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mercoledì 24 ottobre 2018

I ♥ Telefilm - Speciale Halloween: The Haunting of Hill House

Da bambino mi è capitato spesso di cambiare casa. È per questo che tutt'ora mi scopro sottilmente invidioso nel sentire parlare molti dei miei coetanei, che magari hanno avuto la fortuna di nascere e crescere fra le stesse quattro mura – per quanto monotone fossero, per quanto strette gli stessero –, anziché scoprirsi fra i cinque e gli otto anni maestri di scatoloni da fare e disfare, di addii impacciati. Ho vissuto in appartamenti grandi e piccoli, ho dormito in stanze con poche tracce del mio passaggio. Case con ricordi altrui, al pari di vestiti smessi – e ogni graffio nella carta da parati era una toppa sui jeans, ogni tacca sugli stipiti per segnare gli impercettibili cambiamenti di altezza un orlo da rimboccare. Il mio trasloco più recente risale all'aprile di due anni fa – no, purtroppo non sarà quello definitivo – e ricordo molto bene, da bravo nostalgico quale resto, l'ultima volta nei cento metri quadri che per un decennio abbondante avevano custodito i nostri litigi, le nostre chiacchiere a tavola o sul divano, le nostre sortite a tradimento. A quel domicilio ho lasciato le immagini del mio cane, Gerry, un bastardino morto dieci anni fa; il profilo di mia madre, affaccendata in qualche compito dei suoi, che dal dicembre di tre anni fa incontro ormai soltanto in ambienti neutrali; i giorni neri di mio padre, le porte ammaccate dalla rabbia di mio fratello, la consapevolezza che la famiglia al completo che ricordavo non mi avrebbe mai accompagnato altrove. La nostra storia privata, i segni del nostro tempo insieme, adesso appartengono a qualcun altro: nuovi affittuari che hanno ritinteggiato, buttato via il superfluo, non riuscendo però a scacciare completamente le tracce del soggiorno lì. Nei primi tempi, sapete, guidando sovrappensiero mi è successo perfino questo: di imboccare la solita curva, di fermarmi nel parcheggio di sempre, prima di ricordare di non appartenere più a quella modesta via del centro. È per questo che, se qualcuno mi chiedesse se credo nei fantasmi, risponderei di no. Nelle case infestate, invece, sì.
The Haunting of Hill House, terza trasposizione del romanzo dell'intramontabile Shirley Jackson – autrice di nuovo sulla cresta dell'onda, con all'orizzonte un biopic con Elisabeth Moss e la versione cinematografica di Abbiamo sempre vissuto nel castello –, è una serie horror che, più che infondere paura, vorrebbe parlare a sorpresa di questo: eredità genetiche, memorie irrinunciabili, genitori e figli. Dimenticate presto, infatti, l'esperimento antropologico a cui erano sottoposti gli eterogenei sconosciuti delle pellicole precedenti: questa è né più né meno la storia di una famiglia disfunzionale. Cos'è stato degli sciagurati Crane, che avrebbero dovuto passare a Hill House soltanto un'estate e che invece, a distanza di trent'anni, non riescono ancora a venire a patti con i misteri e i dolori di quella dimora maledetta? Si è trattato di suicidio o assassinio per quella mamma un po' fata – la sempre bellissima Carla Gugino –, della cui morte si continua ad accusare il gelido capofamiglia Timothy Hutton? Abbiamo cinque protagonisti per dieci episodi: la metà di questi, se in una serie lunga e introspettiva, saranno dedicati perciò all'indagine psicologica dei singoli personaggi. Ciascuno con i propri mostri personalizzati, ciascuno con le proprie colpe davanti alla tomba della fragile Nell: sorella minore che, come la loro madre, ha scelto infine il cappio al collo. Abbiamo lo scrittore scettico e senza scrupoli che ha fatto la cresta sulla tragedia, la proprietaria di un'azienda di pompe funebri in crisi coniugale, una psicologa omosessuale terrorizzata dal contatto umano, un tossicodipendente – il gemello della defunta Nell – che da novanta giorni ha rinunciato all'aiuto delle droghe. Molto semplicemente, ci si rincontra per un'occasione spiacevole: il funerale. E con una scrittura dall'inattesa potenza teatrale, fra monologhi struggenti e confessione amare, abbonderanno i faccia a faccia furenti e i salti temporali a cui un Mike Flanagan qui al suo meglio ci aveva già abituati con Oculus (troverete gli stessi raffinati raccordi di montaggio) e Il gioco di Gerald (innumerevoli comunque le influenze kinghiane, con i ritorni all'ovile di It e l'elaborazione soprannaturale secondo Pet Sematary).
Le puntate, a mio dire troppo dense per darsi al binge watching, andrebbero viste una al giorno: meditando sulla qualità della scrittura, sugli equilibri di un cast raccolto in cui si eccelle senza mettersi in ombra – un plauso alla scelta delle interpreti femminili, somigliantissime fra loro, e alla versatilità di Michiel Huisman, non più il bello che non balla di Game of Thrones – e ai guizzi della regia, che impressiona per l'alto livello tecnico nei piani sequenza del sesto episodio. Le voci infondate che parlano di spettatori in stato di shock, colti in preda ad attacchi di vomito o insonnia, andrebbero sfatate: l'inquietudine di The Haunting of Hill House è infatti suggerita appena, attraverso i cattivi presagi disseminati qui e lì e gli eterni ritorni del poetico A Ghost Story, mentre scarseggiano il sangue e i sobbalzi gratuiti. I fantasmi patiscono l'abbandono, l'ergersi dei muri ha un significato tanto letterale quanto metaforico, la casa ha non un cuore ma un segreto apparato digerente. Il soggiorno somiglierà dunque a una lunga trance della quale i protagonisti, suscettibili ai mormorii degli antichi tenutari, tentano per tutto il tempo di svegliarsi. Si confondono realtà e immaginazione nelle nebbie del dormiveglia. Si viene a patti, in una seduta di ipnosi che fra le righe ha del terapeutico, con la delusione di cinque bambini impreparati al mondo esterno. Non si può che crescere a metà, allora: nel mito delle promesse divorate poi dalla notte; cercando invano nelle proprie relazioni l'idillio improponibile fra una mamma trasognata e un papà monolitico – lei un aquilone, lui il suo rocchetto. Prigionieri prima di quelle stanze buie, poi del ricordo, i giovani Crane spergiurano, falliscono, commuovono e perdonano, su una via per l'elaborazione che porta in conclusione dove tutto ha avuto inizio. Ci viene richiesta un'identica assenza di logica per prestare fede all'amore, per credere all'orrore. Il resto, direbbe Nell, sono coriandoli. (9)

