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venerdì 27 dicembre 2024

Made in Italy: The Bad Guy | Storia della bambina perduta | Qui non è Hollywood | Hanno ucciso l'Uomo Ragno

È una delle serie dell’anno corrente, ma lo sarebbe stata anche di quello passato. L’ho recuperata in ritardo, con ben due stagioni a disposizione. The Bad Guy non è ciò che sembra. Vedi Lo Cascio, leggi “mafia”, immagini la solita serie italiana: un giudice coraggioso, una lotta prometeica, una morte gloriosa. Dimenticatelo. Perché Nino, da anni impegnato nella caccia al latitante Suro, viene incastrato. Creduto morto, torna con una nuova identità. Non vuole vendicarsi soltanto del boss, ma dello Stato. Intrigante come il Conte di Montecristo, caustico come Walter White, un brillante Lo Cascio compie una rapida ascesa al fianco dei cattivi. Riuscirà a non sporcarsi le mani, tra pizzi, appalti e clan da aizzare l’uno contro l’altro? Dirige un duo, ma, nonostante lo splatter e l’ironia pungente, non si tratta dei Coen. Vulcanici e con ambizioni internazionali, Fontana e Stasi guidano un cast in stato di grazia – al suo meglio Pandolfi, sorprendente Catania, folgoranti Maenza e Caramazza – in una commedia nera che immagina un covo criminale in un parco acquatico e perfino il ponte sullo Stretto. Tra una risata e l’altra, non mancano cenni all’attualità né invettive. Nemmeno il Ministro degli Interni è senza colpe: ha assoldato il sicario Accorsi per mettere a tacere ogni dissenso. Il più buono, insomma, ha la rogna. Il più cattivo, invece, si è meritato una serie così. (8,5)

Lila e Lenù ci dicono addio per sempre. A sei anni dalla prima stagione, a dieci dall’ultimo romanzo, si congedano. Mazzucco e Girace, troppo giovani per interpretare due quarantenni, cedono il posto a Rohrwacher e Maiorino seminando qualche dissenso in rete. Mentre Maiorino non scontenta, aiutata da una forte somiglianza con l’interprete precedente e da una napoletanità che la rende, a tratti, troppo teatrale, Rohrwacher è stata una scommessa vinta: il suo accento lascia un po’ a desiderare, ma compensa con due occhi parlanti, silenzi pieni di significato e un fascino che ricorda quello di Monica Vitti. La migliore del cast, però, è Vitolo: nei panni dell’anziana Imma è di un’intensità straziante. Dirige Bispuri, finalmente una donna, e si nota dai dettagli. Entrambe nel rione, entrambe madri, le protagoniste tornano inseparabili come lo erano da bambine. Ma, tra le macchinazioni dei Solara e una tragica sparizione, perfino dieci episodi sembrano pochi per contenere i misteri della “smarginata” Lila. Nonostante la cura di regista e sceneggiatori, Storia della bambina perduta non è stata accolta all’unanimità: è l’adattamento più arduo dei quattro. Matura ma imperfetta, densa ma dalla forza altalenante, la quarta stagione ci lascia definitivamente orfani di Ferrante. (7,5)

Perché siamo tutti ossessionati dalle serie true crime, ma ci indigniamo quando a produrle sono gli italiani? Accolta tra polemiche e sabotaggi – troppo brutto il poster, troppo messa in cattiva luce l’innominabile Avetrana –, la serie del sorprendente Pippo Mezzapesa è da vedere senza pregiudizi di sorta. Asciutta e accurata, ma caratterizzata da uno sguardo fortemente autoriale a metà tra il cinema grottesco dei Fratelli D’Innocenzo e i southern gothic americani, non cede a facili illazioni. Qui non è Hollywood vuole raccontare l’irrequietezza adolescenziale, una provincia da Far West, lo sciacallaggio a opera di giornalisti e compaesani: mai proporre nuove ipotesi a proposito di colpevoli presunti o moventi. Quattro episodi, quattro punti di vista, un cast impreziosito da alcuni fra gli attori più intensi dell’annata: le irriconoscibili Perulli e Scalera, al centro di una impressionante trasformazione da Actors Studio, e uno struggente De Vita. Il risultato è un folk horror dall'impianto originalissimo. Un meticoloso scavo psicologico. Un’ode alle gioventù invisibili, mentre i Queen cantano di eternità e gli altri, indifferenti, passano oltre: perché il tuo caso, Sarah, ormai conta più di te. Questa serie, a quindici anni dal delitto, ripristina finalmente l’ordine. (7,5)

