Pagine

giovedì 22 settembre 2016

I ♥ Telefilm: Scandal V, Barracuda, American Gothic

Quattro stagioni fatte fuori in un'estate. E io, che eppure non amo né le maratone ser(i)ali né i recuperi in grande, con Scandal mi ero fissato. Con i gladiatori in doppiopetto della bellissima e spietata Olivia Pope, dopo aver fatto l'errore di ignorarli per anni e anni, avevo fatto pace, infatti, consacrandogli i mesi fatidici in cui il sole batte, la televisione è spenta, i cinema chiudono. Nonostante il gran parlarne, nonostante i “guardalo, guardalo”, che sorpresa: me lo aspettavo più serio o forse l'esatto opposto, trash e senza redenzione. Invece, tra comprimari iconici, dialoghi brillanti e loschi intrighi alla Casa Bianca, ero rimasto conquistato dalla Rhimes amata dai più. Una furiosa carrellata, giusto in tempo per la quinta stagione. Sono in pari: guardo un episodio, un altro... arrivo al decimo. E poi? C'è che, poi, di Scandal ho fatto indigestione. Gli ho detto arrivederci durante la pausa invernale e solo mesi dopo, a stagione conclusa e già doppiata, ho prosegito. Ma sempre perché la concorrenza scarseggiava, in sala così come sui palinsesti, e nelle sere a casa non sapevo come impiegare il tempo. Indigestione, a ripensarci, o delusione? La quinta, probabilmente, è la stagione meno riuscita. E gli episodi introduttivi, lenti, disinformativi e patinati come una puntata speciale di Verissimo, erano l'equivalente dei rotocalchi che leggi – e scordi – nelle sale d'attesa. Dopo lunghi tira e molla e infinite chiamate notturne, il Presidente e il suo braccio destro, quella Olivia suscettibile e sentimentale che non mi è mai stata troppo simpatica, hanno l'occasione di essere felici. Ma le cene di gala, le mani sventolate e i compiti di una first lady non si addicono alla Pope, che trascura il suo team e, momentaneamente, la sua anima battagliera. La squadra, così, rischia il disfacimento: manca il collante, che indossa abiti color avorio e procura succulenti ingaggi. Scandal si perde fino a metà. Poi, è tempo di presidenziali: il mandato di Fitz sta scadendo, lui e lei si accorgono che si amavano di più se lontani e ostacolati, il magnifico Commando muove le fila – e, a sorpresa, trova una moglie per Jake, l'altro lato del triangolo. Ritorna Mellie, in gran spolvero, reduce dalla tragica morte del figlio e dal chiacchierato divorzio: sa cosa vuole, e vuole essere la prima donna al potere. Olivia, da sua nemica giurata, sposerà la sua causa. Mi è mancato Cyrus (protagonista di una grottesca relazione con la sua guardia del corpo, mentre il marito, affascinante gigolò affrancato, rode per la gelosia) e qualche episodio in surplus – dieci, diciamolo pure – mi hanno traviato, in accordo con la mia incostanza. Però Scandal rimonta in sella, si rialza senza graffi sanguinanti, e torna lo stesso di sempre o quasi. A ricordarti che nel profondo del suo essere è una soap opera, sì, ma che un cast straordinario – guidato dall'affidabilissima Kerry Washington – e una scrittura che si va man mano rinvigorendo e raffinando fanno miracoli contro la catastrofe delle prime impressioni. (7)

