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L'imperatore della gioia, di Ocean Vuong. Guanda, € 20, pp. 432 |
È considerato una delle voci più significative della sua generazione. Classe 1988, origini vietnamite, si muove con successo tra prosa e poesia. Tutti scrivono di lui — da Oprah a Bjork. Il suo secondo romanzo, però, è molto diverso da come ce lo raccontano oltreoceano. Presentato come un'avventura alla Mark Twain, potrebbe deludere chi confidava in un'epopea densa e rocambolesca. La trama, essenziale, racconta le gioie e i dolori del giovane Hai: alter-ego dell'autore, ha sviluppato una dipendenza dai farmaci e dalle bugie. Mentre pensa di togliersi la vita, lo salva Grazina: ottant'anni, ha bisogno di un infermiere per fronteggiare la demenza e i flashback di una Lituania sotto assedio, divisa tra Hiltler e Lenin.
Il superpotere dell'essere giovani consiste nel fatto che sei più vicino al non essere nulla – e quando sei molto vecchio è la stessa cosa.
Vuong descrive la loro improbabile convivenza, ma anche la routine tragicomica del ristorante in cui Hai lavora part-time. L'HomeMarket potrebbe essere il set di una sit-com. Popolato da personaggi ai margini — prostitute, reduci, eroinomani —, offre cornbread di una bontà leggendaria e un cast di comprimari adorabili. BJ (la manager wrestler), Maureen (rettiliana convinta) e Sony (cugino Asperger con il pallino per la guerra civile) sono gli ingranaggi di un microcosmo umile e dignitoso che diventa emblema del sogno americano. Troppo lirico e frammentario per i miei gusti, ma ispiratissimo, Vuong ha lo sguardo empatico del cinema di Sean Baker.
Le parole sono incantesimi. In quanto scrittore, dovresti saperlo. È per questo, Labas, che si dice “fare lo spelling”, da spell, incantesimo.
Scrive così una fiaba su un battaglione di diseredati — i personaggi sono tutti immigrati, fragili, abbandonati —, che nell'America di Obama porta avanti le speranze delle generazione precedente. Era il 2009, e tutto sembrava possibile: soprattutto reclamare appartenenza. Benché politico e saldamente ancorato al reale, L'imperatore della gioia ha la grazie necessaria per conferire una dimensione favolistica al dramma dell'emarginazione. East Gladness, Connecticut, è un luogo ai confini della realtà in cui l'inverno è lungo sette mesi, la brina ricopre ogni superficie e il fiume gorgoglia inquinamento. Lì, in una baracca sull'argine, è possibile imparare dal nuovo la gentilezza, la collaborazione, la fiducia nel progresso umano. Il segreto, direbbe Grazina, è abbuffarsi di carote: ci vogliono vitamine — e piccoli eroi di questi — per prevenire la tristezza.
Il mio consiglio musicale: Stonemilker - Bjork
ciao, non l'ho ancora letto , ma ero invogliata a comprarlo perche' ho ascoltato recensioni molto positive. (cfr zodiaco). non riesco pero' a capire la tua recensione , un giudizio positivo contro un voto modesto.
RispondiEliminabuona giornata
Ciao, come scrivo, il giudizio è positivo, ma ho trovato la storia essenziale e lo stile troppo frammentario. Ho voluto bene ai protagonisti, ma non so se rileggerei questo autore (per me, al di sotto delle aspettative).
EliminaNon conosco l' autore e mi sarebbe sfuggito questo libro. Mi sembra un romanzo che affronta temi profondi.
RispondiEliminaGrazie per lo spunto!
Ciao Michele (. ❛ ᴗ ❛.)
Ciao Angela! Ha scritto anche un altro romanzo: Brevemente risplendiamo sulla terra.
EliminaCiao Mr Ink, romanzo interessante che ho già acquistato. Anche se si vive ai margini della società non bisogna mai considerare la propria vita priva di significato perché "La cosa più difficile al mondo è vivere una volta sola". Un caro saluto :)
RispondiEliminaChe incipit! Sul resto (per me, meno memorabile del previsto), mi dirai.
EliminaSe ne scrivono Oprah, Björk e tu, chi sono io per dire che questo scrittore non possa regalare qualche gioia? :)
RispondiEliminaIo più affidabile di loro, ahahahah!
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