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sabato 16 gennaio 2016

Mr. Ciak - And the Oscar goes to: Revenant, Creed, Dio esiste e vive a Bruxelles

Oscar 2016
12 candidature 
Il Nuovo Mondo è una terra per combattenti, un'arena ghiacciata e impervia per soli uomini. Vi si muove in sincronia, passando attraverso boschi intricati, fiumi gelidi e lande deserte, un gruppo di esploratori britannici. A ogni passo, c'è la paura di un agguato: i nativi, che reclamano il loro territorio messo a ferro e fuoco dai colonizzatori; i rivali francesi, sempre in competizione; i compagni d'avventura, perfino, se sei stato ferito nel corpo e nell'anima e abbandonato lì fuori, tra infinite insidie, perché i furbi scappano a gambe levate e gli onesti, che annaspano nel loro stesso sangue, restano fermi. Questo il destino di Hugh Glass, che ha fatto bene a fidarsi degli indigeni – da una di loro ha avuto un figlio, Hawk – e male, invece, a fare affidamento sull'avaro Fitzgerald: straziato da un orso bruno, viene lasciato all'addiaccio, solo, sebbene abbia ancora un po' di fiato in corpo. Non abbastanza, comunque, per denunciare un delitto che lo tocca da vicino e gridare giustizia. Revenant, lunga epopea americana, è una storia di morte e rinascite, contro le bestie selvagge, la pochezza dei nostri simili e un inverno rigido, che non perdona. E non perdona il protagonista, che arranca e si arrangia, lotta e cerca casa, mosso da istinti basici e necessari: vita e vendetta. L'ultima fatica di Alejandro Gonzàlez Inàrritu, reduce dai fasti – da me non condivisi – di Birdman, è una novella Odissea. Un estenuante viaggio omerico, che va ad inserirsi in quel filone cinematografico che ha i suoi esempi celebri in Balla coi lupi e L'ultimo dei Mohicani. La violenza che macchia il candore di un rosso arterioso – e non c'è confine a separare l'amico dal nemico, il buono dal cattivo – e tutte le sfide atroci dei survival di ogni dove. L'uomo in guerra contro i quattro elementi e che, creatura a sangue freddo, si adatta: nella scena più forte, ad esempio, DiCaprio smembra un cavallo e usa il corpo dell'animale a mo' di coperta termica. Ma per tutto il tempo, nel film che tutti acclamavano ancora prima di assistere alle proiezioni ufficiali, c'è un fastidioso senso di già visto – anche se nessuno, finora, aveva fatto bene come il messicano che ogni cinefilo doc porta sul palmo della mano. Revenant ha una regia straordinaria e un lato tecnico che sconvolge per la potenza e la solerzia. La fotografia, per descrivere la quale ci vuole proprio quel “mozzafiato” che la mia prof delle superiori consigliava di evitare, mostra una pellicola dalla realizzazione travagliata – leggevo che Inàrritu e il suo cast hanno lavorato in situazioni impossibili, solo con l'ausilio della luce naturale – e di indicibile cura. DiCaprio, ormai osannato a priori per consolarlo dai dispetti dell'Academy, regala una sentita prova fisica: bravo come lo è stato anche in lavori passati, dunque poco sorprendente. Questa volta, trionferà il suo lavoro di introspezione – ha poche battute e il ruolo dell'eroe tutto d'un pezzo –, anziché il mimetismo altrui? Con lui, messi a dura prova dai climi pungenti ma agevolati dalle indicazioni dell'onnipresente Alejandro, il giovane Will Poulter, con i lineamenti così comici e un'intensità finora sconosciuta; Domhnall Gleeson, che ho bollato come promettende da un po'; uno spregevole Tom Hardy che, fuoriclasse che non è altro, ruba la scena al protagonista moribondo. Però le due ore e trenta di visione, tante sì, ma non pesano particolarmente, sono state in poltrona tutte un continuo: questo mi ricorda Il gladiatore – i flashback ovattati in cui Glass ripensa alla moglie -, quello Robinson Crusoe – non manca, infatti, il provvidenziale savage savant. Questo Cold Mountain – il ritorno e i presagi di sciagura -, quello Gangs of New York – il sanguinoso conflitto conclusivo. E se ricorda un po' questo e un po' quello, vorrà dire che Revenant, impeccabile nella resa, fin troppo antiquato e freddo nell'ideazione, si scorderà in fretta? O, banalmente, farà lo scalpo ai rivali? Come lo scorso film premio Oscar di Steve McQueen, che dava tante di quelle scudisciate eppure non lasciava il segno, lì per lì mi ha soddisfatto, ma sospetto che non stenterò, tra dodici mesi, a trovargli un più valido rimpiazzo. Un'americanata con tutte le concessioni del caso - quante sofferenze per il povero Leo, e altrettante inspiegabili, colossali botte di fortuna - con una direzione artistica che fa la differenza. (7+)

