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venerdì 22 febbraio 2019

Recensione: Perduti nei Quartieri Spagnoli, di Heddi Goodrich

| Perduti nei Quartieri Spagnoli, di Heddi Goodrich. Giunti, € 19, pp. 460 |

Alcune prose ti portano lontano, nonostante storie e luoghi vicinissimi a te. Quando pensavi di sapere già tutto di un amore dal finale annunciato o di una regione in cui hai trascorso le estati d'infanzia, fino ad apprendere a dovere i segreti della parlata di nonna o del suo ragù speciale, a prenderti in contropiede sono le guide turistiche con le referenze sbagliate; con nomi stranieri che, all'apparenza, poco hanno da spartire con l'eredità e le contraddizioni di certi angoli di paradiso, sfuggenti perfino per chi ci è cresciuto. Manco a Napoli da un po', colpa di rapporti familiari diventati negli anni più facili da ignorare che altro, e mi aspettavo di farvi ritorno a breve con il terzo romanzo dell'Amica geniale. Alcune gite fuori porto, tuttavia, non le programmi. Arrivano biglietti omaggio dell'ultimo minuto, occasioni da afferrare al volo, o esordi che non sapevi di voler leggere fino a quanto non li hai stretti fra le mani. Mi è successo con Perduti nei Quartieri Spagnoli: poche pagine e, come da titolo, era troppo tardi. Mi ero perso: avevo scelto deliberatamente di farlo, nonostante non fosse un momento opportuno per darsi all'avventura, ai viavai, ai romanzi impegnativi. Ci ho messo una settimana abbondante a uscire da questo dedalo e, a fine lettura, la nostalgia superava il sollievo: io che eppure patisco i vicoli stretti e la gente rumorosa, i titoli di tendenza, e di solito non vedo l'ora di far ritorno nel porto sicuro di casa mia. È stato merito di un romanzo di formazione a confine con il memoir, dove a rivelarti le scorciatoie strategiche e gli scorci da immortalare in fotografia è un Cicerone straordinario: leggete bene, sì, Heddi Goodrich. Americana senza radici, girovaga per deformazione caratteriale, che in Campania aveva gettato gli ormeggi in nome dell'amore: correvano gli anni Novanta.

La città era acqua che mi colava dalle mani, e il solo amarla mi intristiva, soprattutto di notte. Era una malinconia che non riuscivo né a scacciare né a capire. Mi ero data a lei tutta quanta, forse anche a tradimento di me stessa, eppure dopo tutti questi anni Napoli mi teneva sempre a distanza. Vir' Napule e po' muor', si dice. Frase abusata che non avrei mai inserito in una conversazione ma che quella sera bisbigliai alla notte in quanto verità.

Ventitreenne iscritta a Lingue orientali, la studentessa fuori sede aveva una famiglia a Washington e una cerchia di amici stretti nei Quartieri: si cantavano tanto i Pearl Jam quanto i classici di Renato Carosone; ci si stringeva in appartamenti abusivi belli e pericolanti affacciati sul Vesuvio; si andava alla scoperta della Napoli sotterranea, del Cimitero delle Fontanelle, attratti irrimediabilmente da quei racconti folkloristici di gnomi dispettosi, teschi senza nome e vecchie indovine con lo sguardo al futuro. Lo scirocco sornione soffia, ti accarezza e t'importuna. Il vulcano, addormentato, tra sé e sé deve ribollire così come ribolle la giovane Heddi davanti alle gentilezze di Pietro. A una festa universitaria le ha regalato una cassetta con i successi musicali di quegli anni, e la protagonista non riesce a togliersi dalla testa i ritornelli della Franklin, degli U2, né lo spasimante: la bocca carnosa come un frutto proibito, le Marlboro nel taschino a dispetto dei polmoni fragili, un attaccamento alla terra difficile da comprendere fino in fondo – la stessa che esamina nei suoi studi di Geologia, la stessa che coltiva in una fattoria modesta in provincia di Avellino. Prendete Chiamami col tuo nome: quella passione viscerale sullo sfondo di una penisola coltissima, il suo epilogo agrodolce, e descrizioni di odori e sapori tanto suggestive da appagare i cinque sensi. Aggiungete all'incanto di Aciman il rione, reso lussuosissimo dal tocco di Elena Ferrante: il codice d'onore delle famiglie partenopee, i pregi e i difetti di culture affascinanti soltanto alla giusta distanza, i bagordi di veglioni di Capodanno che fanno schiantare dai balconi pallottole e lavatrici volanti. Il meglio che la nostra Italia è stata in grado di ospitare, fra cinema e letteratura, trova un incastro perfetto in un esordio che farà vendere e parlare: per fortuna, non l'operazione commerciale che qualcuno potrebbe supporre. Perduti nei Quartieri Spagnoli prende avvio dallo scambio di e-mail fra i protagonisti cresciuti: Heddi ha visto l'alba del nuovo millennio in Nuova Zelanda, Pietro ha lavorato su una piattaforma petrolifera per un po' prima di tornarsene al punto di partenza.

