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sabato 13 ottobre 2018

Mr. Ciak: A star is born | Sulla mia pelle

Su carta era un progetto nato sotto una stella avversa. Posticipato a data da destinarsi e infine affidato a un esordiente d'eccezione, il terzo rifacimento della storia d'amore tra la cantante in ascesa e il pigmalione in caduta libera non sembrava da farsi. Servivano i nomi giusti. Serviva una vetrina sfavillante – la laguna di Venezia – per invitare gli spettatori a non sottovalutarlo. A star is born, protagonista così di una nuova alba, a sorpresa sfavillava e commuoveva ancora. Piaceva, e spesso agli insospettabili: più alla critica che al pubblico, più agli americani che agli italiani, più agli uomini che alle donne. La trama è presto detta: lei, cameriera non abbastanza attraente per sfondare, si rivela essere una fulgida supernova quando una vecchia gloria la trascina sotto i riflettori; lui, cantante fallito dedito all'alcol e all'autocommiserazione, è al contrario un buco nero. Benché della stessa natura, sono inconciliabili in quell'esistenza fortunata sul palcoscenico ma sfortunata in amore. La luce dell'una significherebbe l'oblio dell'altro, o viceversa. Le note sono sette, ci ricorda nel finale il fratello di un ottimo Sam Elliot. Le canzoni, a lungo andare, raccontano così tutta la stessa storia di cuori infranti: a cambiare è l'intensità di una voce, che aggiunge personalità e vissuto a un ritornello altrimenti sin troppo scontato. Lo stesso, a proposito di remake, si potrebbe dire del cinema odierno: poche idee e qualche stimolo da ricercare in un cast perfetto, dai protagonisti ai comprimari, o nel felice assemblaggio del comparto tecnico. Non fa eccezione questo A star is born, appesantito da un risaputo canovaccio che non prova nemmeno a rinnovare e che, trattandosi per l'appunto di un film musicale, ci distrae dal già visto a suon di canzoni coinvolgenti e rigorosamente suonate live; grazie alle bellissime intuizioni della prima parte – dal colpo di fulmine in un fumoso gay bar al ritornello messo a punto nel parcheggio di un supermercato, dalle famiglie popolose delle commedie di O'Russell ai goffi contrattempi dei boy meets girl –, che lo rendono l'incastro mancante tra i drammi indie e i film-concerto. Se un Cooper impegnato per la prima volta in una doppia veste non era mai stato così affascinante e ispirato, tutti gli occhi sono per una Lady Gaga all'altezza della scommessa: canticchia la Garland sovrappensiero, ha il naso importante della Streisand e gli implacabili primi piani, spogliandola della solita maschera di trucchi e lustrini, ne mettono in evidenza perfino un po' di pancia quando è seduta al piano. È nella lista delle sue imperfezioni, apprezzabili perché capaci di mostrarcela meno aliena, di renderla un'interprete più sincera, che si trovano i pregi di un film trainato interamente dalla sua sconosciuta vulnerabilità: la stessa che fa innamorare un Cooper roco e scapigliato; la stessa che presto attira un gruppo di discografici pronti a stravolgerne l'immagine, trasformando la Germanotta – ragazza di provincia acqua e sapone, e viva i suoi denti a zappa, ode al suo naso aquilino – nella Gaga che fa incetta di Grammy, di hit vuote ma orecchiabili. La storia, purtroppo, è vecchia come il mondo, e il suo essere stata proposta e riproposta nelle generazioni si avverte dall'inizio alla fine. Il melodramma, sottogenere che avrebbe bisogno di emozioni costanti, minaccia di diluirsi soprattutto a metà – momento fatidico della crisi coniugale, già dolente in quel La La Land senza diretti precedenti. A salvarlo dallo stucchevole e da una morale per me poco condivisibile sono il suo spirito da rozzo cowboy, che mi ha ricordato il Clint infatuato dei Ponti di Madison County, e la magica alchimia di una coppia bene assortita. Bradley Cooper e Lady Gaga – di stelle, a questo giro, ne sono infatti nate due – sono talmente complici, talmente in sintonia, da riuscire per fortuna ad allontanarsi dalla superficie (o meglio, dal superficiale), come canta il loro migliore duetto. (7)

