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Sperando che il mondo mi chiami, Mariafrancesca Venturo.
Longanesi, € 16, 90, pp. 405 |
Ho
finito gli esami della magistrale in un soffio. Ad aprile, se tutto va
come vorrei, mi laureerò perfettamente in tempo sulla tabella di
marcia: sempre stato bravo a rispettare le scadenze. La mia è una
specializzazione in Filologia moderna che, non lo nascondo, poco mi
rappresenta e altrettanto poco mi avrebbe allettato cinque anni fa,
ma tant'è: questo passavano l'ateneo vicino e il cosiddetto
convento. Ora cosa farai di bello? Di bello, rispondo a denti stretti
davanti alla domanda fatidica, proprio niente. Io che intanto ho la
tesi da scrivere in due mesi scarsi, una bibliografia sterminata da
padroneggiare e gli ultimi moduli da consegnare, a tempo debito ho
accumulato da brava ape operaia tutti i CFU che servono, le
attestazioni di PEF o FIT che dir si voglia, i voti altissimi e un
filo di rassegnazione. Se hai ventiquattro anni e sei fresco di
laurea in Lettere, almeno su carta, hai inevitabilmente poche
possibilità: e che fai, allora, l'idea dell'insegnamento non la
contempli per tracotanza? Mi dico che non ho pazienza né spirito
di abnegazione a sufficienza; che i bambini mi inteneriscono, vero,
ma forse non a tempo pieno: per via di una mamma che per anni ha fatto la
tata quando capitava, ho diviso spesso il tavolo della cucina con
seienni alle prese con il dettato, mucchi di Barbie e Lego alti così,
echi di tabelline a campanello e lettere dell'alfabeto da scandire
per bene. Mettici anche il precariato imperituro, i concorsi
annunciati sempre all'ultimo momento, gli andirivieni di sorta: la lotta con
le unghie e con i denti per un mondo che finora ho guardato piuttosto
distrattamente; per un gioco che forse non vale la candela, secondo
la dichiarata presunzione delle giovani leve che in dirittura
d'arrivo sotto sotto si aspettavano un'alternativa fortunata. Un po'
per caso, un po' per desiderio, io che credo nei segni del destino e
nelle piccole simmetrie, in questi giorni cruciali ho cercato la
compagnia del romanzo perfetto: un esordio da ricordare, che
per l'appunto di insegnanti e alunni, sacrifici e bivi,
parla.
Siamo
a Roma, la meta per eccellenza presa d'assalto dagli insegnanti del
Sud in una gara fra poveri a chi arriva primo in graduatoria.
L'irriducibile Carolina, ventotto anni, vive in una famiglia convinta
ciecamente che quella dell'insegnante sia una missione sociale –
maestri da generazioni e generazioni, i suoi parenti le hanno
tramandato il gene segreto dell'essere educatore e precario – e
tutte le mattine punta la sveglia alle cinque. Indossa gonne
eleganti, rossetti poco appariscenti e lascia che la metropolitana
la scorti nei luoghi strategici: passeggia nel cuore della
capitale, ne conosce ormai gli scorci suggestivi e le vecchiette chiacchierone, e tutte le mattine aspetta che una scuola di Roma la
chiami. Con una chitarra acustica in spalla e una borsa piena di
giochi e chincaglierie a fantasia, Carolina corre i cento metri per
insegnare all'occorrenza italiano, matematica o musica. Non può
concedersi vacanze, non può pianificare nel dettaglio progetti futuri.
Ho
il cuore pesante ma sono pronta, con il rossetto a posto e la gonna
al ginocchio. Pronta a non sapere dove andare. L'incertezza richiede
una certa preparazione. […] Perché insegnare è il mestiere più
bello del mondo. Dicono le maestre. Perché insegnare è come
imparare per sempre. Dico io. Tutte le mattine vado a piazza Venezia
o alla stazione Termini perché da lì posso raggiungere il mondo.
Sperando che il mondo mi chiami.
I
suoi contratti, rinnovati mese per mese, durano sempre poco: quanti libri non portati a termine nell'ora di narrativa, quanti programmi
lasciati a metà, quanti bambini di cui dimenticare i nomi e i sogni
per non affezionarsi troppo. E l'amore come va, se fa rima con l'incostante Erasmo?
Qualche anno prima la protagonista si è malauguratamente innamorata di lui, docente milanese arrivato nel Lazio per un convegno a metà tra
scienza e poesia: mentre i capelli del fidanzato vanno imbiancandosi sulle
tempie, Carolina pensa alla loro impossibilità di definirsi coppia. La
relazione a distanza, per ironia della sorte, è l'ennesimo elemento
saltuario in una vita senza solide radici. Per fortuna rallegrano
i racconti della splendida nonna Fortunata, emigrata siciliana che
racconta di valigie piene di farfalle ai tempi del fascismo e confida
negli effetti taumaturgici di una buona granita al limone; Titti e
Federico, compagni di sorte e di slalom disperatissimi nella giungla
dei pendolari; una quarta elementare in cui desiderare gettare le
ancore. Non mancano le maestre di ruolo arcigne, qualche cancellino
volante, un dirigente con la faccia da schiaffi che risponde al nome
di Violoni, ma fra le altre cose c'è che all'ultimo banco siede
Sara: una bambina dallo smalto mangiucchiato e la famiglia
disastrata, al centro di una specie di giallo da vivere come fosse
una questione personale.