Oscar 2016
migliore attore non protagonista
Gli Stati Uniti sfidavano la Russia, in Rocky IV. Questione politica, poi sportiva. I russi erano alti, biondi, spietati. Gli americani, invece, benché ci fossero sembrati guerrieri nei film precedenti, erano in schiacciante svantaggio. Nel round conclusivo, Rocky non si era fatto però buttare al tappeto; vani i “ti spiezzo in due” dell'avversario. Ma quello precedente, di round, aveva riservato ai protagonisti di una saga che unisce generazioni lontane una sconfitta e un lutto. Apollo Creed, con i suoi famosi pantaloncini a stelle e strisce, era morto sotto i pugni del nemico straniero. Zio Sam era stato messo KO. C'era stata, puntuale, la rivalsa. Perché quello, essenzialmente, predicava Rocky: cadere e rialzarsi, sfidare tutti i pronostici. E li ha sfidati Silvester Stallone, settant'anni a luglio, agli scorsi Golden Globes: il meritato premio al miglior attore protagonista, mentre gli snob non se ne capacitavano e la concorrenza si sfregava le mani, per la partecipazione a Creed. Storia di un figlio nato fuori dal matrimonio, con il pugilato nel sangue, che segue le orme di quel padre che non ha mai conosciuto. Un'operazione commerciale come tante, immaginavo, prima di trovare il buon Silvester anche in lizza per i prossimi Oscar. Ci avevano già provato dieci anni fa, con un sequel tanto nostalgico quanto spento, con un protagonista vedovo e amareggiato, un ristorante da mandare avanti, un'ultima sfida in cui sotto sotto non credeva lui per primo. Non aveva più l'età. Stallone, così, cede sceneggiatura e macchina da presa a Ryan Coogler, acclamato per Fruitvale Station, e abbandona gli scontri corpo a corpo per spiegare i trucchi del mestiere, ormai saggio e stanco, a uno di famiglia. “Zio”, lo definisce Adonis Creed, incurante che la loro pelle non sia dello stesso colore e che sia prematuro raccogliere la sua eredità. L'eppure convincente Michael B. Jordan, infatti, ha un personaggio acerbo, a cui manca tutto quello che Rocky, ancora prima di diventare ufficialmente mentore, aveva insegnato ai suoi spettatori. Gli abbiamo voluto bene perché era umano, improbabile e un po' tonto, forse per tutte quelle botte in testa o forse no. E io ci sono legato, pur non amando il genere, perché incarna il senso delle seconde opportunità in cui credo fermamente. Adonis, figlio d'arte, ha il gioco facile: un fisico statuario, un cognome che gli apre tante porte e, tra il pubblico, una fidanzata musicista e un coach leggendario. Non è un ragazzo di strada, nonostante un'infanzia in riformatorio. E non si sviluppa una reale empatia nei suoi confronti, con una presunta vittoria che nessuno mette in dubbio e una situazione sentimentale – la vicina di casa di cui s'innamora è destinata a perdere l'udito – che non sfiora. Gli si preferisce senz'altro il granitico Jake Gyllenhaal, pugile mancino in Southpaw, che mi aveva commosso con il vuoto lasciato dalla sua personale Adriana, una bambina di cui riconquistare la fiducia, le magie delle fenici che rinascono. Così dicendo, non negherò però che Creed emoziona e coinvolge, tra strizzate d'occhio, citazioni e immancabili tappe nei luoghi simbolo della serie originale. Se convince, è solo per la partecipazione straordinaria di questo inimitabile italoamericano che qui intristisce e sorprende, perché anziano, infermo, abbandonato a se stesso. Le visite alla tomba di Adriana, le immagini di repertorio, il lasciapassare per gli omaggi più sentiti – ed ecco Jordan in tuta grigia che cattura galline per allenare i riflessi o che, nella corsa per la vittoria, coinvolge un corteo di motociclisti e sostenitori. I gradini scalati in passato, ancora, che sembrano impraticabili; una scalata. Ma, per tutto il tempo, chi aiuta chi? La classica umanità di Stallone, al giro di boa con il suo personaggio cult, amico immaginario suo e nostro, vince a mani basse contro i muscoli del nuovo protagonista e l'idea di un fatale lascito. Stallone è spalla, su carta, ma in realtà è linfa vitale dell'intero progetto. Che funziona alla perfezione come capitolo complementare, meno come reboot. Provano a limitarlo, a fargli fare la parte del grillo parlante, ma Rocky – nella fragilità, nelle ossa che cigolano, nella ricerca di futuri eredi al titolo – non si lascia mettere in un angolo. L'allievo, al contrario, non ha gli occhi della tigre. (6,5)