20 commenti:

  1. Una meraviglia, per me la serie dell'anno.
    Mi ha lasciata emotivamente distrutta, tra inquietudine e dolore, ma ne è valsa la pena.

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  2. Anche tu sradicato e ripiantato spesso durante l'infanzia? Ti capisco, anche nel mio caso tutti i segni dell'infanzia stanno in case che non vedremo mai più, e anche io - come pure mia sorella - credo più nelle case infestate che nei fantasmi.
    Detto questo, la serie mi è piaciuta moltissimo anche se ho commesso l'errore di fare binge watching, e non è proprio il caso perché finisce che ti concentri sulla trama orizzontale e ti perdi le sfumature.

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    1. La buona scusa per un re-watch.
      E per non trasferirsi più?

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  3. Dopo la delusione di Castle Rock, finalmente un horror di qualità, fatto come si deve.

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    1. A me è piaciuto anche quello, invece, che allo stesso modo ha saputo allontanarsi dai classici territori (in quel caso, kinghiani).

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  4. Ho di recente conosciuto quesra autrice, e letto il libro; tra quelli da leggere ho Abbiamo sempre vissuto nel castello. Per me la penna di Shirley Jackson é stata una scoperta, ne ho adorato lo stile e la capacitá di inglobarti nelle atmosfere inquietanti di Hill House. Sono pochi i libri che riescono ad estraniarti cosí tanto dalla realtà. Straordinaria.
    Peccato che io abbia molto poco tempo per le serie TV, non ho Sky né Netflix nè altro e sono sempre un'aliena quando se ne parla... peccato perchè questa sembra molto interessante...

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    1. Ciao, Letizia! Purtroppo della Jackson ho letto senza grande entusiasmo La Lotteria, ma riproverò presto. E tu, per vedere questo, potresti approfittare del primo mese gratuito con Netflix!

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  5. Ora che tutti ne parlate così bene -mi sono fermata al voto, per paura di spoiler- mi sento in colpa ad aver snobbato una serie che mi sembrava il solito horror fuori tempo massimo. Recupererò già da stasera, devo!

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    1. Nonostante il mostro essere in disaccordo in fatto di horror, questo dovresti amarlo a mani basse.

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  6. Devo ancora finirla ma la amo. Era da tempo che una serie non mi commuoveva così tanto, non offriva personaggi così ben scritti e reali, al di là dell'inquietudine che riesce a suscitare.

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  7. Io non ho cambiato casa troppo spesso. Sarà per questo che non credo nelle case infestate...

    La serie anche per me è meglio da gustare lentamente, più che da fare binge-watching. Il finale della quinta puntata mi ha traumatizzato al punto che ho preso una pausa. Adesso devo solo trovare il coraggio per finirla. :)

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  8. Ho sempre vissuto nella stessa casa, ma per gli ultimi anni di accademia ne ho affittata una in città per le lezioni. Anche se tornavo a casa nel weekend (e non vedevo l'ora di tornare), non mi sono mai trasferita del tutto: non ho mai arredato la stanza, mai portato più dello stretto necessario, mai sentita come casa mia. Quindi riesco ad immaginare quanto deve essere stato terribile per te!
    Per quanto riguarda la serie tv, sono al quinto episodio. Mi aveva già conquistato dopo il primo *-*. Non vedo l'ora di vedere gli altri episodi!

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  9. Questa sera ho guardato la prima puntata. Promette molto bene Lea

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    1. E proseguendo è ancora meglio, vedrai. ❤️🎃

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  10. Piaciuto un sacco anche a me, complimenti per questo resoconto... e soprattutto per la premessa iniziale in cui hai lasciato percepire delle emozioni vere e genuine.
    Unico "contro" della serie? Mi ha devastata davvero un sacco. Penso sia la cosa più triste su cui abbia mai messo gli occhi.

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    1. Non a caso la malinconia del post... Ti ringrazio, e felice che ti sia piaciuta!

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