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L'età ingrata, di Francesca Segal. Bollati Boringhieri, € 18,
pp. 350 |
Julia,
pianista vedova, inglese, e James, ginecologo divorziato, americano,
si innamorano contro ogni pronostico sfidando il ticchettare
dell'orologio. Colti, romantici, presissimi l'uno dall'altra, hanno
cinquant'anni e qualcosa di più grande della loro affinità: quei
figli avuti dai matrimoni precedenti che all'inizio non si piacciono
affatto e malauguratamente, a un certo punto, si piacciono troppo.
Egoisti come tutti i punti da Cupido, i protagonisti hanno fatto il
passo più lungo della gamba e trascinato Gwen e Nathan –
diciassette anni: lei blogger con il sogno dell'arte e lui futura
leva, si spera, della blasonata Oxford – a vivere con loro nella stessa casa a nord di Londra, tanto
presi da non curarsi del disagio generale. La convivenza pesa. Lo spazio non è mai abbastanza,
qualsiasi occasione è buona per darsi addosso. Ma ecco che succede
l'inevitabile. Perché Gwen ha questa irresistibile cascata di
capelli rossi, Nathan è saccente ma non si può far altro che
pendergli dalle labbra, e la paglia, a contatto col fuoco, brucia nel
lampo delle tempeste ormonali. Adesso Julia sta con James. Gwen sta
con Nathan, e alcuni segreti, si sa, hanno vita breve se schiacciati
sotto lo stesso tetto. Era un problema grosso l'antipatia degli
inizi, per l'equilibrio di una coppia di mezza età che si sognava
già famiglia. Figurarsi l'amore, che crea sceneggiate, imbarazzi a
cena e schieramenti inevitabili.
Metti
insieme due adolescenti, la curiosità e gli ormoni impazziti, e
all'improvviso sembra ovvio.
L'età
ingrata è quella dei figli che
pretendono continue libbre di carne.
L'età
ingrata è quella dei
cinquantanenni soli di ogni dove che, abbandonati in un angolo,
sfioriti, hanno fretta di trovare compagnia sui siti d'incontri o
negli appuntamenti al buio; di essere finalmente felici,
convincendosi sia subito amore vero. Uno di quelli
post-adolescenziali e totalizzanti, insomma, che rendono ciechi ben
prima degli scherzi della presbiopia. Cosa farebbe al posto loro
Pamela, la ex hippy di James? Cosa direbbero gli ex suoceri di Julia,
Iris e Philip, che eppure in età pensionabile stanno vivendo zitti
zitti svolte simili, fra trasferimenti altrove e gelosie fuori tempo
massimo? Soluzione ragionevole sembrerebbe proprio separare i novelli
Romeo e Giulietta con le cattive, ma come funziona con la felicità,
con il batticuore... A chi si e a chi no? C'è in gioco il futuro dei
loro ragazzi, affezionatissimi e totalmenente irresponsabili. Li si
appoggia, da bravi genitori. Si prendono le parti: guai a chi li fa
piangere, guai a chi si frappone fra loro e le loro grandi speranze
(l'educazione accademica, l'interrail la prossima estate). C'è in
gioco, tuttavia, anche la loro relazione. Si parla di nuove dinamiche e
vecchi torti, di fiducia soprattutto. Non abbastanza vecchi da
rinunciare alla passione, ma troppo per salire sulla giostra
ormonale della loro prole, Julia e James sentono di aver fatto un
errore: sentirsi prima persone che genitori, godendosi finché è
durato il privilegio di essere egoisti. Essere parner accomodanti, essere guide sempiterne: a cosa dare la precedenza?
L'ira
era più sopportabile del rimpianto.
Non
fanno una bella figura i giovani: irruenti, sprovveduti, facce da
schiaffi che irritano con poco. Ma, a mio dire, non fanno una bella
figura nemmeno genitori: fra due fuochi, senza gravi colpe, ma
comprendete la prospettiva di un figlio di freschi separati che in
questo periodo cova amarezza e musi lunghi; che alla vigilia di
Natale ha dovuto fare da ambasciatore che porta pena, da paciere, fra
un padre che rivive un secondo tempo delle mele (dimenticandosi chi
gli è stato alle costole nel momento del bisogno) e un fratello
minore che non lo accetta (dimenticandosi a sua volta quanto doloroso
sia stato quel momento, quanto potremmo stare più in pace d'ora in avanti).
Primo romanzo che leggo dell'apprezzata Francesca Segal, L'età
ingrata è una commedia british,
elegante, ciarliera, che non brilla per lo spunto – lasciamo però
i paragoni con I Cesaroni alla
Garbatella e alle repliche su Italia Uno, per favore – ma per uno
stile cinematografico, nelle corde di David Nicholls e Fionnuala
Kearney. Scritto benissimo ma con più di qualche pagina in eccesso –
troppe, infatti, quasi 400 per raccontare una storia
agrodolce, a tratti molto divertente, ma dall'andamento tutto sommato
intuibile –, il romanzo colpisce per l'invidiabile accuratezza dei
pensieri, dei sentimenti in gioco, delle situazioni scomode. Per
l'ambiguità di un titolo, di un tema, che punge sul vivo tanto le scelte degli adulti quanto quelle degli adolescenti.
Il
mio voto: ★★★½
Il
mio consiglio musicale: OneRepublic – Good Life