Sotto
Natale sono stato a vedere Pinocchio in una
sala piena di bambini. Solo e sospetto, ironicamente mi ero domandato: mi arresteranno
a fine visione? Se io sono tutt'ora in libertà, forse arresteranno per
mancanza di idee i cineasti di mezzo mondo. Questo è il pensiero che
salta in mente davanti all’ennesimo rifacimento non richiesto,
nonostante a dirigerlo sia chiamato un maestro del panorama italiano. Garrone traspone Collodi con fedeltà e rispetto estremi, ma
la storia del burattino di legno che si sognava bambino in carne e
ossa al cinema risulta piuttosto pesante a causa di una struttura
fatta di continui andirivieni e ripensamenti, che rendono le due ore
di visione estenuanti e ripetitive. Problema non della sceneggiatura, ma del romanzo stesso: non a caso la storia funziona meglio
su carta oppure divisa a puntate, come succedeva già nell’adorata
versione di Comencini. Il film nulla aggiunge e nulla toglie alla
fama della fiaba e brilla unicamente per la magnificenza del comparto
tecnico – trucco, scenografie, costumi – senza quasi mai
ricorrere alla computer grafica: la resa di due personaggi – il
grillo parlante e il tonno, bruttini – sarebbe stata però da
rivedere. Il cast è costituito da grandi caratteristi nostrani,
spesso resi irriconoscibili dal make-up, e brillano unicamente il
Geppetto di Benigni e il piccolo protagonista, che tra la
voce fragorosa e la “s” sibilante offre un’interpretazione
sempre naturale. Algido e frettoloso, non aiutato dalla colonna
sonora di uno svogliato Marianelli, Pinocchio non ha nemmeno
il senso di meraviglia del Racconto dei racconti: film sì
divisivo, ma in grado di mescolare con dosi più giuste realismo e
magia. Diffidate da chi
vi racconta sia bello. Diffidate da chi, al contrario, ve ne dice
peste e corna. A entrambi, infatti, si allungherebbe il naso. (6)
La
fortuna è cieca. La sceneggiatura dell’ultimo Ozpetek, purtroppo,
peggio. A un certo punto si muove a tentoni; arraffa alla rinfusa
tematiche, personaggi, scene madri; sbatte contro il ridicolo
involontario di un viaggio in Sicilia completamente da dimenticare.
Com’è possibile se la prima metà del film, al contrario,
brillava di luce propria? Come, ancora, se questa volta il regista italo-turco è molto più nel
suo – amicizia, amori, omosessualità, epiloghi da incorniciare?
Salutato dai più come un ritorno alle origini, La dea fortuna
parte bello e festosissimo nonostante i musi lunghi di Accorsi e
Leo: coppia agli sgoccioli che ritrova slancio grazie ai figli di una
cagionevole Trinca, di cui nessun’altro a parte loro parrebbe prendersi cura.
Costellato di momenti poetici, di dialoghi tanto spietati quanto
veritieri, il melodramma ha un cast in stato di grazia – Leo su
tutti – ed emoziona quando racconta in tutta la sua universalità
il rapporto di una coppia in crisi. A un certo punto, però,
s’intromette la bella canzone di Mina a far da spartiacque: e il
film trova ville da incubo e nonne streghe, che danno a una
produzione per il resto equilibrata toni grotteschi e orrorifici. Si
guasta all’improvviso allora, lasciando più arrabbiati che delusi.
Passi pure la dimensione corale presto accantonata. Passi il
messaggio, per me discutibile, che una coppia abbia bisogno di un
figlio per cementificare l’amore. Passi la presenza della malattia,
tematica francamente superflua. Ma perché Barbara Alberti in veste
d’attrice? Ozpetek è un regista sensibile e un autore attento. Ma le sue fate ignoranti risultavano più
moderne – e meno trash – vent’anni fa, quando di uomini e
triangoli sentimentali nessuno osava parlare. (6,5)
Se
in un’altra vita fossi un attore famoso, sognerei gli stessi ruoli
da protagonista di Luca Marinelli. Per fortuna mi limito a guardare, e in poltrona
ogni volta mi godo la bravura dell’attore romano. E quelle
somiglianze caratteriali impercettibili che da Virzì a Mieli, fino
ad arrivare a questo film del documentarista Pietro Marcello, ci rendono simili.
