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sabato 18 novembre 2017

Mr. Ciak: Indignazione, Auguri per la tua morte, Maudie, Fortunata, Sole cuore amore

Indignazione è stato il mio primo Philip Roth: a sorpresa, il romanzo più bello della scorsa annata. C'era il rischio, a fine lettura, di non vedere la trasposizione cinematografica con i giusti occhi, nonostante la buona accoglienza al Festival di Berlino e i plausi qui e lì: inevitabile quando una storia ci tocca, ci scuote. Un po' per sicurezza, un po' per noia, ho lasciato passare undici mesi. Sono servite le dovute precauzioni, la giusta distanza, a farmi prendere a cuore quest'altro avvocato delle cause perse, questo Marcus fattosi di carne e ossa? La sua educazione sentimentale, la sua silenziosa ribellione nei primi anni Cinquanta, passa attraverso le tappe che ricordavo: l'interrogarsi sulla vita sessuale della ragazza con cui esce; gli insospettabili genitori che pensano al divorzio; l'opporsi strenuamente alla guerra e a Dio. Marcus ci crede: si impunta, fino a farsi venire i travasi di bile; fino a una tragedia tutt'altro che annunciata. Tutto accade dietro la scrivania del superbo Tracy Letts, o a colloquio al capezzale del protagonista. Al cinema, Indignazione sembra già vecchio. Sarà la fedeltà filologica, per una volta eccessiva, verso un coming of age che ha la maleducazione dei vent'anni e la velocità del racconto; sarà una sceneggiatura elegante e misurata, emotivamente lontana, che non si getta mai a capofitto nel travaglio interiore di lui; sarà che risulta più pesante, più teatrale, più sconfitto. Lo accompagnano le scale al pianoforte, la fotografia patinata, le fattezze rassicuranti di due protagonisti eppure bravissimi – la fragile e fatale Sarah Gadon e un Logan Lerman, dopo Noi siamo infinito, che torna a interpretare con convinzione un altro dei personaggi del mio cuore di lettore. Roth bolle e sbolle. Esplode di rabbia repressa. La regia di Schamus, invece, ha il grande difetto di risultare impersonale: imperdonabile con un protagonista di tale levatura. Che alza sempre la voce, che sa come farsi notare. Per Marcus, inevitabilmente, tutto va come deve andare. Ma questa lentezza, questa flemma, questa vaga leziosità, con l'indignazione del titolo purtroppo poco hanno a che fare. (6)

Universitaria ai vertici di una sorellanza viene assassinata la sera del suo compleanno. Il maniaco omicida indossava la maschera di un bebè e non si svelava guardandola morire. Chi c'era dall'altra parte? Chi voleva il male, ma soprattutto il bene, di un'aspirante Mean Girl con più rivali che compagni? Jessica Rothe, una Lively meno clamorosamente bella, ha tutto il tempo per farsi domande, esami di coscienza e scartabellare la nutrita lista dei sospettati. L'ultimo giorno della sua vita, in realtà, è il primo di un loop temporale in cui si agonizza e ci si risveglia dal nuovo, con un corpo che va indebolendosi e una mente che non dimentica. Come nella commedia cult con Bill Murray, si ricomincia da capo. Come nel già non memorabile Prima di domani, di cui Auguri per la tua morte sembra la riscrittura in chiave sanguinosa ma non troppo, una ragazza superficiale è costretta a guardarsi dentro, a mettersi in discussione come amica, figlia e fidanzata, prima di essere pugnalata per l'ennesima volta. L'ultima? Commedia (poco) slasher dal regista del delizioso Manuale scout per l'apocalisse zombie, Auguri per la tua morte è un horror innocuo e già visto, a cui avremmo potuto trovare giustificazione giusto nella penuria dell'estate. In ritardo per Halloween, invece, con un serial killer semiserio che scimmiotta Scream e La bambola assassina, è un incubo dalla morale facile e dall'esito scontato, che diverte meno del previsto e di certo non sorprende. Spegniamo in fretta candeline e luci sull'ennesimo prodotto mordi e fuggi, pronto all'uso, che riempie le pance con le tentazioni passeggere dei dolcetti preconfezionati. (5,5)