Golden Globes 2016
miglior film straniero 
Nell'attico di un grigio condominio, in un grigio Belgio, vivono una madre remissiva, un padre padrone e un'adolescente ribelle. Del figlio maggiore, un hippy, è vietato chiedere. La testarda Ea non potrebbe sbirciare nell'ufficio disordinato del normativo genitore, mettere il naso fuori. La segreta via di fuga in un tunnel al di là della lavatrice, elettrodomestico profondo tanto quanto la tana del Bianconiglio, e un atto di estrema disubbidienza – rivelare agli uomini la loro data di morte – la porteranno nel mondo e a intavolare una discussione a muso duro con papà, l'Onnipotente. Noi crediamo in Lui – o, almeno, c'è chi ci crede –, ma lui crede in noi? La nuova commedia del regista dello splendido Mr. Nobody siede alla destra del Padre e nella prestigiosa cinquina dei migliori film stranieri ai Golden Globes e, dopo il capolavoro Alabama Monroe, mostra un Belgio diverso senz'altro, leggero, ma a suo modo in ghingheri. E Bruxelles, base prescelta dal divino Benoit Poelvoorde, io la immaginavo – insieme alla fuggitiva Ea - meno cupa, più soleggiata; sarà davvero il posto giusto per cercare l'ispirazione per un nuovo Nuovo Testamento e completare la squadra degli apostoli? All'appello, ne mancano sei, e sono tipi infelici, fuori posto, vinti. Scrive le loro storie un profeta clochard e a leggercele, all'alba della fine del mondo, è la gemella di Amèlie Poulain, bambina dalla voce schietta e dirompente. Una “piccola principessa” che, mentre i più imparano a morire, imparerà a vivere, pianificando amori e realizzando sogni nel cassetto. Dio esiste e vive a Bruxelles è un apologo blasfemo, dissacrante, da lacrime agli occhi, che fa riflettere e indispettire. Poi stare bene. Ritocchi a fantasia al dipinto dell'Ultima Cena, qui affollatissima, che non farebbero storcere il naso né al ricordo di Leonardo, né al credente più osservante: la scrittura è brillante, l'immagine è surreale e c'è innegabile poesia nel provocare. Perché in ogni persona risuona una melodia segreta e la protagonista procede con gli abbinamenti, con le "corrispondenze di amorosi sensi", e alla regia l'irresistibile canaglia Van Dormel fa altrettanto. Dio è morto, cantava qualcuno. O, come dico spesso, dorme e si è voltato dall'altra parte. Il regista belga aggiunge, di suo, che le troppe birre, le giornate inoperose e lo sport, in tivù, conciliano la sacra pennichella post Creazione. E che, soprattutto, il Grande Capo avrebbe bisogno di un vice; magari di un centrino ricamato qui e lì, di un tocco femminile. Ogni tanto le stuatue piangono; sui Cristi in croce appaiono espressioni di sofferenza. Qual è il prodigio? Il miracolo che manca, come diceva Troisi, sarebbe piuttosto questo, vedere una Madonna che ride. (7)

