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venerdì 24 giugno 2022

Recensione: L'arte di bruciare, di Sarah Hall

 
| L'arte di bruciare, di Sarah Hall. Sellerio, € 16, pp. 220 |

Sulla copertina di Una vita come tante c’è il primo piano di un uomo. Il viso increspato da una smorfia indecifrabile: estasi o dolore? L’arte di bruciare, arrivato in libreria sempre con Sellerio, si libra similmente fra eterni opposti: amore e morte. Inscindibili, si intrecciano in spire sensuali in un romanzo tanto breve quanto intenso. Quanto bisogna essere lontani dal pericolo per non lasciarsi vincere dall'angoscia della tempesta appena passata? Alla risposta, mutevole, è legato l'apprezzamento – o il biasimo – verso il romanzo di Sarah Hall. Con una prosa musicale e immaginifica, nelle corde di Tiffany McDaniel, la scrittrice britannica ci sfida a tormentare con le dita quella ferita che tutt'ora fatica a cicatrizzarsi: il Covid-19. In queste pagine ci sono l'aggressività e lo scetticismo nei confronti verso il prossimo, gli approvvigionamenti degni di un survival, le sirene in dissolvenza. Ma c'è, soprattutto, la commovente intimità del prendersi cura di qualcun altro.

Chi ha storie da raccontare sopravvive.

Immersi in un silenzio innaturale, cinti da una natura fiabesca e selvaggia, i protagonisti trovano rifugio dal contagio ai confini della civiltà: all'interno di un ex capannone industriale, ormai fucina creativa, che si erge al termine della brughiera come un Eden dove illusoriamente prosperare. Lei, Edith, è l'artefice di sculture controverse – per alcuni subito iconiche, per altri scandalose –, cresciuta con trascuratezza da una mamma scrittrice colpita da un aneurisma. Lui, Halit, è lo chef di un ristorante nordafricano: porta con sé due nomi, due vite, ma parla pochissimo dei traumi dell'immigrazione – il suo corpo, in compenso, dice tutto ciò che conta.

Se fossimo andati un po' più a fondo uno dentro l'altra avremmo trovato un nascondiglio.

Edith e Halit annullano le distanze, combattono la freddezza dello stato d'emergenza, si studiano nudi in nome della lussuria e per monitorare l'apparizione di sintomi eventuali. Raccontato a distanza di anni da Edith, ma non a distanza di sicurezza, il romanzo presenta una narrazione frammentaria. Ricorda i picchi di delirio delle febbri convulse: è un insieme di flash e suggestioni sparse, infatti, che l'attualità della materia raccontata contribuisce tuttavia a riordinare fino a formare un disegno organico. Anzi: un gruppo scultoreo. Di quelli contemporanei, spigolosi, vagamente inquietanti, realizzati con la pratica dello shou sugi ban: prevede di bruciare il legno per proteggerlo; di creare attraverso la distruzione. La vedo la scultura, sì: rappresenta due corpi che bruciano, di passione e febbre, fino a decomporsi: fluisce vita tra loro, fluisce vita in loro. È il virus, che li penetra mentre si penetrano. È il virus che, come un figlio del futuro, cerca un ospite in cui proliferare. Perché perfino la morte vuol vivere.

Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Adele – I Set Fire to the Rain

2 commenti:

  1. ll titolo è incendiario!
    Ma quella del Covid è una ferita che adesso non mi va proprio di riapirire.

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    1. Qui è un altro virus, con un altro nome e altri sintomi, ma è palese che si parli proprio di quello.

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