Cercasi domestica, diceva l'annuncio sulla bacheca di un alimentari della Nuova Scozia. Nessuno, eppure, si capacita di come Maud sia finita sotto lo stesso tetto di Everett, maleducato pescatore ben lontano dal ravvedersi in nome della vita insieme. La protagonista – sola al mondo, piccola e artritica – non ha il physique du role. Né per essere una buona tuttofare né per improvvisarsi, come insinuano i conoscenti maliziosi, una schiava d'amore. Il delicatissimo biopic irlandese che porta il nome della donna racconta di come le sue mani nodose non le impedirono di riempire quella casetta condivisa con disegni di fiori, uccelli e fate, dal pavimento fino al soffitto. Di uno strano ménage domestico che prima si fece amicizia, poi strano amore. E di come il sentirsi amata, degna di fiducia, la rese un'illustratrice richiesta perfino da Nixon. Maud Lewis, artista a me finora sconosciuta, aveva la mente di una bambina, la maledizione di un corpo deforme e un marito burbero, incapace di buone maniere ma non di una certa pazienza, che zitto zitto vedeva il mondo con i suoi stessi colori. Se a Ethan Hawke donano le camicie grezze e le tenerezze farfugliate come fossero insulti, a commuovere e a impressionare è la straordinaria Sally Hawkins, scomparsa dietro i tic e i sorrisi dolorosi del suo personaggio: non tocca aspettare The Shape of Water per assistere alla sua consacrazione. Ballano schiacciandosi la punta delle scarpe. Vendono stampe sull'uscio di casa. Invecchiano, e diventano marito e moglie, in maniera impercettibile. Sono, come dice Everett, un paio male assortito di calzini: scuro e sbrindellato lui, sgargiante lei. Fa sinceramente piacere ritrovarli riposti nello stesso cassetto. Nello stesso film lieve, ad acquerello, che in un pomeriggio di pioggia, con il gatto e il plaid sulle ginocchia, una tazza di tè accanto, te li fa conoscere (soprattutto, te li fa piangere) per la prima e ultima volta. (7,5)

Per ironia della sorte porta un nome augurale. Eppure, mamma single che si arrangia come parrucchiera in attesa che si realizzi il sogno di aprire un istituto di bellezza, Fortunata tale non è. La vediamo ancheggiare nella sua minigonna di jeans, correre a perdifiato sulle zeppe scomode, come se avesse sempre fretta; come se inseguisse chissà che. I numeri vincenti della lotteria, i capricci delle spose di borgata e degli altri inquilini, l'amore di un Accorsi che si merita la nostra antipatia. Jasmine Trinca, meritatamente premiata a Cannes, si sbraccia, strilla, si spoglia e si riveste, in un dramma – non sprovvisto di una certa ironia di fondo – in cui c'è troppo in ballo. L'ultimo film di Castellitto, tratto da un racconto inedito dell'immancabile Mazzantini, la ribattezza e la plasma: la tinta per capelli, la volgarità dell'accento romano, due ali a metà tatuate sulla schiena. La bravura della Trinca non si perde nella sovrabbondanza di temi e tragedie, nelle piazze di una Roma grezza e multiculturale, nella folla di comprimari che si trascinano storie pesanti appresso – un plauso all'intensità di Alessandro Borghi, sensibile tatuatore della porta accanto con mamma smemorata al seguito. Dopo il buon equilibrio del precedente Nessuno si salva da solo, che per impostazione e dialoghi faceva il verso al dramma da camera, Castellitto ci riprova con una vicenda che non riesce ad arginare, e forse neanche vorrebbe. La scrittura fiume della moglie scrittrice non sa contenersi. Colpa di toni che vorrebbero virare al lirismo grottesco di Sorrentino; di interpreti tutti bravi e tutti sguaiati; di una regia che non lavora purtroppo a togliere, bensì a mettere. E più che generoso, di cuore, Fortunata appare così esagerato. Meno a sua agio coi bagagli pesanti e l'equilibrio mantenuto pur se in bilico di una donna che, al contrario del film stesso, si fa bastare con un sorriso stanco il poco che ha. (6,5)

Eli – trent'anni, un marito disoccupato, quattro figli – esce di casa quando fuori è ancora notte. Scivola dal letto senza far rumore e macina chilometri da Ostia a Roma per tirare su la saracinesca del bar in cui lavora per ottocento euro al mese, sette giorni su sette, come cameriera, cuoca e donna delle pulizie. Vale, sua coetanea, conduce invece una vita indipendente e solitaria che suscita vergogna nella madre alto-borghese: agile come una perfetta étoile, calca però le piste dei locali notturni. Eli e Vale sono vicine di casa. Amiche, diremmo, se non fosse che la prima esce quando l'altra rincasa. L'ultimo dramma di Daniele Vicari racconta gli spossanti viavai, il loro incrociarsi quando capita, con la voce asciutta ma partecipe del cinema di Loach e dei Dardenne. Le accompagnano una bella colonna sonora jazz, le sfarfallanti luci notturne e più di qualche dubbio verso la struttura, se la storia dell'androgina Eva Grieco appare quasi incidentale, sempre all'ombra della meraviglia di una Ragonese che non ha nulla da invidiare alla Marion Cotillard di Due giorni, una notte. In una scena, arriva la canzone di Valeria Rossi: così leggera, così spensierata, in un film pesantissimo, eppure, che scava rughe di preoccupazione in mezzo agli occhi. Il cuore si affanna e cerca riposo. Il sole ci si scorda che faccia abbia, al chiuso, tra le chiacchiere querule di un bar e le luci al neon di una discoteca. L'amore è quello verso una famiglia che chiede un po' troppo, per un Francesco Montanari che ci aiuta arrangiandosi, ma a mancare è quello più necessario, per se stessi. Quanto male mi ha fatto Sole cuore amore. Gli ingredienti di una banale canzonetta amata dai bambini. Gli ingredienti di una vita banale, che in due ore con Vicari finisci per scambiare per verità. E ti domandi che senso abbia tutto questo correre e sacrificarsi, e per cosa poi? E ti confonde l'idea che sia inutile tutto il dolore in cui indugia – vivere è difficile, soprattutto in questi tempi disperati, e lo sappiamo già, chi più e chi meno – ma che allo stesso tempo siano un dolore, un'amarezza, che van provate. Ti fai venire i sudori freddi, perché al contrario di Eli – a modo, vitale, educata – tu in certi giorni non conosci decoro. Appunti i segreti dei suoi sorrisi perciò: sinceri, nonostante tutto. Aspetti che il lorogorio di una vita in nero, sempre in moto eppure ferma immobile, faccia il suo corso. Una routine a tempo indeterminato in cui domani è un altro giorno, sì, però scritto con i migliori auspici e il copia-incolla. (7,5)

