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martedì 23 luglio 2024

Recensione: Lamento di Portnoy, di Philip Roth

| Lamento di Portnoy, di Philip Roth. Einaudi, € 13, pp. 220 |

Quale uomo non spererebbe di impugnare la propria vita così come abitualmente fa col proprio pene? Il mio quarto Philip Roth è il più divertente e autobiografico dei suoi romanzi finora letti. Bisogna avere una spiccata autoironia, d'altronde, per lavare i panni sporchi in pubblico. E mettere nero su bianco, senza peli sulla lingua né falsi pudori, feticismi, nevrosi e fantasmi. Il protagonista ha un altro nome, Alexander Portnoy, ma ha gli stessi tratti distintivi del giovane Roth: è nato a cavallo fra le due guerre, è sopravvissuto a un'epidemia di poliomielite, ha un naso adunco e una spugna abrasiva per chioma, è incontrovertibilmente ebreo. Come un novello Zeno Cosini, benché preferisca definirsi il «Raskolnikov delle pugnette», Portnoy si sfoga sul lettino rosso dell'analista.

Dottore, di cosa dovrei sbarazzarmi, mi dica, dell'odio... o dell'amore?

Queste duecento pagine sono la trascrizione delle sue sedute. Il risultato è un monologo fiume, una barzelletta sporca, il ritratto di un trentenne troppo poco ebreo in famiglia e troppo poco americano in società. Figlio di un assicuratore imbelle, nonché gravemente costipato, e di una madre castrante dotata del dono dell'ubiquità, il protagonista vuole affrancarsi; diventare tutto ciò che i genitori, angoscianti e un po' razzisti, non sono. Scapolo a Manhattan, colleziona viaggi esotici e donne virtuose. Lasciate ogni pudore, o voi ch'entrate. Misogino, vanaglorioso, volgare, l'alter-ego dell'autore non fa mistero di avventure sessuali e perversioni. C'è un intero capitolo dedicato alle gioie della masturbazione e, come in una scena cult di American Pie, non sono al sicuro nemmeno gli alimenti: basta un torsolo di mela, infatti, a infiammare le fantasie! Ma ci sono anche i ricordi color seppia delle vacanze insieme, le partite di softball, i primi lavori accanto al cognato comunista, il candore delle fantasticherie adolescenziali. Bastano i Levis e un paio di mocassini a cancellare il senso di colpa per la Shoah? Cosa direbbe Freud delle occhiate alle gambe di mamma o dell'invidia verso il pene di papà? Così sincero da fare tenerezza, questo Roth leggerissimo oscilla tra “id” e “yid” con l'intramontabile romanzo di formazione su un ragazzo e il suo sogno: scoparsi, e così conquistare, l'America.

Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: AC/DC – You Shook Me All Night Long

4 commenti:

  1. Questo è stato il mio primo Roth e ringrazio l'allora "vista" di mia sorella per il consiglio. O meglio, per il regalo a lei allergica alla letteratura americana che ha invece aperto un mondo a me. Uno spasso, ma anche uno strano salto dentro la mente non certo pulita dell'adolescenza maschile.

    Devo riprenderlo in mano e questa volta farò le cose per bene, partendo dal vero inizio "Lasciar andare".

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    1. Io, in parte, l'ho ascoltato letto da Luca Marinelli su Audible ed è stata l'esperienza della V I T A.

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  2. Non ho mai letto niente di Philip Roth. Sono pessimo, lo so, lo so.
    A mia discolpa posso comunque dire che i poco fenomenali film tratti dai suoi libri che ho visto, Indignazione e American Pastoral, non è che mi abbiano ispirato molto a un suo recupero cartaceo...

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    1. Eppure è un autore che ti piacerebbe tantissimo, sai? Poi qui è irriverente come non mai.

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