| Figlia del temporale, di Valentina D’Urbano. Mondadori, € 20, pp. 312|
L'amore, per Valentina D'Urbano, è una cosa seria. In un mondo editoriale in cui parlare di sentimenti è guardato con pregiudizio, lei osa storie di amori assoluti, totalizzanti, tragici. Questa volta, a oltre dieci anni dal suo esordio, ci porta nell'Albania degli anni Settanta, su un altopiano popolato da uomini col fucile e donne al focolare. C'è un valico proibito a separare l'Albania dal resto del mondo. È possibile sconfinare? L'autrice, che nell'insuperato Isola di Neve aveva inventato con dovizia di particolari la geografia di un'isola che non c'era, è chiamata a rievocare i rituali di un piccolo mondo antico con l'approccio documentaristico del cinema di Maura Delpero. Le descrizioni sono meticolose come non mai. I costumi albanesi ci si svelano nel loro fascino e nelle loro contraddizioni: si legge il futuro nei fondi di caffè, durante le nozze le spose vestono di rosso e gli sposi ricevono in dote una cartuccia di fucile, e qualche volta le donne possono sfuggire a un destino prestabilito rinunciando per sempre alla loro femminilità. Le chiamano vergini giurate. La protagonista, Hira, è una di loro.
La natura la puoi nascondere, però non la puoi fermare.
Quand'è che una ragazza di città come lei, figlia di un comunista prezzolato, si è trasferita sulle Montagne Maledette? Perché si è rasata i capelli, si è trasferita in un tugurio e ha fatto suo un nome di lupo, un nome di maschio: Mael? Prima del rifiuto di essere sposa o madre, sono necessarie duecento pagine in cui la natura è la protagonista incontrastata: anche a discapito della trama. È lì, tra gelate, miseria e retate, che Hira si scopre attratta dal cugino Astrit: un ragazzo silenzioso come uno spettro, per il quale la montagna non ha segreti e il cui lessico sentimentale è fatto di morsi e grugniti, di tenerezza mista a ritrosia. Più trattenuta, D'Urbano fa sua la reticenza di un'altra cultura. L'intreccio si assottiglia, e si ha la sensazione che troppo sia stato riassunto in quarta di copertina. Lo sguardo, sempre riconoscibile, è fisso su un personaggio talmente forte che le sue scelte, a tratti, appaiono radicali, troppo repentine. Il tema delle vergini giurate, centrale in un bel film di Laura Bispuri, ha un potenziale non completamente sfruttato.
Anche le bestie a volte non sono capaci di stare da sole.
Si sarebbe potuto parlare di rapporti di genere, perfino di omosessualità o disforia all'occorrenza. L'amore tra Hira e Astrit ricalca invece quello tra Alfredo e Beatrice, Celeste e Nadir, lasciando che l'aderenza ai precetti del Kanun diventi poco più che un espediente: il giuramento, infatti, è il mezzo per rendere ancora più ostacolato un amore già impossibile. Ma la natura, per fortuna, è inarrestabile. Anche quella umana. E il seno strepita, anche quando compresso nelle bende. E il sangue mestruale scorre, anche in calzoni maschili. Allo stesso modo appare contro natura arrestare il desiderio, in un romanzo in cui c'erano i prerequisiti per parlare più approfonditamente di dinamiche rimaste inedite.
Il mio consiglio musicale: Beyoncé - If I Were A Boy