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sabato 25 gennaio 2020

Mr. Ciak: Pinocchio | La dea fortuna | Martin Eden | The Nest

Sotto Natale sono stato a vedere Pinocchio in una sala piena di bambini. Solo e sospetto, ironicamente mi ero domandato: mi arresteranno a fine visione? Se io sono tutt'ora in libertà, forse arresteranno per mancanza di idee i cineasti di mezzo mondo. Questo è il pensiero che salta in mente davanti all’ennesimo rifacimento non richiesto, nonostante a dirigerlo sia chiamato un maestro del panorama italiano. Garrone traspone Collodi con fedeltà e rispetto estremi, ma la storia del burattino di legno che si sognava bambino in carne e ossa al cinema risulta piuttosto pesante a causa di una struttura fatta di continui andirivieni e ripensamenti, che rendono le due ore di visione estenuanti e ripetitive. Problema non della sceneggiatura, ma del romanzo stesso: non a caso la storia funziona meglio su carta oppure divisa a puntate, come succedeva già nell’adorata versione di Comencini. Il film nulla aggiunge e nulla toglie alla fama della fiaba e brilla unicamente per la magnificenza del comparto tecnico – trucco, scenografie, costumi – senza quasi mai ricorrere alla computer grafica: la resa di due personaggi – il grillo parlante e il tonno, bruttini – sarebbe stata però da rivedere. Il cast è costituito da grandi caratteristi nostrani, spesso resi irriconoscibili dal make-up, e brillano unicamente il Geppetto di Benigni e il piccolo protagonista, che tra la voce fragorosa e la “s” sibilante offre un’interpretazione sempre naturale. Algido e frettoloso, non aiutato dalla colonna sonora di uno svogliato Marianelli, Pinocchio non ha nemmeno il senso di meraviglia del Racconto dei racconti: film sì divisivo, ma in grado di mescolare con dosi più giuste realismo e magia. Diffidate da chi vi racconta sia bello. Diffidate da chi, al contrario, ve ne dice peste e corna. A entrambi, infatti, si allungherebbe il naso. (6)

La fortuna è cieca. La sceneggiatura dell’ultimo Ozpetek, purtroppo, peggio. A un certo punto si muove a tentoni; arraffa alla rinfusa tematiche, personaggi, scene madri; sbatte contro il ridicolo involontario di un viaggio in Sicilia completamente da dimenticare. Com’è possibile se la prima metà del film, al contrario, brillava di luce propria? Come, ancora, se questa volta il regista italo-turco è molto più nel suo – amicizia, amori, omosessualità, epiloghi da incorniciare? Salutato dai più come un ritorno alle origini, La dea fortuna parte bello e festosissimo nonostante i musi lunghi di Accorsi e Leo: coppia agli sgoccioli che ritrova slancio grazie ai figli di una cagionevole Trinca, di cui nessun’altro a parte loro parrebbe prendersi cura. Costellato di momenti poetici, di dialoghi tanto spietati quanto veritieri, il melodramma ha un cast in stato di grazia – Leo su tutti – ed emoziona quando racconta in tutta la sua universalità il rapporto di una coppia in crisi. A un certo punto, però, s’intromette la bella canzone di Mina a far da spartiacque: e il film trova ville da incubo e nonne streghe, che danno a una produzione per il resto equilibrata toni grotteschi e orrorifici. Si guasta all’improvviso allora, lasciando più arrabbiati che delusi. Passi pure la dimensione corale presto accantonata. Passi il messaggio, per me discutibile, che una coppia abbia bisogno di un figlio per cementificare l’amore. Passi la presenza della malattia, tematica francamente superflua. Ma perché Barbara Alberti in veste d’attrice? Ozpetek è un regista sensibile e un autore attento. Ma le sue fate ignoranti risultavano più moderne – e meno trash – vent’anni fa, quando di uomini e triangoli sentimentali nessuno osava parlare. (6,5)

