giovedì 16 novembre 2017

Recensione: Una questione privata, di Beppe Fenoglio

| Una questione privata, di Beppe Fenoglio. Einaudi, € 12, pp. 192 |

Al liceo, di malavoglia, imparavo a memoria i versi dell'Orlando Furioso. Le donne, i cavalieri, l'arme e gli amori, le audaci imprese. Di Ariosto, anni dopo, ricordo l'avventura di Astolfo sulla luna ben più delle passioni della contesissima Angelica. In sella all'ippogrifo del mito, il cavaliere volava in cerca dell'ingegno che l'amico Orlando aveva smarrito: racchiuso in un'ampolla e della stessa consistenza di un liquido sottile e scivoloso. Facile lasciarselo sfuggire dalle mani, dalla testa, se pazzi d'amore e di gelosia. All'università, anche se per vie traverse, sono arrivato a leggere il romanzo postumo di Beppe Fenoglio – in questi giorni, potreste incrociare il titolo su un poster del vostro multisala di fiducia: è diventato un film dei Fratelli Taviani, con Luca Marinelli per protagonista. Come il paladino di Carlo Magno, anche Milton ha perso la testa. Vive una doppia guerra, combattuta dentro e fuori se stesso. Vaga senza meta da una parte all'altra di quelle Langhe cupe, sotto assedio, di una storia breve e appassionata mossa da violente forze centripete. Galeotti, ora come allora, una ragazza impossibile e un rivale inatteso.

E cose allegre non ne traduci mai?” “Mai”. “E perchè?” “Nemmeno mi vengono sott'occhio. Credo che scappino da me, le cose allegre.”

Probabilmente però, figlio di un macellaio di paese e accanito lettore di letteratura americana, Fenoglio – come il suo protagonista, partigiano nel 1943 – ai sospiri e alle rime del ciclo carolingio non dovette pensare mai. Una questione privata, incompiuto e parzialmente autobiografico, è il racconto di un'ossessione che fa infangare le suole degli stivali e impazzire l'ago della bussola. Si inizia e si finisce con i piedi in moto, un ritmo marziale, e la nebbia. Quella che si posa come un drappo pesante e confonde i percorsi, le intenzioni, i contorni. La guerra, vissuta in prima persona, non è soltanto fuoco e rumore, ma disorientamento. La violenza – dei sentimenti, dei gesti – ti fa brancolare. Ti travia. C'è la nebbia, sì, quando Milton indugia all'ingresso della villa di Fulvia. Lui di una bellezza spiacevole, malinconica, con un talento per la scrittura e le lingue straniere, due occhi assolutamente spiazzanti e troppo in comune con me. Lei, irresistibile civetta con i vestiti leggeri, una sigaretta tra le labbra e infiniti balli sulle note della Garland. Tra loro c'era Giorgio, aitante figlio di papà contro cui Milton nulla ha mai potuto: perché suo unico e migliore amico, perché sconfitto in partenza.

Io non sopporto più di non ballare mai con te.

Il conflitto interrompe il loro triangolo. La resistenza e una domestica con la lingua lunga portano poi dubbi su dubbi. Dov'è adesso Fulvia? Lei e Giorgio, soprattutto, si sono amati per tutto il tempo alle sue spalle? Ha inizio, così, una ricerca che minaccia di interrompersi con la notizia che l'amico dal pigiama di seta – ora, ufficialmente rivale – è caduto in mano ai fascisti. Milton non si arrende, invece, e parte da qui. I suoi compagni non sanno che non è questione di eroismo, bensì di cuore. Sempre in allerta, tra calorosi gesti d'ospitalità e il cameratismo con commilitoni con cui scambiarsi soprannomi e aneddoti, Fenoglio e il suo Milton abbandonano il lirismo dei primi due capitoli per un prosieguo meno godibile, secco e quasi spionistico, con il bellissimo contrappunto della gelosia di lui tra le righe. Gli altri personaggi, mai presenti in scena se non attraverso il ricordo, accompagnano l'affannarsi solitario e disperato del partigiano.

Sono sempre lo stesso, Fulvia. Ho fatto tanto, ho camminato tanto... Sono scappato e ho inseguito. Mi sono sentito vivo come non mai e mi son visto morto. Ho riso e ho pianto. Ho ucciso un uomo, a caldo. Ne ho visti uccidere, a freddo, moltissimi. Ma io sono sempre lo stesso.