Ci mettemmo di nuovo come angeli dell'erba, stesi mano nella mano, abbandonati alla felicità. Nemmeno una nuvola. C'era soltanto uno strato di azzurro, uno strato di verde, e noi in mezzo come angeli caduti. Mi sembrò di vedere nel mondo, e nell'amore, la sua semplicità di base. Ed ebbi la sensazione che, invece di stare incollati alla terra, ce ne fossimo sradicati, che ci fossimo liberati perfino della gravità. Come piume.

Sappiamo in anticipo che li hanno separati il rapporto di amore-odio con Napoli, il peso dei vincoli, la differenza che passa fra voler bene e amare. Lei sempre in volo, lui che non ha mai preso un aereo; lei che lo invita ad Atene a conoscere la sua moderna famiglia allargata, lui che al contrario la porta in visita nell'angusta Vallesaccarda. Un paesino di provincia, devastato ancora dalle conseguenze del terremoto dell'Irpinia, in cui per la prima volta Heddie si sente una forestiera – colpa di una suocera dalle parole sporadiche e sentenziose e di un pronome personale, “edda”, che la bolla spietatamente come altro da loro. La Goodrich, eppure, parla un italiano perfetto e conosce sfumature dialettali che perfino a me, di mamma e padre casertani, talora sfuggono. Ha una dialettica fuori dall'ordinario e, durante la lettura, sorprende grazie a una lingua di cui è padrona esemplare e a pennellate precisissime. Scrive meravigliosamente bene, e noi abbiamo la fortuna di non leggerla in traduzione: impressiona realizzarlo, ma tant'è. Quest'autrice scrive in italiano e pensa in napoletano. Testimoni di un tale imprinting, mi sono scoperto commosso: gli occhi bruciavano qui e lì, e non soltanto per lo smog che evoca. Erano gli anni del servizio militare, della fiducia nel futuro, delle immagini da cartolina da smantellare. Di un'euforia involontaria, di un'anarchia che riguardava tanto il sesso quanto la politica, in cui si tremava di ingiustizia e grandi speranze. Non bastava rifugiarsi sotto il vano della porta per sfuggire al terremoto in agguato. La protagonista, così, si è resa irraggiungibile per non soffrire più. Da scambi iniziali in stile Le ho mai raccontato del vento del Nord, infatti, sappiamo che vive dove lui non potrà mai raggiungerla né dimenticarla. Colpa delle lingue diverse, degli stili di vita agli antipodi, dei mondi inconciliabili che passano fra chi torna e chi parte. Perduti nei Quartieri Spagnoli raccoglie tutto quello che resta. La bellezza di un accento riconoscibile fra mille, un briciolo di rimpianto, un odore che si insinua nei capelli o sui vestiti. Come olio per friggere le cotolette, i crocchè, la pasta di pane lievitata. 
Non basteranno i lavaggi. Non basterà l'impegno di scordarsi. Qualche parola in dialetto persiste, e resiste anche un po' d'amore. In un incredibile lessico sentimentale che supera con eleganza il tempo, lo spazio, l'intrico inestricabile delle viuzze, e punta con un colpo d'ala al cielo aperto. Un ritaglio di azzurro stentato, fra le lenzuola che sventolano, le sinfonie ritmiche di piatti e bicchieri, lo sfrigolare profumato del soffritto sul gas.
Il mio voto: ★★★★½
Il mio consiglio: Arisa – Vasame 

22 commenti:

  1. E io lo sapevo che questo era un bel libro! Avevo letto articoli che ne decantavano appunto la scrittura, tu lo confermi, scrive in italiano e pensa in napoletano rende l'idea!