Se in un’altra vita fossi un attore famoso, sognerei gli stessi ruoli da protagonista di Luca Marinelli. Per fortuna mi limito a guardare, e in poltrona ogni volta mi godo la bravura dell’attore romano. E quelle somiglianze caratteriali impercettibili che da Virzì a Mieli, fino ad arrivare a questo film del documentarista Pietro Marcello, ci rendono simili. Avido, ambizioso e sognatore, l'eroe eponimo colleziona lettere di rifiuto e porte in faccia: marinaio dall’istruzione elementare, studia da autodidatta soltanto per amore di Elena ma le soddisfazioni professionale – vorrebbe diventare scrittore – faticano ad arrivare. Né abbastanza acculturato né abbastanza rozzo, eppure senza mezze misure, lavora a racconti sordidi e si lascia tentare dalla vita politica. Quello di Martin è un personaggio che ho amato immensamente. Alla perfetta riuscita della prima parte, però, segue la pesantezza annichilente della seconda. Dove un melodramma raffinato e postmoderno si carica di connotazioni politiche di troppo; di discorsi densi e carichi, che nel bene e nel male gettano il personaggio sotto un’altra luce. E l’interpretazione di Marinelli – protagonista di una corruzione fisica e morale che lo imbruttisce e abbruttisce – si fa affamata, folle, grazie una regia dalle influenze documentaristiche e una colonna sonora un po’ francese, un po’ napoletana, un po’ elettronica. La cultura rende liberi o prigionieri? Si sta meglio nell’ignoranza? Il successo letterario, croce e delizia, è paragonabile a una nave alla deriva? Questo lupo di mare, infine, abbandona il timone per una macchina da scrivere. E forse scopre sé stesso, forse si tradisce. Forse annega, o forse nuota. (8)

Un bambino servito e riverito, protetto ai limiti della prigionia. Una madre imperscrutabile e vendicativa, circondata da domestici e figuranti sinistri. Gli ingredienti della loro convivenza infernale: nebbie perenni, crocifissi, musica classica. Il loro esilio forzato, retto da regole ferree, è una distopia a fin di bene? Nella casa entra presto il rock di Where is my mind. Entra un’adolescente in fuga, bella e ribelle, che tenta il protagonista con l’idea esecrabile della libertà. Il sorprendente e italianissimo The Nest, apprezzato da pubblico e critica internazionali, è un Lanthimos ad altezza bambino dislocato però nei castelli infestati della narrativa gotica Shirley Jackson. Ha sì qualche neo, ad esempio un colpo di scena finale che non convince del tutto, ma anche un buon gusto fuori dall’ordinario: vedasi la fotografia cupa e i costumi impeccabili, le scenografie eleganti come nel migliore cinema asiatico. Se la delicatezza della sceneggiatura ci regala danze incantevoli e sevizie da autentico teatro degli orrori, sono però la regia del trentottenne Roberto De Feo e l’intensità degli interpreti – su tutti Francesca Cavallin, di solito relegata a ruoli televisiva ma qui degna rivale degli antagonisti del Racconto dell’ancella – che ne fanno un esordio da incorniciare seduta stante. Un nido implica conforto, sicurezza, riparo. Ma in cima a un albero contribuisce a renderci isolati e irraggiungibili. Si può ingannare la crescita? Si può frenare la curiosità? Si può dimenticare il mondo? Le risposte, benché siano a volte un po' troppe, costituiscono un incubo familiare da cui non ci vorremmo svegliare. (7,5)

18 commenti:

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    1. La sceneggiatura è da rivedere, ma il regista ha una mano già bellissima. Complimenti a lui.

      Ps. Poi la Cavallin è una attrice TV, ha fatto cose come Un medico in famiglia, ma qui per me è grandiosa.

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  2. Visti solo Pinocchio e The Nest, La dea fortuna avrei voluto vederlo al cinema durante le vacanze di Natale, ma mi sono ammalato. Comunque

    Pinocchio: concordo con te, anche sul voto. Rimane un film magico, ma con qualche difetto e una narrazione troppo spezzettata per i miei gusti.