Le fotografie del suo corpo hanno fatto il giro dei telegiornali. Facendo sì che della nostra Italia sempre più esecrabile si parlasse in tutto il mondo, ma per i motivi sbagliati: il braccio violento della legge, gli ingranaggi di una burocrazia che temporeggia, una sanità che aggrava anziché guarire. Quel cadavere senza giustizia, diventato presto l'esempio del peggio di cui siamo capaci, aveva un nome e una dignità. Una storia di cui i restanti misteri, pare, sono stati sciolti appena qualche giorno fa: a nove anni dall'omicidio. Stefano Cucchi, geometra romano di buona famiglia, era un giovane uomo con i suoi sbagli a carico: una dipendenza difficile da arginare e un'ingente partita di droga, trovata in casa sua soltanto dopo l'aggravarsi della sua salute, forse destinata allo spaccio. Lontano dall'agiografia, l'esordio di Alessio Cremonini – presentato in anteprima a Venezia e poi arrivato su Netflix non senza controversie, non senza prima passare da qualche sala – racconta i suoi ultimi giorni. L'arresto, il processo e la successiva detenzione: brevissima, perché consumata più negli ospedali che dietro le sbarre. Sulla mia pelle non cerca giustizia e non grida vendetta, rinunciando al piglio bellicoso del film d'inchiesta, così come Cucchi non domandava clemenza ma semplicemente i farmaci per l'epilessia o l'incontro con genitori che, purtroppo, lo rivedranno ormai cadavere. Come spiegare l'impossibilità di fare perfino pipì, i danni insanabili riportati alle vertebre, il sopraggiungere della morte: il tutto, in una cella di sicurezza in cui non sentirsi affatto al sicuro? Tutta colpa delle scale ripide, mormora Stefano abbracciando Tortora, di recente padre affranto anche nella Terra dell'abbastanza. Tutta colpa delle forze dell'ordine, dirà invece la sorella Trinca: a ragione furente, leggevo, ma dai più additata come opportunista – i rapporti tra i due, infatti, dovevano essere meno rosei di quanto qui ci venga suggerito. Tutta colpa della sceneggiatura scarna, inoltre, i difetti di una ricostruzione rigorosa ma fallace, schematica all'inverosimile? Quelle che sono le incertezze del film di Cremonini, in realtà, ci aiutano meglio a riflettere sull'assurdità di un'odissea zeppa di incongruenze, di buchi, di mezze verità. Non ne trova senz'altro giovamento il cinema, in una produzione che ha i suoi limiti oggettivi – troppo aperto il caso per affrontarlo con un punto di vista che effettivamente manca all'appello –, nonostante la prova di un incredibile Borghi, per cui, all'estero, avrebbero scomodato le nomination agli Oscar, l'Actors Studio, le trasformazioni di Bale o Fassbender. Ma è grazie a simili storie di criminalità, eppure, che si smuovono le coscienze collettive, livide per l'indignazione e non per le mazzate, e che l'evitabile destino di Cucchi potrà magari uscire dalle sabbie mobili. Nascosto sotto la pelle di un interprete camaleonte, aggrappato con le unghie e con i denti alla nostra. (6,5)

14 commenti:

  1. “A Star is born” l’avevo snobbato finché, grazie alla riproduzione casuale di YouTube, non mi sono imbattuta nella sua colonna sonora; adesso voglio vederlo ma le aspettative sono moderate.

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    1. Piace moltissimo, in realtà, e sono stati in molti a gioire del ritorno in sale delle storie vecchio stile, dei sentimenti forti. Nonostante la notevole intensità del tutto (che attori, che colonna sonora), la trama aveva effettivamente bisogno di una rinfrescata nel 2018. Ma, dato il genere di per sé poco ambizioso, comunque poco male. Funziona.

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  2. Una sorta di Colonello Homer e Lurleen formato 2000 :)

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    1. Troppo ignorante in fatto di Simpson per cogliere la citazione, ti chiedo scusa! 😅

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  3. A Star is born non è il mio genere e mi interessa poco. Sarei interessata a un recupero sul piccolo schermo, ma ho sentito che l'impianto audio del cinema può fare la differenza, così come in altri casi può farla il grande schermo per le scene d'azione.
    Sulla mia pelle aspetto di essere nello stato d'animo giusto, che il pugno allo stomaco dato dalla storia arriverà probabilmente a prescindere dalla qualità del film.

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    1. Purtroppo, in questo caso, avrebbe fatto la differenza anche la visione in lingua...

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  4. Spero che A Star Is Born non ricordi davvero I ponti di Madison County, che a me era sembrato troppo stucchevole e classico persino per gli standard del più stucchevole e classico tra i registi.
    Diciamo che preferisco puntare tutto su Lady Gaga, ma chissà che Bradley per una volta non mi sorprenda. Anzi, per la seconda volta dopo Il lato positivo. In cui comunque era oscurato da Jennifer Lawrence e temo che qui possa fare la stessa fine. :)

    Sulla mia pelle più importante che bello. La sceneggiatura rimane troppo limitata alla ricostruzione quasi da documentario, ma forse era inevitabile così...

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    1. Il miele anche qui non manca, poco da fare, ma la chiusa disperata aiuta non poco a smorzare i toni. Cooper, secondo me, è bravissimo in questo: a farsi da parte per far brillare le sue partner, così come era stato con la Lawrence. E Gaga, nonostante i difetti della sceneggiatura, fa un figurone memorabile.

      Su Cremoni: forse era inevitabile, o forse sarebbe stato meglio aspettare un altro po'. Sperando di vederci chiaro più avanti. In modo da avere la prospettiva che qui, tra la discrezione generale e il taglio documentaristico, manca.

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  5. Ho visto Sulla mia pelle, e mi ha toccato molto... Forse non sarà perfetto come prodotto cinematografico (anche se io non ritengo di aver gli strumenti per cogliere sfumature in quanto ambito) ma è efficace nel narrare i fatti, senza santificare cucchi o massacrare i carabinieri,a mio avviso.
    Borghi eccezionale.

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  6. Davanti a questi film, purtroppo, mi domando: cosa aggiungono a quello che un trafiletto di cronaca nera, un servizio di Quarto grado, direbbero da sé? Certo, Borghi fa la differenza.

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  7. Film così diversi ma che ritrovo ad accomunare per lo stesso difetto: una mal gestione della storia.
    Cooper abbonda nei temi che potrebbe sviluppare, preferendo invece rimanere in superficie affidando alle bellissime canzoni il compito di emozionare. E funziona, ma a ben pensarci, poco mi è rimasto del film oltre a una playlist su spotify.
    Sulla mia pelle ha il limite di attenersi ai fatti giudiziari, non osa, ma vista la verità, visto l'immenso Borghi, va bene così.

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    1. Da una parte troppo, forse, e dall'altra troppo poco...

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  8. Ahimé, sulla mia pelle è un film talmente devastante che i difetti non li ho sentiti, tanto ero presa dall'ingiustizia della cosa. Ben vengano film così, per scuoterci e farci riflettere, il resto è aria.

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    1. Concordo, ma il cinema, per me, è un'altra cosa. Giusto riflettere sul tema, ma era troppo presto. Manca la verità, o semplicemente unl sguardo, nonostante la diplomazia apprezzabile del tutto.

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