Avido, ambizioso e sognatore, l'eroe eponimo colleziona
lettere di rifiuto e porte in faccia: marinaio dall’istruzione
elementare, studia da autodidatta soltanto per amore di Elena ma le
soddisfazioni professionale – vorrebbe diventare scrittore –
faticano ad arrivare. Né abbastanza acculturato né abbastanza
rozzo, eppure senza mezze misure, lavora a racconti sordidi e si
lascia tentare dalla vita politica. Quello di Martin è un
personaggio che ho amato immensamente. Alla perfetta riuscita della prima parte, però, segue la
pesantezza annichilente della seconda. Dove un melodramma raffinato e
postmoderno si carica di connotazioni politiche di troppo; di
discorsi densi e carichi, che nel bene e nel male gettano il
personaggio sotto un’altra luce. E l’interpretazione di Marinelli
– protagonista di una corruzione fisica e morale che lo
imbruttisce e abbruttisce – si fa affamata, folle, grazie una regia
dalle influenze documentaristiche e una colonna sonora un po’
francese, un po’ napoletana, un po’ elettronica. La cultura rende
liberi o prigionieri? Si sta meglio nell’ignoranza? Il successo
letterario, croce e delizia, è paragonabile a una nave alla deriva? Questo lupo di
mare, infine, abbandona il timone per una macchina da scrivere. E forse scopre
sé stesso, forse si tradisce. Forse annega, o forse nuota. (8)
Un
bambino servito e riverito, protetto ai limiti della prigionia. Una
madre imperscrutabile e vendicativa, circondata da domestici e
figuranti sinistri. Gli ingredienti della loro convivenza infernale: nebbie
perenni, crocifissi, musica classica. Il loro esilio forzato, retto da
regole ferree, è una distopia a fin di bene? Nella casa entra presto il rock di Where
is my mind. Entra un’adolescente in fuga, bella e ribelle, che
tenta il protagonista con l’idea esecrabile della libertà. Il sorprendente e italianissimo The Nest, apprezzato da pubblico e critica internazionali, è un Lanthimos ad
altezza bambino dislocato però nei castelli infestati della narrativa gotica Shirley
Jackson. Ha sì qualche neo, ad esempio un colpo di scena finale che
non convince del tutto, ma anche un buon gusto fuori dall’ordinario:
vedasi la fotografia cupa e i costumi impeccabili, le scenografie eleganti come nel migliore cinema asiatico. Se la delicatezza della sceneggiatura ci regala
danze incantevoli e sevizie da autentico teatro degli orrori, sono però la
regia del trentottenne Roberto De Feo e l’intensità degli interpreti – su tutti Francesca
Cavallin, di solito relegata a ruoli televisiva ma qui degna rivale degli antagonisti del Racconto dell’ancella
– che ne fanno un esordio da incorniciare seduta stante. Un nido implica conforto,
sicurezza, riparo. Ma in cima a un albero contribuisce a renderci
isolati e irraggiungibili. Si può ingannare la crescita? Si può
frenare la curiosità? Si può dimenticare il mondo? Le risposte,
benché siano a volte un po' troppe, costituiscono un incubo familiare da cui non ci vorremmo
svegliare. (7,5)
The nest piacevolissima sorpresa!
RispondiEliminaLa sceneggiatura è da rivedere, ma il regista ha una mano già bellissima. Complimenti a lui.
EliminaPs. Poi la Cavallin è una attrice TV, ha fatto cose come Un medico in famiglia, ma qui per me è grandiosa.
Visti solo Pinocchio e The Nest, La dea fortuna avrei voluto vederlo al cinema durante le vacanze di Natale, ma mi sono ammalato. Comunque
RispondiEliminaPinocchio: concordo con te, anche sul voto. Rimane un film magico, ma con qualche difetto e una narrazione troppo spezzettata per i miei gusti.