    The Nest: visto al cinema la scorsa estate, l'ho adorato dall'inizio alla fine, ha una buonissima regia e sul finale sono letteralmente rimasto a bocca aperta (sì lo so che buona parte delle persone avevano già capito tutto, ma io su ste cose sono tardo come pochi)

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    1. Ahahahah, meglio così, ti godi di più film e colpi di scena!

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  3. Sinceramente Martin Eden mi attira poco, al contrario The Nest molto, sperando sia sulla scia positiva del cinema italiano di adesso ;)

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    1. Io invece insisto con Martin, perché va consigliato in lungo e in largo. Scommetto che la sua intensità potrebbe conquistarti.

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  4. Concordo solo in parte su Pinocchio. Per quanto mi riguarda, sono stati aggiunti aspetti che in altri film non ci sono stati. E devo dire che si ha una visione più accurata del protagonista, Pinocchio, la sua crescita, il suo modo di interpretare il mondo, che in altri film non ho visto. Mi rendo conto che questo film ha diviso molti filmografili, ma stranamente a me è piaciuto ☺️☺️☺️ Martin Eden invece non l'ho ancora visto, ma prima mi piacerebbe leggere il romanzo e poi vedere il film ☺️

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    1. Verissimo, hanno aggiunto altro, ad esempio la fata bambina e la sua adorabile aiutante, però mi è mancato l'effetto sorpresa.

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  5. Ciao Ink, non ho visto nessuno di questi film, ma penso che recupererò di sicuro "Pinocchio" e forse anche "Martin Eden" :-)

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  6. ozpetek è un regista che apprezzo molto, son curiosa di vedere La Dea fortuna, spero non mi deluda :-D
    The Nest non lo conoscevo, sembra interessante!!

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    1. La dea fortuna è meglio di Napoli velata, ma peggio di altri. Un Ozpetek nella media, che cita troppo sé stesso...

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  7. Mi si allungherebbe il naso, se dicessi che questo nuovo Pinocchio mi attira. O se dicessi che qualunque versione di Pinocchio mi attira, a dire la verità. Cosa a cui il burattino è allergico. :)
    La tua recensione conferma in più i miei timori di inutilità dell'operazione...

    Martin Eden e The Nest neppure mi attirano, però dovrei fidarmi della tua esaltazione, giusto?

    La dea fortuna invece continua a incuriosirmi, anche se non ne sto sentendo parlare granché bene, e probabilmente avete ragione voi. :)

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    1. Secondo me, soprattutto The Nest, lo apprezzerei. Martin Eden chissà. Oggettivamente è lento e un po' pesante, ma non vuoi sapere perché Marinelli ha rubato la Coppa a Phoenix?

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  8. Non ne ho visto neanche uno, e vorrei vederli tutti.
    Soprattutto Pinocchio. Il libro ce l'ho inciso nel cuore.

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    1. Prima o poi lo leggerò anche io. Al cinema, in ogni versione, purtroppo mi annoia un po'.

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  9. Io purtroppo Martin Eden l'ho patito davvero tanto.
    Pesante nei comizi politici, lento nel resto, con accenti che si cambiano, anni che passano in fretta... non so, Marinelli a parte proprio non mi ha convinto, non mi è rimasto.
    Così come Pinocchio, fatto a capitoli, ma qui è la storia di per sé che non mi ha mai appassionata.

    La Dea Fortuna nella parte romana è approvazione piena, e un giorno vorrei Ozpetek come arredatore di interni.

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    1. Sai che secondo me il clima pesante di Venezia, festival fatto tutto di film lunghi e impegnatissimi, a volte ti fa attivare stanca ai film? Visto con rilassatezza, in una serata tranquilla, l'ho trovato proprio splendido e immersivo. Voglio leggere assolutamente London adesso.

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