prima la morte. La letteratura ama la distruzione quale condizione per rendere possibile una nuova vita.

Glamour e cronachistico, Tu l'hai detto fa pesare a lungo andare i rari dialoghi e le dense elencazioni di eventi: scartafacci, viaggi, coincidenze magiche e fatali, e un protagonista che a volte minimizza i colpi di testa e mostra una Plath tutt'altro che amabile – e se ne apprezza vivamente il coraggio, lontano dalla stucchevolezza dell'elogio funebre, ma la donna suscita nel lettore incomprensioni e antipatie frequenti. 
C'è sempre bisogno di un colpevole. Serve a semplificare le difficoltà insite in ogni matrimonio. Un capro espiatorio a cui attribuire gli sgarbi, e la presa diretta sulla manopola del gas. Impeccabile esercizio di stile, meticolosissimo nel suo lavoro di ricostruzione metaletteraria, il romanzo Iperborea mi ha lasciato affascinato ma distante. Sette anni insieme che non conoscono poesia, strano ma vero; una relazione di amore-odio che non poteva essere ridotta ai minimi termini. Si ricostruiscono infatti tante cose, con il senno di poi. Mai, purtroppo, i lieto fine.
Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Karliene (Kate Bush) – Wuthering Heights