La penna irresistibile di Mariafrancesca Venturo rende alla perfezione in queste quattrocento pagine dalle sfumature tragicomiche la frustrazione dei forse, la ripetitività spasmodica della routine, lo sforzo di mantenersi propositivi e al passo. Perché non investire nell'ennesimo master online su suggerimento del sindacato? Cosa ne penserebbe il fedele Federico, amico che è un autentico signor so tutto io in fatto di punti, trucchi, corsi e strategie? Qualcuno fa il pendolare, qualcuno si arrangia pur di prendere una stanza in affitto, qualcuno dorme addirittura in stazione per arrivare presto a scuola l'indomani mattina. Qualcun altro, in barba al politicamente corretto, pensa invece di accasarsi e di considerare le supplenze un lusso: per le mogli e le mamme, fra l'altro, si ha un occhio di riguardo in graduatoria. I bambini, nati già grandi fra gli stimoli di Internet e quelli della tivù, hanno sempre meno curiosità nell'apprendimento. I maestri, tanto reperibili e scattanti da perdere per forza di cosa le staffe, hanno perso sia l'umanità che l'amore intrappolati all'interno di un'anonima catena di montaggio. Questa è la commedia pastello su un'eccezione alla regola: una giovane idealista animata da una contagiosa missione – leggendo di lei ho pensato alla signorina Honey della Matilda di Dahl, il classico per l'infanzia –, che non vuole abbandonare, dimenticare, né voltare pagina. Un'eroina che alleggerisce le giornate storte con delicatezza, filosofeggiando sui proverbiali bicchieri mezzi pieni e sul privilegio immenso di cambiare – e incrociare – storie su storie.
La penna irresistibile di Mariafrancesca Venturo rende alla perfezione in queste quattrocento pagine dalle sfumature tragicomiche la frustrazione dei forse, la ripetitività spasmodica della routine, lo sforzo di mantenersi propositivi e al passo. Perché non investire nell'ennesimo master online su suggerimento del sindacato? Cosa ne penserebbe il fedele Federico, amico che è un autentico signor so tutto io in fatto di punti, trucchi, corsi e strategie? Qualcuno fa il pendolare, qualcuno si arrangia pur di prendere una stanza in affitto, qualcuno dorme addirittura in stazione per arrivare presto a scuola l'indomani mattina. Qualcun altro, in barba al politicamente corretto, pensa invece di accasarsi e di considerare le supplenze un lusso: per le mogli e le mamme, fra l'altro, si ha un occhio di riguardo in graduatoria. I bambini, nati già grandi fra gli stimoli di Internet e quelli della tivù, hanno sempre meno curiosità nell'apprendimento. I maestri, tanto reperibili e scattanti da perdere per forza di cosa le staffe, hanno perso sia l'umanità che l'amore intrappolati all'interno di un'anonima catena di montaggio. Questa è la commedia pastello su un'eccezione alla regola: una giovane idealista animata da una contagiosa missione – leggendo di lei ho pensato alla signorina Honey della Matilda di Dahl, il classico per l'infanzia –, che non vuole abbandonare, dimenticare, né voltare pagina. Un'eroina che alleggerisce le giornate storte con delicatezza, filosofeggiando sui proverbiali bicchieri mezzi pieni e sul privilegio immenso di cambiare – e incrociare – storie su storie.
Raccontami
di un secolo fa, nonna, cosa facevi davanti a un bambino in
difficoltà? […] Ripasso a mente i tuoi buoni consigli. Sposa un
uomo buono. Lavora in allegria. Sii gentile ma anche forte. Non ti
arrendere. Ama. Mira in alto quando lanci un sogno, poi vola per
riacchiapparlo, non è detto che ce la fai a riprenderlo ma almeno
vedi dove arrivi. La felicità è fatica. Si generosa, gentile, ma
arrabbiati se serve. Grida. Fatti sentire.
Cos'è
meglio per lei? Cosa per i suoi alunni? Poco male se in segreteria la considerano
una ruota di scorta, se del coro diretto con la maestra Livia si farà poi un
nulla di fatto. Nell'utopia che il mondo la chiami, Carolina Altieri
vive continue avventure: sempre di corsa, come in quella famosa
pubblicità; sempre sinceramente meravigliata, giacché lei in primis ha ancora molto da imparare. E, si spera, da raccontarci.
Ringrazio Mariafrancesca per la compagnia, il tempismo, il miele sul
bordo di un bicchiere altrimenti amarissimo da mandare giù. A fine
lettura ho cercato una mia maestra delle elementari su Facebook: in
famiglia ne ricordiamo ancora nome e cognome. Doveva avere
all'incirca l'età che ho io adesso e, dopo il primo anno di
elementari, l'aveva sostituita un'altra collega, un'altra precaria,
nel dispiacere generale della classe. Uno di questi giorni le inoltro la
richiesta d'amicizia, le chiedo se era proprio lei a impartire
lezioni d'italiano a Palermo nel 2001, le dico grazie perché
qualche decennio fa mi ha insegnato a leggere e scrivere. Quindi, a
vivere.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Cesare Cremonini – Possibili scenari