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venerdì 28 giugno 2019

Mr. Ciak: La mia vita con John F. Donovan | Beautiful Boy | Serenity

Il cinema, la sessualità, le mamme. Alla luce del mio recente recupero, impossibile non pensare alla poetica di Pedro Almodòvar: uno dei pochi registi stranieri a non avere mai ceduto alle sirene delle major. Nell'errore, al contrario, è incappato l'adoratissimo Xavier Dolan: il ragazzo prodigio, ormai cresciuto, sognava Hollywood sin dall'infanzia. Il suo sogno americano, non a caso, contiene tracce innumerevoli di lui. Attore bambino con la cameretta tappezzata di poster, tormentato a scuola al suon di insulti omofobici, fa dell'ambizioso Jacob Tremblay il suo alter-ego; trova rifugio, per fortuna, nell'intrattenimento – vengono citati Jumanji, Il giardino segreto, la saga di Harry Potter – e nella venerazione di un teen idol sulla cresta dell'onda. Come starà vivendo il suo mito i giorni di gloria? Partito per l'estero ma sempre nella sua comfort zone, Dolan cerca compromessi che non lo accontentano fino in fondo. Ma la stessa frustrazione, diciamolo subito, non è vissuta anche dagli spettatori. Lontano dal disastro descritto dagli statunitensi, La mia vita con John F. Donovan non è forse l'opera della maturità che si domandava a un regista trentenne ma, benché mainstream, mostra un Dolan che non si tradisce. A differenza dei classici tranche de vie della provincia canadese, il suo ultimo film è un triplice melodramma: macchinoso giacché scrittissimo, scricchiola a causa di una scrittura romanzesca che nel bene e nel male limita i colpi di testa dell'autore. Rivestito di tutto punto, il regista in trasferta porta con sé la coperta di Linus dei temi cari pur rivestendoli con la patina attraente del cinema a stelle e strisce. Mentre la giornalista Thandie Newton prende appunti, assistiamo alla biografia fittizia di una stella emergente che vendette l'anima al successo. Particolarmente coraggiosa, allora, appare la scelta di un Kit Harington a un passo dall'implodere: la star della HBO polemizza con il suo ruolo di mentore del piccolo schermo e, con amara ironia, anticipa le dipendenze che di recente lo hanno condotto in rehab fra un pettegolezzo all'altro. Omosessuale represso, si ritrova nelle canzoni a squarciagola alla radio o nella vasca di mamma: una Saradon invadente quanto la miglior Dorval, a cui si contrappone dall'altra parte una Portman fredda e disattenta. La sceneggiatura è un taglia e cuci a cui neanche il montaggio funambolico riesce a star dietro. Per questioni di minutaggio sono stati tagliati personaggi e passaggi: su tutti, imperdonabile, quello a proposito della nascita di una scandalosa amicizia epistolare che nei fatti non c'è, quando dovrebbe essere invece il cuore della storia. Ma restano quel paio di scene madri da pelle d'oca; una colonna sonora che spazia da Florence ad Adele, dai Verve ai Green Day; un cast esageratamente assortito, con piani narrativi che combaciano purtroppo a fatica con il resto. Il regista canadese fa i conti con le aspettative altrui, la fama precoce e il bullismo subito, in un'altra questione privata che somiglia tanto a una seduta psicoanalitica. In poltrona, emozionati, vogliamo bene alla perseveranza e alla schiettezza mostrate. Peccato che a rendergliene merito, al cinema, fossimo appena in tre. Somigliassero tutti a questo Dolan fuori fuoco, i flop annunciati. (7)

Cosa significa essere il genitore di un tossicodipendente che non vuole lasciarsi salvare? Ispirato alle memorie del giornalista David Sheff, Beautiful Boy racconta la sua coraggiosa odissea accanto al figlio Nic: accettato da sei college alla fine del liceo, in cerca dello svago meritato, il diciassettenne ricade nel tunnel delle dipendenze. Se un dolcissimo Carrell regala ormai più soddisfazioni come attore serio che nei passati ruoli comici, il coprotagonista Chalamet sfoggia lacrime di coccodrillo che vengono presto a noia. Gli ambienti luminosi e confortevoli delle ville alto-borghesi, distanti dai ghetti malfamati dell'immaginario collettivo, incorniciano le levatacce del primo e le notti in bianco del secondo; le ansie, i sospetti innumerevoli e le bugie impenitenti di un adolescente carismatico ma difficile da amare. L'amore di un padre, così, ispira una ricerca sul campo in una tragedia comune a tante, troppe famiglie, con un epilogo per una volta eccezionalmente fortunato. Ma la guarigione, scontata e didascalica, passa attraverso lunghi abbracci, discorsi motivazionali e ricadute snervanti in quanto continue. Depotenziando un dramma familiare già compassato, nonostante i duetti da Actor's Studio, la cui maggiore delusione è attribuibile al lavoro del regista. Dopo il meraviglioso Alabama Monroe, Felix Van Groening usa il marchio di fabbrica di un montaggio frammentario – nel film precedente una poesia contemporanea, qui fonte perenne di sconcentrazione – per girare senza un piano costruttore, al suon dell'invadente colonna sonora indie, un brutto episodio di This is us. In quale vicolo sudicio ripescare Nic; in quale clinica ricoverarlo? Molto meno affannosa, al contrario, la domanda che ci ponevamo all'inizio, sapendo Beautiful Boy tagliato fuori dalla stagione dei premi: perché il cuore freddo di critici e giurati, davanti a un caso di coscienza che – a torto, su carta – ci sembrava struggente? (5,5)