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    1. Quel che si legge, per una volta, è proprio vero!

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  2. Questo romanzo mi ha incuriosita sin dal primo momento che ho saputo della sua pubblicazione, e data la rua valutazione non posso fare altro che leggerlo al più presto:)

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  3. Ti attendevo, dopo averlo notato sul tuo comodino, e come sempre sei stato illuminante per me che, spaventata un po' dalla mole, in un periodo in cui non riesco a tenere tra le mani libri alquanto voluminosi quantitativamente parlando, lo avevo puntato e poi depennato. Che grande errore visto il tuo 4 e mezzo. Allora prometto che ci provo :)

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    1. L'ho letto lentamente io, fra una cosa e l'altra, trascinandomelo un po' in un periodo di fuoco. Però è un falso mattone, te lo assicuro. Capitoli scorrevoli, font grande, storia appassionantissima. Certo, meglio aspettare il momento giusto!

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    1. Assolutamente, è un imperativo categorico questa volta!

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  5. Quindi questo potrebbe essere il nuovo caso editoriale dopo L'amica geniale?
    Prenoto già la visione della Rai Fiction. :)

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  6. Invece, da Napoletana, lo considero la solita americanata banale e superficiale, un libro così pieno di stereotipi e pregiudizi da risultare offensivo e già, per questo, oggetto di boicottaggio in città. L’unico miracolo compiuto dall’autrice è essere riuscita a unire nell’indignazione Napoli e Avellino con relative province, insultate entrambi. Nel descrivere la città l’autrice dimostra una totale mancanza di spessore, di cultura e di sensibilità, riducendo gli italiani a stereotipi macchiettistici. Il suo scritto è una summa di tutti i motivi per cui in città non vogliamo americani: dobbiamo aiutarli a casa loro

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    1. Anna, però citarmi quello lì no, manco ironicamente.
      Ovviamente ironico anche io, i gusti sono gusti, ma la qualità della scrittura per me è indiscussa. Avrei più da ridire comunque sulla solita Napoli criminale che sbanca al Festival di Berlino, non su questa, guardata semplicemente con gli occhi di una turista innamorata. Io che napoletano non sono al cento percento, ma con dalla mia una tesi sul teatro post-eduardiano e studi vicini a quelli dell'autrice, le perdono i cliché di sorta che, non a torto, dici tu.

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    2. Irrompo in questa conversazioni di anni fa solo perché oggi ho terminato il libro in questione. Concordo sulla qualità di scrittura indubbia e, aggiungo, v'è un ritmo dei pensieri davvero attanagliante per il lettore, sebbene non accada tantissimo. Un unico appunto che contiene uno spoiler potenziale: mi aspettavo un finale più da climax ascendente, invece finisce con una linea retta senza picchi. Ciò non scalfisce il fatto che il libro meriti tanto. Anche a me ha stupito come una statunitense scriva in quell'italiano tipico di chi parla spesso in dialetto napoletano, peraltro in maniera consapevole e misurata. Vorrei leggere un libro di tale lunghezza anche su tutti gli antefatti, che parta dall'arrivo di Heddi in Campania.

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  7. Uh un bel romanzo che pare meriti davvero! Grazie, accetto il suggerimento :)

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  8. già sai, e a leggere le tue parole ce ne si innamora due volte :)

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  9. Pare proprio sia l'epoca dei tomoni! Tutti i libri che sto segnando come meritevoli si attestano sulle 500 pagine e oltre, una disdetta per chi sfrutta i ritagli di tempo, come sono costretta a fare io in questo periodo. Ma dopo parole come queste non mi resta che metterlo in lista ;)
    Stefi

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    1. Come dicevo sopra, per fortuna, è un falso tomone. Si legge in fretta! :)

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  10. Ok mi hai convinta... lo metto subito nella mia WL
    Complimenti per lo scatto è veramente bello, semplice ma d'impatto grazie al rosso dei pomodorini :-)

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  11. l ho appena comprato da napoletana verace spero che non mi deluderà le recensioni mi sembrano buone vedremo....

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