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venerdì 12 aprile 2019

Recensione: Chi ha rubato Annie Thorne?, di C.J. Tudor

| Chi ha rubato Annie Thorne?, di C.J. Tudor, Rizzoli, € 20, pp. 351 |

Tornare a casa in una città della provincia inglese in cui ogni dettaglio urla tragedia. Affittare un cottage a un prezzo stracciato, perché teatro di un delitto violento: una mamma, poi morta suicida, ha frantumato la testa del figlio contro il televisore, lasciando scritto con il sangue che l'adolescente non era quello di sempre. Fra passato e presente, con un futuro in forse, imbattersi inevitabilmente in un mistero da risolvere: qual è il filo rosso che lega la città mineraria a una serie di drammatiche sparizioni e, soprattutto, di impossibili ritorni? Prendete i ritorni all'ovile di It, mossi dall'attrazione per l'orrore; aggiungete gli abomini di Pet Semetary – i defunti, sì, trovano anche qui nuova linfa grazia a una macabra sepoltura –, con la partecipazione tutt'altro che insolita di ragazzini prima persi per sempre, poi ritrovati, che si trasformano a vista d'occhio negli eredi di Regan MacNeil. Abbonderanno, superfluo specificarlo, le cave dell'occulto e le pareti imbrattate di rosso, i tubi gorgoglianti e le bambole logore, presenze inquietanti che all'improvviso liberano la vescica sulla moquette. Insomma: nel romanzo di C.J. Tudor, da me attesissima dopo il buon L'uomo di gesso, è presente tutto l'armamentario. C'è una botola che porta i giovani sconsiderati al centro della terra. E c'è qualcuno che, giusto sopra, vorrebbe costruirci un parco pubblico: cosa non smuovono il vile denaro, infatti, e la paura di morire?

A volte hai solo una scelta, ed è quella sbagliata.

Per fortuna c'è Joe, voce narrante che fa la differenza: ex emarginato infiltratosi nella banda dei gradassi, da adulto è un piantagrane che non vorresti conoscere. Un professore di letteratura con false referenze a carico, una coscienza lercia e i conti in sospeso di quei giocatori d'azzardo famosi per avere sempre l'asso nella manica: anche se i debiti hanno le gambe lunghe – e hanno spezzato le sue, ormai zoppo – e lo scovano anche ad Arnhill, dove ci sono ben altre grane per un bugiardo patologico. 
Un'email anonima lo convoca lì, dove la fine ha avuto inizio, e lo obbliga a ricordare l'amicizia con il fragile Chris, il bullo Hurst e l'inarrivabile Marie, finita in moglie al ragazzo sbagliato. I fantasmi delle adolescenze passate, le questioni irrisolte e archetipi destinati a ripetersi, parlano dappertutto di Annie: la sorellina di Joe scomparsa per quarantottore, venticinque anni prima, e riapparsa dal nulla che l'aveva inghiottita con un'indole stravolta. In questo pullulare a fantasia di vizi e drammi pregressi c'è tanta carne al fuoco e i guai, i luoghi oscuri, stanano te: mai viceversa. Quando l'omaggio, spudoratissimo, è però una pallida imitazione?

Vorrei poter dire alla mia sorellina che le volevo bene. Che la amavo con tutto il cuore. Era la mia migliore amica, la persona con cui potevo essere davvero me stesso, l'unica capace di farmi ridere fino alle lacrime.
Ma non posso. Perché a otto anni mia sorella è scomparsa. All'epoca pensai che fosse la cosa più terribile che potesse mai accadere al mondo.
Solo che poi tornò.

L'autrice venera i mondi di Stephen King, ma questa volta non riesce a rielaborarli con originalità. Di superarli, ovviamente, non c'è il minimo rischio. Scontato e derivativo, con il difetto aggiunto di comprimari inverosimili – su tutti Gloria, sadica strozzina sbucata quasi dalla schiera di bulli e pupe di Martin Scorsese –, Chi ha rubato Annie Thorne? risulta eppure un riuscitissimo romanzo di genere. Che intrattiene e intriga dall'inizio alla fine. Che in una casa vuota, alla luce sbilenca della lampada, nell'ora delle streghe spaventa. 
I dialoghi suonano cinematografici, il protagonista è indagato con la scrupolosità di uno scavo archeologico e, in conclusione, ecco una raffica di colpi di scena a catena, sorprendenti ma poco ragionati. Il vero enigma è uno: l'inspiegabile efficacia di un horror mordi e fuggi, che al pari dell'ultimo film in sala di Pascar Laugier brilla a modo suo, per raccapriccio e strizzate d'occhio così esagerate da far simpatia. 
Lo scriveva Umberto Eco a proposito di Casablanca: «Due cliché ci fanno ridere. Cento cliché ci commuovo. Perché si avverte oscuramente che i cliché stanno parlando fra loro e celebrano una festa di ritrovamento».
Quanto divertimento c'è, in questa piccola festa di morte?
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Phaeleh feat. Augustus Ghost – Whistling in the Dark

16 commenti:

  1. A me è rimasto vagamente indigesto, ma non è proprio il mio genere! Un bacio!

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    1. Il mio genere lo è, invece, ma amore non è stato. Un bacio a te!

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  2. Mi intriga notevolmente... ma il prezzo per il momento è proibitivo, soprattutto se non è un capolavoro °-°

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    1. Hai ragione. Prova col prima, è in edizione Bur!

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  3. Effettivametne mi è piaciuto. Sono certa che leggerò pure il terzo. Concordo con quanto hai scritto, soprattutto sul finale, ma la Tudor mi intriga.
    Lea

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  4. Essendomi piaciuto L'uomo di gesso, ho accolto con entusiasmo la notizia di questo libro. La tua recensione un po' mi "spaventa" perché non vorrei mi deludesse, però so già che lo leggerò comunque :-D

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    1. Spero ti piaccia.
      Lea, ad esempio, si è detta ancora una volta estremamente coinvolta. 😊

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  5. Mi spiace si sia rivelata una lettura non propriamente bella, eppure continua a non ispirrmi :)

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    1. In questo caso, meglio così.
      Neanche brutta, ma un riempitivo come tanti...

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  6. La penna della Tudor è intrigante, lo ammetto, ma il precedente Uomo di Gesso mi ha convinto di più...!

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  7. Devo recuperare la Tudor, ma mi sa che lo farò con "L'uomo di gesso"
    Stefi

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