| L’avversario, di Emmanuel Carrère. Adelphi, € 17, pp. 169
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Ho scoperto la tragedia greca negli anni del liceo classico. Personaggi oscuri, argomenti tabù, epiloghi sanguinosi. Ma, al termine di un'inarrestabile catena di nefandezze, ecco sopraggiungere la catarsi. Ci si può sentire liberati dopo una lunga esposizione alla violenza? Può la sperimentazione del male renderci meno estraneo il prossimo nostro? Emmanuel Carrère, oggi autore che non ha bisogno di presentazioni, al tempo dei fatti era conosciuto soprattutto come critico cinematografico. Fu un caso di cronaca nera a ossessionarlo e consacrarlo, facendone un osservatore più attento e, soprattutto, un narratore più empatico. In una comunità tra la Francia e la Svizzera, nei primi anni Novanta, lo stimatissimo Jean-Claude Romand sterminò i suoi cari. Se il gesto non ci stupisce, tristemente assuefatti come siamo a notizie altrettanto agghiaccianti, a farci rabbrividire è il resto della vicenda: la vita dell'assassino (medico presso l'OMS, padre amorevole, figlio devoto) era, infatti, una menzogna. Non era nemmeno laureato.
Una dolorosa lucidità è preferibile a una pace illusoria.
Narcisista patologico, impostore, mitomane, Romand raccontava bugie da vent'anni. E da vent'anni, invano, aspetta di essere scoperto. Come hanno potuto gli amici, i parenti, l'amante, credergli? In che modo ha pagato la scuola privata ai due figli, le macchine costose, i viaggi all'estero? Cosa faceva tutte le mattine quando non andava a lavorare? Sulle sue orme, Carrère gli scrive lettere; lo studia durante il processo, per poi vederlo diventare un detenuto modello; immagina di seguirlo nei parcheggi desolati, nelle stanze d'albergo, nei vuoti di una routine fantasma. Romand aveva una doppia identità o, a ben vedere, nessuna? Come Capote prima di lui, come Lagioia dopo, Carrère mette una scrittura dalla lucidità giornalistica al servizio della verità - sempre che esista. E, in un reportage che ha il ritmo dei migliori thriller, scandaglia una famiglia all'apparenza divorata dalla putredine e gli abissi di un personaggio pirandelliano.
Di norma una bugia serve a nascondere una verità, magari qualcosa di vergognoso, ma reale. La sua non nascondeva nulla. Sotto il falso dottor Romand non c’era un vero Jean-Claude Romand.
Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Talking Heads - Psycho Killer