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mercoledì 29 marzo 2017

Recensione: La vita felice, di Elena Varvello

Non ne sapevo niente, allora, dei modi in cui l’amore può manifestarsi, né della forza con cui può spingerci in un angolo e toglierci il respiro.

Titolo: La vita felice
Autrice: Elena Varvello
Editore: Einaudi
Prezzo: € 18,50
Numero di pagine: 190
Sinossi: Elia ha sedici anni ed è un ragazzo solitario. Suo padre è stato licenziato e ha cominciato a comportarsi in modo strano, sparendo per ore a bordo di un furgone, chiudendosi in garage, scrivendo lettere che denunciano un complotto di cui si sente vittima. Elia prova a decifrare ciò che accade, mentre sua madre sembra non voler vedere. Fino alla notte d’agosto dopo la quale nulla sarà piú come prima: la piccola comunità di Ponte – già segnata dall’omicidio insoluto di un bambino – si sveglia sconvolta per il rapimento di una ragazza, salita la sera precedente su un furgone e poi svanita in mezzo ai boschi. Ma quell’estate per Elia è anche segnata dall’attrazione per Anna Trabuio, dall’amicizia per suo figlio Stefano, dalla scoperta lacerante dei propri desideri e dell’istinto di sopravvivenza. A raccontare tutto questo è Elia trent’anni dopo: un uomo che tenta di ricucire lo strappo del passato e illuminare il buio nella mente di suo padre, immaginando cosa sia accaduto davvero quella notte, e cosa significhi perdere se stessi. Ma soprattutto tenta di rispondere a una domanda: com’è possibile, dopo una ferita cosí profonda, sperare di essere felici? Tra La settimana bianca e Io non ho paura, Elena Varvello ha scritto una storia di formazione diversa da tutte le altre, che cattura il lettore con una lingua cesellata, dura e trasparente.
                                                 La recensione
Un groviglio di tronchi e rami ai lati della strada. Un bosco. Gli occhi di due fari che bucano il buio. Senza soffermarmi sul risvolto di copertina, non so perché, avevo immaginato un giallo investigativo. Un poliziesco. Mi sono soffermato sui giovani misteri della Vita felice in ritardo. Complice un bellissimo post a tema Stranger Things di un'amica blogger, Francesca, nel quale si parlava di anni Ottanta e romanzi di formazione. Per gli spettatori incapaci di attendere il prossimo Halloween per scoprire finalmente cosa ne è stato di Eleven e del resto della squadra, ingannare l'attesa leggendo avventure dal sapore rétro: senza tirare in ballo, magari, il classico Stephen King. Mi sono ricordato del romanzo di Elena Varvello quando l'ho incrociato in biblioteca. L'ho portato a casa con me senza tentennare: ad ottobre, infatti, quant'è che manca? Si parlava, a proposito di John Irving e di proverbi della nonna, di incipit che sono mezza bellezza. Quello della Varvello è di quelli che ti fanno dannare l'anima. In apertura, subito palesati i sospetti verso un padre non così irreprensibile: Ettore Furenti, ci racconta in prima persona il figlio Elia, diede uno strappo a una ventenne e la condusse nel fitto del bosco. 
La stessa estate in cui i carabinieri trovarono alle cascate il cadavere di un bambino e i Trabuio, famiglia sulla bocca di tutti, tornarono in paese con la coda tra le gambe. Elia, all'epoca, aveva sedici anni. Gli anni Settanta erano lì lì per finire, e anche la sua innocenza. Il protagonista vive in un paese di provincia, al nord. Non c'è futuro, non c'è divertimento, non c'è respiro. Solitario e irrequieto, disobbedisce alle raccomandazioni della madre. La noia e la curiosità lo portano a farsi amico il ribelle Stefano, figlio della chiacchierata Anna Trabuio: una donna di mezza età e dalla bellezza sfiorita, che gli occhi inesperti di un ragazzino trasformano in un mezzo sogno erotico. Elia scopre l'amicizia e l'attrazione verso un'adulta che non è quello che dipingono. Soprattutto, tra sigarette consumate fino al filtro e altalene cigolanti, il malessere di un padre che perde il lavoro in fabbrica e, assieme a quello, il sorriso e la lucidità. Quale interruttore scatta nella testa del paranoico Ettore Furenti, che d'un tratto farnetica di cospirazioni e cattivi consiglieri? Perché le tante notti passate in garage, il furgone infangato, i tagli inspiegabili sulle nocche? 
Intanto sua moglie, una bibliotecaria paziente e in buona fede, madre irreprensibile, ignora deliberatamente i segni. La vita felice, predice Anna a Elia, è quella che verrà. Lo dice il palmo della sua mano sinistra. Sarà una vita lunga, lunghissima. Il romanzo di Elena Varvello, graffiante e caotico, in realtà felice non è. Una lettura cupa e nerissima ma dal fascino indubbio, in cui la selva oscura della copertina – e l'impossibilità di sottrarsi ai legami di sangue – toglie il respiro. Ci sono infiniti spazi aperti, ettari e ettari per sotterrare cadaveri e sperimentare nuovi giochi, ma ci assale un profondo senso di claustrofobia. Lo stesso provato, magari, da una baby sitter che sale nella macchina di un estraneo e si accorge che da quel viaggio in fondo alla notte non ci sarà ritorno. Si gioca a carte scoperte, eppure il dubbio resta. Si percepisce una certa stanchezza, in un finale che si dilunga un po' troppo, ma La vita felice è una di quelle giornate estive in cui a letto arrivi stanco morto. Ti stendi e crolli. Sogni un romanzo che non ha grandi colpi di scena o scossoni, vero, eppure è scritto con una ferocia e una precisione esemplari. Ho pensato a Niccolò Ammaniti. Ai bambini di Io non ho paura, alla scoperta del cuore nero dei loro genitori. Al Quattro Formaggi di Come Dio comanda e a una di quelle notti da lupi in cui un gesto avventato sconvolge le carte. Qui si collezionano i fumetti di Tex. Si nuota in specchi d'acqua che sono poco più larghi di pozzanghere. Si ascoltano i mangianastri e, nottetempo, si presta ascolto ai movimenti di un genitore che furente lo è diventato di fatto oltre che di nome. Il bene costruito in sedici anni è cancellato nel giro (e nel male) di un secondo? La paranoia è un gene recessivo? L'estate, l'adolescenza e La vita felice sono un battito di ciglia. Quel lampo fugace, ciò che vedi nel mentre – a metà dell'autunno, dell'essere adulti, della lettura successiva –, fa la differenza.
Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Subsonica – Tutti i miei sbagli

