Pagine

mercoledì 14 novembre 2018

Recensione: I due esorcisti, di Ray Russell

| I due esorcisti, di Ray Russell. TEA, € 14, pp. 206 |

I venti funesti di Halloween sono passati così come sono arrivati. Nelle vetrine del cinese all'angolo brillano già le luminarie natalizie. Tra una cosa e l'altra, questa volta, sono rimasto un po' indietro: la zucca da buttare con un groppo in gola nell'umido organico – è stata la prima incisa da me, l'ho chiamata Belinda –, il mancato biglietto per il reboot di John Carpenter in sala, la recensione di un romanzo rispolverato in una sera di candele tremolanti e castagne tenute in caldo. Fino al mese scorso inedito in Italia, I due esorcisti ha preceduto di un decennio buono romanzi cult come L'esorcista e Rosemary's Baby. I titoli venuti dopo, non facciamone mistero, lo hanno raggiunto e abbondantemente superato in fretta. Nell'inedito di Ray Russell – scomparso vent'anni fa e nel mentre diventato autore cult per Stephen King e Guillermo Del Toro –, c'è tuttavia del pionieristico: molto di lodevole. Un'ironia affilata e un gusto per il satirico, ad esempio, che nei primi anni Sessanta facevan sì che lo scrittore parlasse e sparlasse senza peli sulla lingua di ciò che di più sacro esistesse per l'americano medio: la Chiesa e la famiglia. 

Non potremmo dire che gli attuali psicoanalisti, credendo di curare scientificamente i loro pazienti, stanno invece praticando in maniera inconsapevole un moderno esorcismo che scaccia effettivamente e letteralmente il diavolo dai corpi dei loro pazienti? Danno alla cosa un altro nome, ricorrono a rituali e termini differenti e si rifiutano di riconoscere il Diabolus quando lo vedono, certo, ma questo si spiega semplicemente rifacendosi a Baudelaire. È così che vuole il demonio. La migliore astuzia del diavolo sta nel convincerci che non esiste.

Siamo al St. Michael: parrocchia che appare decorosa ma provinciale agli occhi del nuovo parroco, abituato alle migliori frequentazioni e alle peggiori calunnie. Padre Sargent, bello e chiacchierato, è approdato in città perché in fuga da uno scandalo. Peccava infatti di eccessiva vanità e, di tanto in tanto, alzava un po' troppo il gomito. O una retrocessione o la scomunica, gli hanno intimato, proponendogli di sostituire un sacerdote destinato ad altre greggi. Forse perché promosso, forse perché in procinto di scappare da qualcosa di losco: l'influenza di Susan Garth. La sedicenne, orfana di madre, rifugge la vista del crocifisso, si spoglia in pubblico attirando sguardi libidinosi, pecca di cattiva condotta. Le servirebbe uno psichiatra, ma un padre burbero e omertoso la porta invece in canonica. Da lì i parrocchiani sentiranno urla e risate indecorose, il frastuono dei vetri infranti, l'odore dello scandalo. Non sanno che c'è un logorante esorcismo in corso né che Sargent – la barba sfatta e tentazioni dappertutto – è affiancato dal Vescovo Crimmings in persona. All'appello non possono mancare vomito, turpiloquio e mutilazioni corporee. Ma il rito, per fortuna, questa volta è fatto più di parole che di brutture. Mentre la mano dell'Altissimo minaccia all'esterno fulmini e saette con un temporale da apocalisse biblica, fra le mura sacre si è tutti presi da un assedio di cui sono ignari i pettegoli e i complottisti della città. Una prova di forza disputata da sacerdoti di generazioni opposte: il primo scettico e con gli scritti di Kafka e Baudelaire sul comodino, l'altro dal credo incrollabile. All'inizio, eppure, scartano l'ipotesi di una possessione demoniaca. Forse che in fondo non credano nel Diavolo, e dunque in Dio? Il bene e il male, infatti, sono facce complementari della stessa medaglia. 

L'omicida e la vittima si guardarono l'un l'altro con una certa comprensione e, in quel frangente, compresero per la prima volta la più profonda, terribile ed eterna verità della dannazione: che non distingue tra colui che commette l'atto colpevole e colui che in cuor suo desidera sia commesso.

Ben scritto ma sconsigliato a chi in cerca di brividi facili, I due esorcisti doveva risultare senz'altro provocatorio per l'epoca: i vizi privati del clero messi alla berlina, la denuncia della violenza fra le mura domestiche, le prime controversie sessuali e nessuna risposta consolante racchiusa nell'epilogo. Le pagine son poche, la suspance abbonda. Merito dei salti equilibrati da un personaggio all'altro e di un'inattesa dimensione corale. Dei capitoli lapidari e accattivanti, conditi da dialoghi fiume e tracce di psicoanalisi. Di una struttura variabile che, alla maniera degli autori moderni, vive sospesa fra psicologia ed esoterismo, questo mondo e l'altro. Quanto è sottile la linea che li separa, tocca chiedersi, se l'autore chiude il romanzo con un inquietante aneddoto biografico? Il ronzare di quattro mosconi sbucati dal nulla gli diede il tormento, pare, proprio nella stesura del capitolo clou: un frullare di ali, uno sfregare di zampette che lasciano suggestionati al pensiero di questo presunto sabotaggio. Ben più della lettura di un horror che paura non me ne ha fatta, no, ma in compenso mi ha regalato un'importante lezione di filosofia morale sulla fede, il libero arbitrio, la natura spinosa del peccato.
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Depeche Mode – Black Celebration

6 commenti:

  1. Ne ho sentito parlare, a sorpresa, su youtube e mi ero vagamente interessata. Ora sono decisa a prenderlo :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non il must che qualcuno ha dipinto (insomma, non l'hanno tradotto per cinquant'anni, cosa che non succede mica ai capolavori), però interessantissimo. ;)

      Elimina
  2. Ci sono aspetti che mi incuriosiscono, altri un po' meno.
    Devo pensarci su.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Può tranquillamente stare in stand by al momento...

      Elimina