In Una questione privata, per fortuna, si parla più del cuore che del fucile, nonostante la frenesia e la crudeltà prendano il sopravvento in un finale misterioso che finale non è. Per me, eppure, è perfetto così. L'anti-eroe dello scrittore piemontese cerca un ostaggio per fare a cambio con Giorgio. Un senso all'amore suo e alla guerra degli altri. Cerca in lungo e in largo, bagnandosi nella pioggia e rotolando sui fianchi delle colline, per il gusto di continuare a correre e cercare ancora. Per la paura di morire fermandosi. Di scomparire al levarsi di una foschia densa, imperitura, costante, in cui si trattiene il respiro peggio che sotto il fuoco incrociato della trincea. E forse trova tutto, Giorgio e Fulvia, un senso e il ristoro, il coraggio di frenare finalmente la sua corsa, da qualche parte oltre la nebbia. Da qualche parte, oltre l'arcobaleno.
Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Fabrizio De Andrè - La canzone dell'amore perduto

14 commenti:

  1. Ciao Michele. Questo libro non l'ho letto. Ma le parole che hai scritto mi hanno fatto capire che potrebbe essere una storia per me. Poi va beh, hai scelto De Andrè, io ci sono cresciuta, le canzoni le conosco quasi tutte a memoria (a parte quelle in dialetto). Un abbraccio

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    1. Ciao, Baba! Lettura fuori porto, almeno per me, ma da fare. Di De Andrè confesso amaramente di amare i testi, ma di non essere invece un fan del suo timbro, di questo vocione cavernoso.
      Della canzone in questione, ad esempio, di solito ascolto la versione di Battiato: delicatissima, anche di più.

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    2. Allora, tu immagina che io da bambina e ragazzina ascolavo solo De Andrè perchè mio padre era monotematico. Quindi, che mi piacesse o meno...ho imparato tutte le canzoni a memoria. Per un periodo ero satura, così l'ho preso in antipatia, ma passata la crisi...continuo ad ascoltarlo spesso e a dire la verità mi piace tanto la sua voce. La versione di Battiato non la conoscevo, andrò ad ascoltarla con piacere!

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    3. Comprendo il periodo di "intolleranza", e anche che il suo timbro piaccia molto. Decisamente.
      Una curiosità, ora che ci penso: Luca Marinelli, l'attore che nella trasposizione di Fenoglio interpreta Milton, sarà De Andrè in una fiction Rai. Segni? :)

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  2. Uh, che nostalgia. Ricordo che al liceo avevo fatto una bella indigestione di Fenoglio ed ero tra le poche ad avere apprezzato sinceramente le letture imposte. Anzi, avessi tempo, dopo averlo ricordato lo rileggerei :)

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    1. Al liceo, purtroppo, al Novecento non siamo arrivati, se non di sfuggita. All'università, invece, non ho messo nel piano di studi Letteratura italiana moderna e contemporanea, e me ne pento. A Fenoglio mi ci ha portato un amico che scriverà la tesi sui suoi racconti. Magari, mi invoglierà a leggere anche quelli. Per solidarietà, e perché ci si fida dei suoi gusti. ;)

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  3. Su grande schermo come su carta il tutto mi pesa troppo. Non me ne vogliano il bel Marinelli o Fenoglio, ché poi in programma mai l'ho avuto. Va a capire perchè.

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    1. Il romanzo, per fortuna, non pesa.
      L'azione dell'ultima parte ha impedito che fosse amore, però a tratti che poesia. Nei sentimenti, nel triangolo, è accuratissimo. Milton ti piacerebbe molto.

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  4. Ma daiiiii wow non lo sapevo. Segno, segno :-) grazie

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  5. Ultimamente penso spesso a leggere Fenoglio, ho già varie opere sul mio kindle (con cui sto facendo conoscenza pian piano, ma è comodissimo!)

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    1. Io ne ho una versione davvero basica, vecchissima, però è comodo, sì. Fammi sapere, poi, da cosa parti. :)

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  6. Adoro la scrittura di Fenoglio e questo, che probabilmente è il suo libro più famoso, ancora mi manca. Bellissima recensione, e non sapevo nulla del film... Dal canto mio, ti consiglio vivamente "La paga del sabato" :)

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