Danny Kelly, diciassette anni, viene ammesso in una prestigiosa scuola privata in cui appare subito fuori posto. Ha una famiglia d'immigrati, che gli dà tanto supporto e anche un po' di vergogna, e un solo talento. Il nuoto è e sarà il suo lasciapassare. "Pariah" tra i coetanei, in piscina si muove come un delfino. Anzi, come un pesce cane. Le bracciate precise, il corpo perfetto e i tempi folgoranti lo porteranno a essere ben visto nella squadra, a guadagnarsi un soprannome su misura. Forse, alle Olimpiadi. Tratto da un romanzo dell'autore di Lo schiaffo e liberamente ispirato alle imprese in vasca di Ian Thorpe, Barracuda è una miniserie che ho visto per caso. Ed è così che spuntano le belle sorprese. Partita come un teen drama, canonica ma coinvolgente già a prima vista, la serie australiana sul liceale con la stoffa del campione si evolve in fretta: la popolarità, infatti, fa sì che il timido Danny venga ammesso nei salotti, e nella casa delle vacanze, di una famiglia in vista. Corteggiato dalla primogenita, in segreto pensa però al fratello di lei, Martin: nuotatore che il protagonista ha scalzato, e che a volte sembra assecondare il suo sentimento, altre respingerlo. Barracuda, tra le righe, parla del tabù dell'omosessualità nel mondo dello sport, ma con assoluta discrezione. Parla di quei giovani dati per sconfitti che invece ce la fanno. Ancora, di quant'è difficile rialzarsi dopo una caduta: se si atterra in acqua, c'è il serio rischio di morirne. Nella seconda parte, emozioni intense e notevoli picchi di struggimento. La serie punta sul viso pulito dell'esordiente Elias Anton, fisicamente e emotivamente provato; sugli sguardi con Ben Kindon, viziato e impenetrabile; su una calorosissima dimensione familiare e sulla sinergia con l'ottimo Matt Nable, allenatore saggio e fragile quanto Stallone nell'ultimo CreedBarracuda punta al cuore. Un cuore grande e sciupato – per l'oro olimpico, per l'amore -, che ricorda un Veloce come il vento. Come lì, coinvolgimento assicurato anche per i non appassionati; solo, più amarezza. Il greco Christos Tsiolkas cura la biografia immaginaria di una meteora degli anni Novanta: un atleta che un giorno emerge, l'altro sprofonda nell'oblio. La notorietà, in un mondo di competizione e sacrificio, dura un niente: quattro episodi appena. E se si annega e poi si torna a respirare, come in quelle storie di rivincita che mi emozionano sempre, qui ci si concentra più sullo scivolone, sulla caduta, sul piede messo in fallo. Quanto è umiliante deludere le attese? Quanto fa male reinventarsi, anche se a soli vent'anni? (7,5)

La famiglia Hawthorne è sinonimo di denaro e potere. Costruttori da generazioni, lavano i panni sporchi lontani da occhi indiscreti e custodiscono gelosamente i loro misteri. In seguito a un crollo, viene trovata la prova schiacciante che il Killer delle Campanelle, assassino che strangolava le proprie vittime con una cintura di pelle e lasciava una campanella d'argento sulla scena del crimine, ha mietuto un'altra preda prima di scomparire nel nulla. Forse, è uno di loro: al di sopra di ogni sospetto, con tutto da perdere. Quel patriarca, magari, che è morto portandosi nella tomba il suo ultimo segreto? American Gothic, libero rifacimento di una serie degli anni Novanta a me sconosciuta, ha un titolo che rimanda al dipinto a olio di Grant Wood e a un celebre romanzo del Robert Bloch di Psycho. Giallo in tredici episodi, patinatissimo ma dal decoroso taglio stilistico, è in realtà una soap – da quel che leggevo, già in onda su Rai Due – ambientata tra passato e presente, dei cui misteri si viene a capo solo alla fine. Semiserio intrattenimento estivo, trash ma non così tanto, è una partita a Cluedo giocata dai membri della famiglia protagonista: chi perde muore. Eredità e delitti svelati portano gli Hawthorne a riunirsi, sotto i flash e le domande dei giornalisti d'assalto. Una buona Virginia Madsen, mamma chioccia senza scrupoli, accoglie in salotto la figlia maggiore, che si è data alla politica; la piccola di casa, che ha poco intuito e un marito poliziotto; il tenebroso Antony Starr di Banshee – incrocio tra Fassbender e Ian Somerhalder –, che torna suo malgrado all'ovile, dopo una gioventù ribelle; da Shameless, un Justin Chatwin fumettista e tossicodipendente, padre di un bambino inquietantissimo e compagno di un'artista che salta da una clinica all'altra. Cinque pedine, ognuna con le proprie sottotrame da portare avanti, la giusta quantità di curiosità e qualcosa che non torna, anche se sei stato un fedelissimo perfino delle discutibili vendette di Revenge. Lo seguivo a tempo perso, ma American Gothic mi piaceva oppure no? Un epilogo non all'altezza – il season finale è forse la parte peggiore -, infine, mi ha suggerito di no. Quello, non del tutto scontato, ma raffazzonato e strascinato, ha fatto più danni di un cast che recitava senza crederci davvero e di un intrattenimento discreto, tutto sommato, nonostante i buchi narrativi e le leggere noie in mezzo. La metà esatta degli episodi avrebbe fatto a metà del patimento. Richiesta esagerata, se parliamo a tu per tu con un irredento guilty pleasure? (5,5)