39 commenti:

  1. Dio esiste ancora mi manca, ma presto rimedierò.
    Di Creed e Revenant parlerò lunedì e martedì.
    Sly MITICO.

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    1. MITICO, sì, ma sono curioso di sapere cosa pensi di 'sto Michael B. Jordan. C'è gente che grida allo scandalo per la sua mancata candidatura agli Oscar, e mi sembra un tantinello esagerato.

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  2. Gli altri due mi mancano ancora, ma con il Redivivo là sarei stata più larga di maniche, anche se concordo sul fatto che non racconti niente di nuovo. Mi accontento di quel "mozzafiato". :-) Per me la scena più forte è stata quella con l'orso, magari perché mi dovevo ancora scaldare (forse "scaldare" non è la parola più adatta in quel contesto, ma vabbé).

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    1. Io, invece, fino a ieri volevo dargli un sette. Poi ci ho ripensato, perché anche l'occhio vuole la sua parte - e qui è tutto molto bello. Ma anche molto, troppo freddo.

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  3. Creed vado prox settimana, il resto é in lista...

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  4. Ma io, ormai, gli nego punti e punticini perché Ale-Ale-jandro mi sta antipatico assai. :-D

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  5. Per il redivivo vado questa sera, Creed l'ho visto ieri più o meno la penso come te, anzi per me è il livello tecnico che traina il film perchè seppur la sceneggiatura emoziona è un classico, sull'ultimo film carino ma molto meglio albama monroe anche se giocano su campi diversi :-)

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    1. Be', Alabama era inarrivabile. Con Dio esiste e vive a Bruxelles, però, ho passato un Natale alternativo: mi ha lasciato un bel ricordo. Tecnicamente, invece, Creed non mi ha detto niente. Il regista - e il protagonista - avevano fatto di meglio e di più in Fruitvale. ;)

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  6. Conto di andare a vedere Revenant oggi o domani ^_^

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  7. Dio esiste e vive a Bruxelles non mi ha particolarmente impressionato sinceramente, mi è sembrato piuttosto pasticciato.

    Creed ci sta, non è un gran film e l'interpretazione di Stallone non merita l'Oscar secondo me, però cacchio se è retorico. E poi il fatto che [SPOILER ALERT] Creed perda non mi ha sorpreso proprio per nulla, han voluto proprio recuperare l'andamento del primo Rocky...[FINE SPOILER]

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    1. La retorica, in una reunion come questa, è inevitabile. L'Oscar non lo vincerà, o comunque non dovrebbe, però il Golden Globe è stato un riconoscimento giustissimo. Ha dato vita a un personaggio che unisce me, mio padre, i miei nonni: non è cosa da tutti. E, comunque, ho trovato più retorico, ma anche più bello, Southpaw. [SPOILER: Rocky, tra l'altro, perdeva anche nel film precedente]

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  8. Parlerò presto anch'io di Revenant e Creed.
    Per me, comunque, nettamente meglio Michael B. Jordan dell'ormai bollito Stallone... :)

    Dio esiste e vive a Bruxelles carino, ma al suo interno mette dentro persino troppe idee e il risultato non è proprio riuscito...