Non è necessario essere fan accaniti della musica degli 833 per recuperare e amare la serie TV a loro dedicata. L’ottimo Sidney Sibilia, da sempre appassionato di strane storie vere, utilizza l’ascesa del curioso duo di Pavia per raccontarci la provincia italiana, l’industria musicale degli anni Novanta, la storia di un’amicizia lunga e ispiratissima. Dalla scoperta casuale della musica (tutto per conquistare la ragazza più bella del liceo) alla fatica per imporsi (a dispetto del successo istantaneo riscosso, i nostri eroi erano considerati troppo impresentabili per la televisione), la prima stagione della serie Sky è molto più che un canonico biopic: un feel-good movie lungo otto ore che funziona sia come appassionante romanzo di formazione, sia come juke-box tutto da cantare. Tra disavventure rocambolesche e cameo divertentissimi (i giovani Fiorello, Jovanotti, Maria De Filippi), Hanno ucciso l'Uomo Ragno si rivela un’ode al cuore puro di Repetto. Max Pezzali cantava. Cosa faceva, invece, il danzerino Mauro? Ancora prima che esistessero, era il più grande fan degli 833. Come Elia Nuzzolo, bravo ma acerbo, avremmo tutti bisogno di un motivatore che somigli a Matteo Oscar Giuggioli: è nato un nuovo stato d'animo, è nata una star. (8)

9 commenti:

  1. Ciao Ink, mi incuriosisce molto la serie sugli 883 e vorrei recuperarla presto, mentre ho seguito e apprezzato quella de "L'amica geniale"... buone feste :-)

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    1. Ciao Ariel, buone feste a te! La serie sugli 883 è deliziosa, e presto ci sarà una seconda stagione!

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  2. Pure qui in superfissa con gli 883. Non mi aspettavo una serie così bella e ben realizzata, davvero una sorpresa! La signora JeanJacques invece mi ha cost... ehm... fatto seguire con lei la serie della Ferrante, e sinceramente rimango delle mie idee delle poche puntate viste della prima: bravi tutti, ma a differenza dei libri, qui proprio non ce la faccio.

    Avetrana la vedrò a breve. E dire che ai primi annunci non gli avrei dato mezzo tallero...

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    1. Il cast di Avetrana, per me, è tra i meglio assortiti dell'anno. Tutti bravissimi, mamma mia, e non era facile con tutti i nostri fiati puntati sul collo.

      La saga letteraria di Ferrante non si batte, però l'impegno e l'amore di chi ha lavorato alla serie è davvero commovente. A misura di fan.

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  3. Sibilia è sempre una garanzia, non sarà un genio ma non delude mai.
    D'accordo anche su L'Amica Geniale: è vero, la quarta stagione non è all'altezza delle precedenti ma si rimane su standard elevatissimi. Il voto è giusto se limitato a questi ultimi dieci episodi, ma nel complesso l'intera opera (per me) è da 9 pieno. E il finale è struggente da morire...

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    1. Purtroppo, non perdono alla serie di avere omesso un dettaglio importantissimo. Lila si allontana da Lenù, oltre che per il dolore della scomparsa della piccola, perché l'amica scrittrice pubblica un romanzo sulla loro storia. E cerca, in qualche modo, di catturare su carta la smarginata Lila. Per me dettaglio vitale, purtroppo, anche se resta un ottimo lavoro!

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  4. The Bad Guy è una serie valida, però continua a non appassionarmi più di tanto, la seconda stagione come la prima.

    Preferisco nettamente le altre, su tutte una Hanno ucciso l'Uomo Ragno che da storico anti-883 quale ero sempre stato non mi aspettavo proprio mi sarebbe piaciuta tanto :)

    Lacrimuccia per la fine de L'amica geniale

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    1. The Bad Guy per me rivelazione dell'anno. Confido in un rinnovo, altrimenti il mio cuoricino si spezza.

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  5. Hanno ucciso l'Uomo Ragno? Indubbiamente e semplicemente la migliore serie italiana del 2024!

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