12 commenti:

  1. Scandal parte un po' in sordina, ma poi crea dipendenza. Anche io l'avevo iniziata d'estate, d'altra parte per la stagione è perfetta, e poi dopo un recuperone mi sono messo in pari.
    Anche se prosegue tra alti e bassi, è impossibile farne a meno! ;)

    Barracuda non mi ispirava granché, considerando che l'ambiente del nuoto non mi fa certo impazzire, però se ricorda Veloce come il vento potrei fare un tentativo, o altrimenti abbandonarla in maniera veloce come il vento. :)

    American Gothic l'ho mollata dopo una manciata di episodi. Serie guardabile ma di qualità medio-bassa, non mi pare di aver fatto male a lasciarla...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Aspettiamo che la bella Olivia sforni il nuovo pargolo (quanti ne ha, esattamente?) e che ritorni alla Casa Bianca, allora. Per quanto riguarda American Gothic, si guarda ma non ti perdi assolutamente niente; invece Barracuda è così coinvolgente - e, all'inizio, anche molto teen - che scommetto ti piacerà. ;)

      Elimina
  2. Te l'avevo detto che la seconda parte di Scandal riportava tutto in carreggiata ;) Meno soap, più campagna elettorale. E dato che ci siamo, anche meno figli, che la Washington non ci pensa a chi aspetta con ansia i nuovi episodi?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma sì, la Washington si deve sbrigare con questi bimbi, sennò mi (ri)passa l'entusiasmo. :)

      Elimina
  3. Sto seriamente sperando che Scandal recuperi un po' della prestanza delle prime tre stagioni. Per me il decadimento è iniziato già nella quarta, con quel divano macchiato e rimasto lì come monito per una stagione e mezza quasi. No, non ci siamo. Spero davvero in un recupero o potrei seriamente abbandonarla.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Hai ragione, ma la quarta - vista tutta insieme - non l'avevo patita. Questa un po' sì, ma sa farsi perdonare.
      Anche se per me è arrivata l'ora di chiuderla qui, no?

      Elimina
    2. Sì, credo anche io. Ci sono serie che si meritano una fine dignitosa senza che vengano sottoposte ad un eterno declino solo perché fanno ascolti.

      Elimina
    3. Sperando che Shonda non tenti di superare Grey's Anatomy, eh!

      Elimina
  4. Michè, tu sei una persona che ha del fegato, perché per arrivare alla quinta stagione di una qualsiasi serie della ABC ce ne vuole tanto! :D

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Eh, ci si fa il callo! Di Grey's Anatomy quante ne hanno fatte, duecento? :)
      Scherzi a parte, capisco perché Shonda va forte però.

      Elimina
  5. Ma ogni volta che leggo su American Gothic mi confondo con il cultone di Sam Raimi, ci casco sempre! XD

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma io il cultone di Raimi non ce l'ho presente e l'ho googlato. Mi rimanda a una serie del Novantacinque. Che quella della CBS sia il remake di quella lì?

      (Ah, pare di no. Stesso titolo, dice Wikipedia, me nessun collegamento particolare.)

      Elimina