8 commenti:

  1. Non sembra del tutto originale, però pare comunque piuttosto intrigante...

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    1. Originale non lo è, però di romanzi come questo - scritti bene, soprattutto - non ne ho mai abbastanza.

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  2. L'ho segnato solo per il rimando a Stranger Things. Se non reggo l'attesa, ora so come trovare consolazione.

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    1. In realtà questo non vira al fantastico, ma gli anni e i canoni di riferimento sono quelli lì. C'è tanto King, tra le righe. ;)

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  3. Avevo letto "La luce perfetta del giorno"di questa scrittrice e riponevo grandi aspettative.
    Mi ha deluso,soprattutto per la mancanza di chiarezza.
    Sembra che oggi scrivere in modo criptico e confuso sia segno di alta scrittura.
    Amo la chiarezza anche quando si parla del buio della mente.
    Un appunto: Anna ha 36 anni.non puoi dire che è una donna di mezza età!!!
    Solo a Dante è concesso,ma solo perché sono passati più di 700 anni.

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    1. Eh, che precisione!
      La ricordavo sulla quarantina. Di mezza età, dài.
      Soprattutto se il protagonista ha sedici anni e Anna potrebbe essere sua madre. L'ho trovato poco fresco anch'io, effettivamente, ma l'autrice è una bella scoperta. :)

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  4. al di là del libro, che potenzialmente è pure bellino... la canzone, Dio che pezzo di (mio) cuore ha questa canzone!

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