Lui è un lupo di mare con un'amante focosa in ogni porto. Lei, femme fatale poco convincente sin dalla tinta bionda, è una ex in cerca di aiuto contro il marito manesco. Potrebbe sembrare un giallo hitchcockiano, se non fosse per la presenza di un personaggio secondario che proprio non ci si spiega: un omino occhialuto e bizzarro, così fuori posto e dal ruolo così imprevedibile. Su una bellissima isola che non c'è, dove tutti sanno tutto di tutti, si muovono con il pilota automatico personaggi in crisi: irrisolti, incompresi, si consolano ora con il rum a fiumi, ora con i tuffi spericolati dalle scogliere a picco. Nel mentre, pianificano il delitto perfetto o aspettano l'arrivo delle mareggiate. Se la collega Anne Hathaway, qui al suo peggio, è un pesce fuor d'acqua, Matthew McConaughey ha sprezzo dei suoi cinquant'anni portati alla grande: fuma e trinca, praticando l'amore libero, e concede più del solito a favor di telecamera un lato B estraneo alla forza di gravità. La fotografia assolata e il sex appeal dei protagonisti, comunque, non distraggono: il bastonatissimo Serenity, altro film sabotato dalla critica, a volte incappa in scivoloni grossolani o buchi di sceneggiatura grandi quanto voragini; altre nella stranezza di colpi di scena talmente campati in aria da risultare quasi degni di stupore. Alla deriva, senza una meta condivisibile, Steve Knight – altro che ha perso la bussola, dopo il successo di Locke – si dà a una risoluzione tanto inattesa quanto surreale, incoerente con il resto ma toccante a modo suo, in cui il McConaughey nudista sembra tornare a indossare la tuta spaziale del padre di Intestellar. Un po' thriller erotico anni Ottanta, un po' videogioco avventuroso, Serenity finisce per essere un divertente nulla di fatto. Un incrocio bizzarro, difficile da incasellare nel cinema dello sceneggiatore americano e, soprattutto, nella carriera di due premi Oscar. Come hanno potuto abboccare? (5)

14 commenti:

  1. Ok, allora per gli ultimi due passo oltre, anche se Beautiful boy mi attirava :/

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  2. Mi tocca leggere solo le giuste e sensate critiche a Beautiful Boy, quanta irritazione, quanta noia.

    Dolan mi aspetta martedì e cercherò di limitare i pareri per non essere influenzata, Serenity che non prometteva già bene, lo vedrò con calma presto, invece.

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    1. Ti invidio la visione in lingua di Dolan, il povero Tremblay, doppiato, suonava insopportabile!
      A rileggerti. ;)

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  3. I primi due mi interessano, prima o poi li recupererò... anche se il tempo di andare al cinema di questo passo non lo avrò mai più >__<

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  4. Pensavo meglio per Beautiful Boy, sai?
    Mentre Donovan non avevo capito di cosa parlasse. Potrebbe piacermi!

    Moz-

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    1. Purtroppo, per Beautiful Boy pensavo meglio anch'io, nonostante le recensioni tiepidissime.

      Donovan, conoscendoti, lo adoreresti. Trasuda, in senso buono, aria anni Novanta (come piace a Dolan). :)

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  5. Uno Xavier Dolan mainstream non me lo immagino molto... Non se esserne più spaventato o più incuriosito. :)

    Beautiful Boy è uno spottone contro la droga di cui avrei volentieri fatto a meno. Eppure le premesse perché fosse un filmissimo c'erano tutte. Spero che la versione hollywoodiana di Dolan non somigli a quella hollywoodiana del regista di Alabama Monroe.

    Serenity mi sa di thrillerino estivo di quelli che io - unico al mondo o quasi - sarei capace di rivalutare. Mi sa che me lo guarderò per capire se andrà proprio così. :D

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    1. La trasferta di Dolan, vai tranquillo, fa meno disastri di quella del collega belga.

      Serenity, a livello di sceneggiatura, è così improbabile da essere pura fantascienza invece.

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  6. E pensare che Serenity mi ispirava, ho visto il trailer al cinema giusto pochi giorni fa.
    Beautiful Boy non mi ha lasciato davvero nulla. Superficiale, anche se recitato benissimo, soprattutto da Carrell.

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    1. Serenity è insulso, eh, ma non come si dice su Totten Tomatoes.

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