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    1. Sì, questo è vero, ma in quello stesso periodo avevo visto Le stazioni della fede - che a te è tanto piaciuto, ricordo - e quindi mi ci voleva una riflessione meno pessimista, cupa e irritante sulla religione e la fede. Michael B. Jordan, sia nel film che nella realtà, ha la fortuna di avere un cognome importante: per il resto, per me, non è degno di nota. Toglici Stallone, e il reboot come lo fai, con il fighettino di turno e la Rihanna sorda? :-D

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  9. Con il buon Leo ho appuntamento lunedì sera, mentre Creed mi tocca vederlo per esigenze di Oscar, e spero di esserne piacevolmente sorpresa come mi fai ben sperare.
    Alla fine mi sono vista il Dio belga, e anche se verso la fine un po' mi ha annoiato, mi ha convinto... Peccato che la cinquina dei film stranieri ora sia cambiata, altri titoli in lista!

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    1. Se non sei un'appassionata, però, qualche riferimento ti sfuggirà e potresti trovarlo un film sullo sport come tanti. Non che non lo sia, ma c'è Sly, alle corde, che merita.
      Vero, altri titoli, ma guarderò Mustang, Il Figlio di Saul e quello danese - mi sfugge il titolo -, perché la Danimarca dà sempre belle soddisfazioni. Gli altri, oh, dove li hanno pescati?

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    2. Mustang ti piacerà di sicuro, di Francia non ha nulla ma é una gran visione e mio favorito!
      Il danese a Venezia non aveva fatto faville e io me lo sono risparmiato perché di altri cliché di guerra dopo un imprecisato titolo con Shia LeBeuf non ne avevo voglia! Solo se vincerà lo vedrò, ma dubito... Piuttosto punto sui documentari che sono sempre un piacere :)

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    3. In questi giorni, allora, che Mustang sia!

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  10. Di Revenant vorrei leggere il libro e vedere il film, penso sia un tipo di libro/film che può piacermi. Devo vedere il film, assolutamente. :D

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    1. Eh, il libro mi ispira tanta noia, sai? Già il film è tutto immagine e poca sostanza. Il romanzo dici che avrà qualche dialogo in più e qualche "fotografia" in meno? :)

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    2. Ma come ti ispira noia? Non saprei, magari leggo l'anteprima. :D

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    3. Già il film, a tratti, ha un po' l'aria naturalistica, da documentario. Immagino il libro: tutto descrizioni interminabili, senca capitoli, caratteri impercettibili... O forse è solo il pregiudizio, ma tant'è. Mi frena. La trasposizione, per quanto curata, non mi ha conquistato. Difetti proprio della storia, in sé e per sé. Figuriamoci quattrocento pagine in compagnia di 'sto moribondo di DiCaprio. :-D

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  11. E poi succede che anche Iñárritu riesce a conquistare Mr. Ink! ;)

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    1. Ma tiepidamente, eh.
      Tifo solo per lui, regia strepitosa, ma né per DiCaprio né per il film. Scommetti che vincerà tutto?
      Alejandro (ti chiamo per nome, ché il cognome non so scriverlo), mi piacevi di più dall'altro lato della frontiera messicana ;)

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    2. Ti dirò: ho la senzazione che i pronostici saranno ribaltati e la spunterà Spotlight come miglior film.
      Su DiCaprio, sulla regia di Alejandro e sul film non ti so dire, ancora non l'ho visto! :D

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    3. In quanto a DiCaprio, Oscar di consolazione. E non mi lamenterò, guarda: l'ha meritato spesso, ma altrove. Io tifo per l'en plein di Redmayne, meraviglioso, ma è difficile. Alicia, dammi almeno tu qualche soddisfazione. Spotlight lo guarderò presto. :)

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  12. Io penso ke quel povero Cristo Di Caprio di Oscar ne abbia xsi parecchi negli anni, cavolo ce lo vorranno dare almeno qst anno ke si è ghiaccciato il culo in mezzo alla neve e agli orsi? Poveretto. Ke poi xke agli Accademy sta tnt antipatico? Solo xke lavorando sempre con registi famosi passa x raccomandato? Forse sn più raccomandati loro. Sxo di recuperare presto il film. Stessa cosa x Creed, ke ovviamente vedrò x Sly e nn x altro. Ma poi toglimi la curiosità, ma Jordan è il figlio del Jordan della pallacanestro, quello ke se la faceva con i Looney Tunes in Space Jam? Cmq anche Dio esiste mi ispira parecchio. Altra domanda poi la smetto di prolissare, (passami il termine) cosa ne pensi del fatto ke sia Tarantino ke D.O.Russel siano stati snobbati dall' Accademy? A mio parere meritano entrambi già dai trailer.