12 commenti:

  1. Di questi ho visto solo Auguri per la tua morte. Non l'ho trovato male, è un thrillerino abbastanza divertente adattissimo per il cazzeggio.

    Voglio vedere Fortunata, mentre in realtà gli altri tre li avevo scartati. Potrei farci un pensierino per Sole, cuore, amore

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    1. Un'occhiata, secondo me, la meritano tutti, chi più e chi meno. Ad Auguri per la tua morte male non ho voluto, assolutamente, ma avrei trovato comunque compagnie migliori una domenica pomeriggio qualsiasi. Sarà colpa di Prima di domani, visione troppo fresca?

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  2. Questa volta opinioni molto distanti dalle tue.
    Auguri per la tua morte è una figata, ma si sa che quando si tratta di horror difficilmente la pensiamo uguale.
    D'altra parte definisci delizioso l'orrido Manuale scout... °___°

    Sole cuore amore l'ho trovato invece un film ruffiano e poco riuscito, a meno che il suo scopo non fosse quello di essere deprimente.
    Inspiegabili le scelte musicali, dalla soundtrack con il peggior jazz alla canzonetta di Valeria Rossi messa lì a caso.

    Marion Cotillard in Due giorni, una notte me l'ha ricordata invece Jasmine Trinca nel per me più riuscito Fortunata, per quanto esagerato e pure quello funestato da una scelta musicale finale disastrosa... :D

    Indignazione non mi era dispiaciuto, ma nemmeno mi aveva sconvolto. L'aver letto il libro probabilmente ti ha rovinato la visione. Per questo è meglio aspettare il film. ;)

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    1. Sarà per la prossima.
      Sugli horror che arrivano in sala sono sempre molto scettico, sono sempre molto critico: nei post a tema Halloween, c'era molto di meglio. Film sfortunati, piccoli, meno strombazzati però, che purtroppo in sala non arriveranno mai.

      Sole cuore amore è deprimente, decisamente, ma io a distanza di dieci giorni ho ancora una rabbia che non mi abbandona. E suscitare tentazioni così forti, no, non è cosa da tutti. Neanche per Jasmine Trinca, che eppure per bravura è alla pari con la Ragonese (anche se l'ho sempre trovata, non so perché, bella e antipatica).

      Indignazione l'ho trovato fedele, ma scarico. Roth non è così compassato, non è così pesante. Però perfetto Lerman, al solito.

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  3. Quanto a Maudie non mi ispira troppissimo, però quasi quasi...

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    1. Maudie, presentato a festival vari ma in sordina, inspiegabilmente lontano dalla stagione dei premi, ha una Hawkins che comunque merita la visione. Scalpito per vederla in Del Toro, ma ora non troppo. Sono stato accontentato.

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  4. Tanti film che non mi avranno, vuoi perchè horror troppo teen, vuoi perchè il libro l'ho letto -e un po' dimenticato, tra i tanti Roth- e confermi che su carta è meglio, vuoi perchè qualcosa mi puzza, e Fortunata non sembra fare per me.

    Fatto per me Sole cuore amore, come sai, che resta una ferita aperta, ma non Maudie. Mi aspettavo di più, o forse solo qualcosa di diverso, e la lentezza ha avuto la meglio. La Hawkins, però -e pure Hawke- non si discutono.

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    1. Mi dispiace per Maudie. L'ho trovato davvero delicato, e loro due impressionanti.

      Sole cuore amore, sì, che male...

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  5. è stato pompatissimo "auguri per la tua morte" per me anche meno del mediocre, poi ha un plot twist che risolve la questione abbastanza abominevole :-)

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    1. Oh, qualcuno che ha visto il mio stesso film, finalmente!

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  6. Io auguri per la tua morte l'ho trovato molto divertente anche se avrei preferito un po' più sangue!

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    1. Come ho scritto a Marco, il sangue manca proprio. E per un teen horror... Una trasfusione, subito!

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