The Nest: visto al cinema la scorsa estate, l'ho adorato dall'inizio alla fine, ha una buonissima regia e sul finale sono letteralmente rimasto a bocca aperta (sì lo so che buona parte delle persone avevano già capito tutto, ma io su ste cose sono tardo come pochi)
Ahahahah, meglio così, ti godi di più film e colpi di scena!
EliminaSinceramente Martin Eden mi attira poco, al contrario The Nest molto, sperando sia sulla scia positiva del cinema italiano di adesso ;)
RispondiEliminaIo invece insisto con Martin, perché va consigliato in lungo e in largo. Scommetto che la sua intensità potrebbe conquistarti.
EliminaConcordo solo in parte su Pinocchio. Per quanto mi riguarda, sono stati aggiunti aspetti che in altri film non ci sono stati. E devo dire che si ha una visione più accurata del protagonista, Pinocchio, la sua crescita, il suo modo di interpretare il mondo, che in altri film non ho visto. Mi rendo conto che questo film ha diviso molti filmografili, ma stranamente a me è piaciuto ☺️☺️☺️ Martin Eden invece non l'ho ancora visto, ma prima mi piacerebbe leggere il romanzo e poi vedere il film ☺️
RispondiEliminaVerissimo, hanno aggiunto altro, ad esempio la fata bambina e la sua adorabile aiutante, però mi è mancato l'effetto sorpresa.
EliminaCiao Ink, non ho visto nessuno di questi film, ma penso che recupererò di sicuro "Pinocchio" e forse anche "Martin Eden" :-)
RispondiEliminaMartin Eden consigliatissimo.
Eliminaozpetek è un regista che apprezzo molto, son curiosa di vedere La Dea fortuna, spero non mi deluda :-D
RispondiEliminaThe Nest non lo conoscevo, sembra interessante!!
La dea fortuna è meglio di Napoli velata, ma peggio di altri. Un Ozpetek nella media, che cita troppo sé stesso...
EliminaMi si allungherebbe il naso, se dicessi che questo nuovo Pinocchio mi attira. O se dicessi che qualunque versione di Pinocchio mi attira, a dire la verità. Cosa a cui il burattino è allergico. :)
RispondiEliminaLa tua recensione conferma in più i miei timori di inutilità dell'operazione...
Martin Eden e The Nest neppure mi attirano, però dovrei fidarmi della tua esaltazione, giusto?
La dea fortuna invece continua a incuriosirmi, anche se non ne sto sentendo parlare granché bene, e probabilmente avete ragione voi. :)
Secondo me, soprattutto The Nest, lo apprezzerei. Martin Eden chissà. Oggettivamente è lento e un po' pesante, ma non vuoi sapere perché Marinelli ha rubato la Coppa a Phoenix?
EliminaNon ne ho visto neanche uno, e vorrei vederli tutti.
RispondiEliminaSoprattutto Pinocchio. Il libro ce l'ho inciso nel cuore.
Prima o poi lo leggerò anche io. Al cinema, in ogni versione, purtroppo mi annoia un po'.
EliminaIo purtroppo Martin Eden l'ho patito davvero tanto.
RispondiEliminaPesante nei comizi politici, lento nel resto, con accenti che si cambiano, anni che passano in fretta... non so, Marinelli a parte proprio non mi ha convinto, non mi è rimasto.
Così come Pinocchio, fatto a capitoli, ma qui è la storia di per sé che non mi ha mai appassionata.
La Dea Fortuna nella parte romana è approvazione piena, e un giorno vorrei Ozpetek come arredatore di interni.
Sai che secondo me il clima pesante di Venezia, festival fatto tutto di film lunghi e impegnatissimi, a volte ti fa attivare stanca ai film? Visto con rilassatezza, in una serata tranquilla, l'ho trovato proprio splendido e immersivo. Voglio leggere assolutamente London adesso.
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