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    1. Tarantino non l'ho ancora visto (ma quando mai non merita, soprattutto alla sceneggiatura?), mentre O'Russel, questa volta, non mi ha colpito. La fiaba di Cenerentola, raccontata in salsa un po' diversa ma mica tanto. Neanche la Lawrence - e quanto mi sta antipatica da quando si è fatta beffe, in conferenza stampa, di un povero giornalista straniero - brilla. Il mio cuore batte per Room. Esce a Marzo, ma già ve lo straconsiglio (insiema al romanzo).

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  13. Se stasera non mi mandano di nuovo a casa, causa posti esauriti, mi gusterò un grande Di Caprio, lo sento.

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    1. Più che grande, per me nella media. L'Oscar - e ci sarà un Oscar - sarà di consolazione. :)

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  14. Secondo me DiCaprio finalmente vincerà l'Oscar con "Revenant", la sua perfomance da quanto dicono merita! Guarderò al più presto il film!

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    1. Anche secondo me vincerà, ma Redmayne e Fassbender - e parlo avendo avuto modo di vedere i film - sono migliori su ogni frotne. DiCaprio, ormai, lo si acclama a priori, per non dargli l'ennesima "Mainagioia". :)

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  15. Revenant l'ho visto ieri sera, ne parlerò venerdì spero. Sebbene il comparto tecnico ed attoriale sia fuori scala nella sua incredibile bellezza e bravura, mi ha lasciata molto indifferente per quel che riguarda il reparto emozionale. Peccato.

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    1. E concordo con te, ma il sette più, per il lato tecnico, non gliel'ho potuto negare proprio.

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  16. Guarda, io dei tre film che hai proposto non ne ho visto nemmeno uno, anche se sono nella lista da vedere prima degli Oscar. Non vedo l'ora di vedere Revenant, e spero non mi deluda, ma anche gli altri. Ovviamente. Fin'ora di quelli candidati ho visto solo La Grande Scommessa, che mi è piaciuto moltissimo :)

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    1. Quello, invece, devo ancora vederlo io, anche se non è molto il mio genere. ;)

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  17. hai detto bene (è il tuo vizio...) Revenenat ha una direzione artistica che fa la differenza. E stavolta mi ha colpito in particolare la direzione degli attori, per certi versi sovversiva, complice una sceneggiatura da film muto. L'unico che si avvantaggia di battute memorabili è Tom Hardy, mentre i silenzi di Leo sono spesso ignorati dalla telecamera, che sembra dimenticarsi di stringere sul divo ( a parte nei momenti di estrema sofferenza u.u) preferendo perderlo nel contesto di un paesaggio che, con licenza della tua prof, pure io definisco "mozzafiato". Credo che mi ricorderò di questo film. Penserò che era quello coi cacciatori di pelli nell'America di tutti e nessuno, dove Leo svaniva, piccolissimo sullo schermo, in mezzo a un mare di neve. E sì è vero: pure io dicevo "Leo da oscar" ancor prima di vedere il film. Che ci posso fare? sono una groupie. Per Creed vado domenica. Doppia proiezione con Steve Jobs. Ma lo dico piano che con bimbi piccoli non c'è certezza del domani u.u

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    1. Poi mi dirai. Io, però, spero nell'en plein di Redmayne, meraviglioso. Fassbender - e in doppia versione, con Macbeth e Steve Jobs - lo vedrò in questi giorni di studio matto. ;)

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